martedì 16 aprile 2024

dream #139

 Nella classe, piena più del dovuto, c’era anche Hannah, seduta ad uno dei primi banchi. Stavo cercando di far scrivere a tutti gli studenti il loro nome sulla lavagna, perché dovevo fare un elenco dei presenti. I pennarelli erano quasi finiti e mi stavo innervosendo perché non funzionavano bene e così sarei dovuto andare a prenderne degli altri. A un tratto Hannah è uscita e non mi sono chiesto che cosa ci facesse in classe, mi sembrava del tutto normale. 
I giorni di Cigarrones erano finiti eppure serbavo parecchi ricordi di lei, che girava sempre nuda fra gli altri. Viveva in un furgone e aveva due cani. Era una donna solare, indipendente, qualche volta avevamo parlato e c’erano fotogrammi delle nostre conversazioni nella mente, sequenze di un film privato. Praticava il naturismo in maniera spontanea, disinibita e gioiosa, non c’era nessuna provocazione sessuale nelle sue azioni e nel loro fluire, una volta ci eravamo ritrovati nudi a chiacchierare, vicino al fiume, un’altra mi aveva tagliato i capelli davanti al mare, leggeva spesso libri sull’estasi erotica e credo che le piacesse molto il sesso anche se tra noi non era successo mai nulla. L’ultima volta che l’ho incontrata era a Orgiva, stava camminando con Joan, sorrideva ed era incinta. Ci siamo salutati con un leggero bacio sulle labbra, siamo rimasti a parlare qualche minuto, finalmente aveva imparato un po’ di spagnolo, poi se ne è andata chissà dove.

La classe era piena di energia e ancora una volta l’avrei dovuta incanalare nella maniera giusta e trasformarla nella spinta che avrebbe fatto andare avanti la lezione. Prima però dovevo prendere i pennarelli nuovi e così sono uscito. La scuola era enorme. I corridoi anche. Poi ho visto Hannah che mi stava venendo incontro con i pennarelli in mano. Sorridendo, completamente nuda.


domenica 14 aprile 2024

Roma #44 (talenti)

 C’era stata una rapina alla gioielleria sotto casa, l’ultima notte dell’anno, mi era sembrato di sentire uno scoppio, durante i festeggiamenti dei vicini e della città, un boato più forte degli altri, mentre ero steso sul divano con la mente in uno stato amniotico grazie al cannabutter che avevo ingerito un’oretta prima. La mezzanotte era passata nel solito tripudio di fuochi di artificio e petardi, mentre ero ancora steso sul divano, fantasticando su improbabili giochi erotici che avrebbero previsto una mia eiaculazione finale (al posto di stappare una bottiglia di spumante) con l’arrivo del nuovo anno.
La mattina dopo, quando ero sceso per una passeggiata al parco, avevo trovato un manipolo di vigili del fuoco, poliziotti e curiosi intorno a quello che rimaneva della saracinesca sventrata della gioielleria. Avevano recintato l’area nell’attesa, forse, dei proprietari. Mi sono avvicinato per dare un’occhiata, bofonchiando qualche parola di incredulità e poi me ne sono andato a fare due passi. Mentre passeggiavo riflettevo sulle dinamiche della rapina, probabilmente avevano sfondato la saracinesca con una macchina o un furgone, quando era iniziato il delirio dei fuochi di artificio, per smascherare il rumore dell’infrazione, poi erano entrati e nell’arco di pochi minuti avevano ripulito tutto. Non male l’idea. Quelli della gioielleria non mi erano mai stati particolarmente simpatici e chi ruba ai ricchi ha sempre un po’ del mio rispetto. Anche la mente criminale, nei suoi sentieri, ha il suo indiscutibile fascino segreto.

sabato 16 marzo 2024

dream #138

 Eravamo nel buio e da qualche parte, nei cunicoli, in una stanza sotterranea, c’era una festa a cui volevo partecipare e adolescenti intorno che si scambiavano sostanze fra le mani e parlavano un linguaggio che non riconoscevo più - Le loro risate sembravano indotte da qualche droga ingerita, così come le loro voci che si gonfiavano e stringevano e poi scivolavano sui pavimenti e mi portavano in  strani luoghi mentali con esse e stavo camminando, cercando un’altra stanza in cui avevo lasciato le mie cose, poi ero dentro la stanza e non c’era nessuno, solo alcuni letti con le lenzuola bianche, sfatti e mi chiedevo su quale avrei dovuto dormire, c’era ancora bisogno di risposarsi? O era solo un’altra inutile abitudine da cui non riuscivo a liberarmi? Poi ero per terra, supino ed Eleonora era stesa sopra di me in un gioco di corpi che non capivo, sentivo il suo peso e non riuscivo ad alzarmi, poi camminavo con Marta per i vicoli di una città, avevamo preso una metro ed eravamo tornati in superficie e in un parcheggio l’ho persa di vista e mi sono ritrovato da solo - Su un sentiero c’era un bambino disteso, sembrava che qualcuno lo avesse picchiato, non si muoveva e altre persone gli si erano accalcate intorno - Una sala da pranzo, con tavoli apparecchiati e molte cose da mangiare, mi preparo un piatto, anche se non ho molta fame - Avevo comprato dell’erba da un ragazzo, avevo ancora la bustina nella tasca dei pantaloni, pensavo alla festa e che se mi fossi sporcato non avrei avuto un cambio e così, dopo, sarei dovuto andare a prendere un aereo che esisteva solo nella mia immaginazione con tutti i vestiti sporchi e sgualciti - Aspettavo una ragazza, anche se non volevo vederla - La musica è iniziata nella sala, c’erano alcune maschere di cuoio sui volti dei ragazzi, uno di loro mi ha passato un popper che ho inalato immediatamente, poi mi è arrivata una pasticca che ho buttato giù, le luci stroboscopiche si muovevano, le pareti diventavano molli, le mie gambe di gomma, ero una marionetta da cui partivano fili di tungsteno scintillanti, i tuoi occhi erano fari mentre mi attraevano verso di loro senza che potessi guardare altrove, un sortilegio, una cura, una punizione, per l’amore dato e mai più ritrovato.

mercoledì 13 marzo 2024

freewheelin' #79

 C’era Alain in una stanza, avevamo un meeting segreto ed eravamo seduti ai due lati di un tavolo, poi lui si era alzato e aveva preso un dossier da una libreria in metallo accanto a un muro. Le pareti della stanza erano rosa e non c’erano finestre. Luci alogene scendevano nitide dal soffitto. C’erano state intercettazioni e messaggi politici in codice e paure sovversive e atti di ribellione militante. C’erano connessioni fra il Vaticano e la Cina e agenti segreti che aspettavano di entrare in azione nell’attesa di un ordine del subconscio. Abbiamo comunicato telepaticamente Io e Alain e sapevamo che fuori da quella stanza avremmo dovuto assumere altri ruoli, altre identità. Lui un sacerdote, io un insegnante. Bassi profili, poche responsabilità.

Una donna era entrata e mi aveva portato un registro con nomi e orari e i luoghi degli avvistamenti. Le ho chiesto se ci sarebbero stati altri incontri quel giorno. Uno nel pomeriggio. In un’altra stanza, in un altro spazio mentale disturbato e asettico.

Trasmissioni e interferenze e una camera con un letto dalle lenzuola nere, le pareti erano dipinte di un rosso cupo e sanguigno. Gli album che Sara mi mostrava erano pieni delle sue foto, alcune pornografiche, altre in abiti normali, altre ancora erano mosse, sfuocate, come se fossero state scattate a sua insaputa. Abbiamo parlato e le ho spiegato i prossimi incarichi, gli spostamenti, le persone che doveva seguire.

Ero da solo in un ufficio, come in una stasi pomeridiana, una luce soffusa e l’odore del legno, del sandalo e del tabacco, avrei dovuto leggere relazioni e scrivere rapporti, non ne avevo voglia. Ci avrebbe pensato l’altro a vestirsi elegante, a fumare sigarette turche, a sorseggiare whisky scozzese da un bicchiere di vetro tondeggiante, ipnotizzato dal tintinnare del ghiaccio contro il bordo. Avrebbe fatto telefonate e dato risposte e posto domande. Poi un giro in macchina, il finestrino abbassato, le colline in lontananza, musica jazz come colonna sonora, un ennesimo travestimento, sensazioni fluide e ovattate. 

Avrei voluto essere su una spiaggia, a guardare l’oceano arrivare, insieme a te. Perché non ci fossero più sogni a distrarmi da quello che dovevo fare. 


domenica 10 marzo 2024

Roma #43 (tufello)

 Le attese nel sottosuolo e quelle in superficie e grandi uffici in cui il tempo si sgretolava in rumori e sequenze e rumori elettronici - Vecchi seduti in silenzio, borbottando ogni tanto, in quella che sembrava una stanca pantomima della morte, qualcuno avrebbe chiamato il nostro turno, ci saremmo alzati e saremmo andati in silenzio verso quella voce, ci sarebbero state le solite trafile burocratiche anche nel giorno del giudizio? Quesiti tecnici? Incomprensibili verbali da compilare? Nel pacco che avevo ritirato c’era una piccola borsa di tela con l’effigie di un cane e una lettera firmata da una mano lontana, un nome che non conoscevo, c’era stato un errore? Dove erano gli acidi? Dove erano le droghe sintetiche? Poi altre attese nella stazione della metro, parvenze di esistenze al rallentatore, qualcuno blatera di piazze&manifestazioni e appare il fantasma di una gioventù coinvolta nelle contestazioni: divorzio, aborto, pari diritti e poi che altro? Ogni generazione si prendeva i suoi meriti e lasciava le sconfitte a quella precedente.

Colonne di fumo oltre i limiti della città e il vuoto dentro e lunghe notti in cerca di riparo e scie di sangue sui pavimenti dei manicomi ormai abbandonati.

Qualcosa si stava muovendo sul fondo dell’abisso, le vie aspettavano frementi il nostro sudore, sapevamo che i giorni erano contati e che non aveva nessun senso cercare di capire quanti ce ne mancavano.


domenica 25 febbraio 2024

dream #137

 Ero dentro un ascensore, all’interno di un palazzo che non conoscevo, prima di chiudere la porta ho intravisto l’immagine di Kamil che stava scendendo le scale, i nostri sguardi si sono incrociati, lui ha sorriso, andava di corsa, portava un vestito elegante - C’erano nuovi codici che qualcuno aveva scritto sul legno rovinato dell’ascensore, ho cercato di impararli a memoria, mentre è cominciato un movimento verticale che non sapevo dove mi avrebbe portato - C’erano state notizie di alcune sparizioni ed ero alla ricerca di una di quelle persone scomparse, nella sceneggiatura che qualcuno mi aveva passato c’erano delle pagine mancanti e così le sequenze successive sono state incomplete e confuse - Ero nel pueblo e stavo camminando, qualcuno aveva rubato il mio zaino ed ero rimasto solo con una lurida sacca a tracolla con dentro quello che ritenevo fosse indispensabile, la luce era quella del giorno e stavo cercando Sara, provando a chiamarla da un vecchio cellulare che mi ero ritrovato in mano e poi lei mi è apparsa davanti e ci siamo guardati nell’immobilità di un istante prima che tutto tornasse a muoversi, racchiudendoci così in un caldo e fuggevole abbraccio. 

mercoledì 21 febbraio 2024

freewheelin' #78

 Era un mondo misterioso e proibito che appariva e scompariva, alla sera, poi durante la notte, momenti in cui la casa e le sue stanze, in particolare il salotto, si riempivano di fantasmi, voci decadenti, musiche polverose, fotografie mentali, personaggi in bizzarri costumi, improbabili storie, fatiscenti catatonie erotiche, repliche di repliche, il teatro dell’inconscio - Lo chiameremo così, disse Antonin, mentre stappava una bottiglia di vino rosso e poi scorreva con gli occhi i fogli che aveva in mano, segnando note al margine, scrivendo nuove battute, cancellando quelle che non funzionavano, sorridendo, a tratti, ricordando eventi passati che si palesavano improvvisi nella sua mente - C’erano colloqui immaginari in cui balzavamo su porzioni diagonali di realtà, (di)pendenze e pantomime, attenti a non scivolare o a lasciarci inesorabilmente cadere, piroette, salti e capriole e poi solo sequenze silenziose, sul limitare fosforescente dei boschi e altre in zone urbane alienate, con le luci degli immensi parcheggi ormai tremolanti nei  bagliori di tramonti tossici - Volevamo tornarcene a casa, accendere la vecchia stufa di ghisa e continuare davanti ad essa e al suo calore le nostre discussioni, perdendoci in detour cinematografici, nei quali, a volte, ci divertivamo a descrivere fin nei minimi dettagli sequenze mai girate - Poi l’idea di un documentario su un fallimentare poeta turco, vagando fra i suoi interminabili monologhi notturni come fossero i vicoli di una cabalica casba, alla ricerca di  droghe e direzioni e fughe oniriche verso le oasi dei suoi deserti emotivi, pagine su pagine, buttate negli angoli sporchi della stanza spoglia, sui tappeti, fra le tazze macchiate di caffè, quello che preparava in continuazione, per poi servircelo, amaro e forte come il suo carattere impenetrabile e rimetterci così a marciare lungo i sentieri dei suoi paesaggi psichici, lande desolate e delittuose con rari accampamenti, tende e fuochi che vibravano nella notte stellata e noi, sdraiati su stuoie stese sulla sabbia, a fumare oppio, ad ascoltarlo, fino a quando i suoi versi diventavano nitidi sotto le palpebre chiuse, a protezione degli emisferi celesti di una sinestetica estasi, una sinfonia visiva colorante, pulsante e liquida - Cercavo, nei momenti di lucidità, di prendere quanti più appunti possibili, a volte seguendo quello che Ekrem diceva e altre subito dopo il risveglio, quando erano stati i sogni a rimontare in un’altra logica i suoi deliri notturni, inconsapevole di quanto fosse stato detto e quanto no - Invenzioni narrative e liriche nei punti in cui nessuno sembrava più sapere come andare avanti e poi lunghe ore di quiete e riposante silenzio, dove era il vento a disegnare trame auditive e sedare i nostri cuori solitari, uccelli in stormi neri nel cielo, un’altra casa dimenticata e ormai chiusa, giorni di pioggia e attesa, ho messo altra legna nella stufa, Antonin si è alzato e lui e il suo doppio si sono divisi la scena, attori e spettatori di sé stessi, affinché la verità diventasse un inganno sincero e la notte uno specchio di fugaci finzioni riflesse.

mercoledì 14 febbraio 2024

Napoli #4 (procida)

 Eravamo seduti ai tavolini esterni di un bar e intorno a noi alcuni uomini avevano già stappato le prime birre della giornata, il mare era calmo e il suo azzurro pieno e accogliente, i turisti camminavano e le biciclette e i motorini sfrecciavano insolenti nelle stradine, manifestando una fretta che sulla superficie di un’isola non sembrava avere nessun senso, da qualsiasi parte si andasse sempre a un limite di acqua si sarebbe arrivati. 

C’era un uomo anziano ad un tavolino poco distante dal nostro che stava dando pezzi del suo cornetto ai piccioni che gli si accalcavano intorno alle scarpe, non aveva un bell’aspetto, anche se qualcosa nel suo stile e nel suo vestiario lasciava intravedere la possibilità che fosse un artista e all’interno della lurida sacca che aveva appoggiato su una sedia avevo scorto dei quaderni e parecchi fogli ingialliti e immaginavo che lui fosse uno scrittore, arrivato ormai ai labili confini della propria vita - Le maree dei ricordi, le mareggiate oniriche di tempi infranti, sconfitti, dimenticati e restituiti agli occhi dall’impazienza narrativa dei sogni, che non lasciano spazio all’oblio e ci rimandano gli echi dell’esistenza in forme arcane e segrete. L’uomo si era acceso una sigaretta e aveva dato un ultimo sorso al suo caffè, c’erano nuove destinazioni che mi stavano chiamando: Napoli e poi Tangeri e gli incontri con artisti morfinomani che tenevano fra le dita tremanti scritti impolverati - Le critiche di pittori e quadri fatte dal padre ormai morto di un mio vecchio amico, collage di tele e colori liquidi e astratti lungo distese cromatiche che si scioglievano e si mescolavano e riemergevano diventando isole e arcipelaghi e territori informi e tumultuosi del subconscio. 

Carceri diroccate, nella parte alta dell’isola e quale orrore e quale sadismo a rinchiuderci dentro gli uomini e poi lasciargli vedere piccole porzioni di blu, i flussi marini in lontananza, la linea dell’orizzonte che non avrebbero più toccato, un braccio allungato fuori dalle sbarre a salutare l’infinito. Colonie penali e vecchi racconti di contrabbando e pirateria e tesori nascosti su spiagge lontane e le mappe strappate dell’illusione per ritrovarli.

Riflessi di luci e voci che diventavano più forti e confuse e le passeggiate con Sabine sotto le stelle e la notte che ci avvolgeva e poi i risvegli in cui non sapevamo più chi eravamo, perché questo mondo è un mistero e a nessuno dovrebbe mai essere concesso il fuggente potere di svelarne l’ingannevole essenza. 


martedì 6 febbraio 2024

Napoli #3

 L’aria del porto e le persone in movimento, enormi sagome di navi da crociera vuote e ancorate e in attesa dei pellegrini del consumo - Ombre oblique e un placido uomo seduto su una panchina di cemento, il sacco a pelo arrotolato da una parte e lo zaino dall’altra, una sigaretta fra le labbra - Le nuvole nel cielo, che una volta erano diventate tigri e adesso rimanevano solo voluminose forme che aspettavano di prendere vita nei nostri sogni e nelle nostre visioni - Colori improvvisi e racconti che si animano nella mente e Alain che mi parlava della Cina e di tutti gli anni che ci aveva passato insegnando francese in qualche città del nord, di cui avevo dimenticato il nome - Coline con la sua videocamera mentre preparava obiettivi e microfoni e io parlavo di Pasolini e Accattone e poi passeggiavamo per il Pigneto e il doppio di Lynn sembrava seguirci e pensavo al mio, di doppio, al mio corpo e alla mia voce dati in prestito ad un ennesimo personaggio mentre nel cuore ondeggiava la stessa malinconia di sempre e le domande di rito dello scrittore, quando fuggirai di nuovo? Quando te ne andrai da tutto questo?

Un’idea, un’intuizione per un video, Coline sarebbe stata d’accordo e anche Filippos e avremmo fatto le riprese all’interno della linea 1 della metropolitana di Napoli, fra i vecchi vagoni gialli e poi nelle stazioni e ci saremmo persi fra le linee dell’architettura sotterranea e i tagli di luce elettrica, lunghe carrellate orizzontali, estetiche metropolitane, sonorità hip-hop, Filippos avrebbe cantato, in greco possibilmente e io avrei scritto i testi, che poi insieme avremmo tradotto nella sua lingua e Coline si sarebbe occupata delle immagini e del montaggio (o forse questo lo avremmo fatto insieme) e poi ci saremmo calati un acido e passato il resto del tempo sgretolandoci fra i suoni e i colori dei quartieri spagnoli.

Singole inquadrature, singole stanze dove le prostitute e i travestiti portavano i loro clienti, poetiche rionali e decadenza di facciate barocche in rovina, come i volti sfatti di vecchie puttane e poi canzoni del mediterraneo morente, culla e cimitero di esuli e migranti, nuove odissee, nuovi turbini emotivi che circolavano nel sangue e nelle vene, i primi effetti, lo sfavillio sfuggente della luce, Santa Maradona sembrava essere una frastagliata celebrazione di una divinità popolare, i caleidoscopi di ricordi in arrivo, melodie mormorate nello spazio interiore che i secondi custodivano in accelerazioni di eternità momentanee.


lunedì 29 gennaio 2024

Napoli #2

 Rumori nella notte, vociare scurrile di scugnizzi e motorini modificati, scie di suoni che arrivavano da ogni direzione per poi scomparire fra i vicoli dei quartieri spagnoli, lungo i muri che si stavano sgretolando e le immagini dei santi e quelle di Maradona, come se la città non potesse mai dimenticare quel volto, quel corpo, quel miracolo calcistico - Donne sedute fuori dalle porte delle case che si affacciavano direttamente sulle stradine, minuscole stanze e appartamenti e corridoi come cunicoli che si perdevano nelle interiora dei palazzi in rovina, capitali di regni distrutti, come se il ricordo della maestosità e la decadenza fossero la stessa identica cosa, generazioni che si confondevano e susseguivano così come le umiliazioni subite, la miseria, l’abbandono, la languida e secolare attesa di un cambiamento che non sarebbe mai avvenuto.

Avrei dovuto perdermi fra queste strade e abbandonare le meravigliose ville e viste del Vomero e planare e atterrare nella sporcizia, nel degrado, nella confusione dei negozi, dei monologhi degli abusivi, nelle vie oscure, nel bel mezzo di quell’umanità che mi atterriva, disturbava e infastidiva, fatta di figli e madri e padri di cui non avrei mai voluto fare parte, solo osservare, di nascosto, nelle mentite spoglie di un’ombra, a fotografare, a scrivere, a ridosso degli echi della Spagna dei re, nell’architettura nobile e poi borghese, nei labirinti reticolari e  popolari di viuzze e vicoletti, perditi, perditi ancora ripeteva lo scrittore, zaino in spalla, rimettiti in viaggio, inventati una nuova fuga, un nuovo amore da seguire e incontrare nei sogni che lo incorniceranno.

I livelli della città si sovrapponevano e l’aria, in quelli inferiori, diventava pesante e calda, anche se erano i primi di ottobre e continuavo a sudare mentre scendevo scalini e scalinate e c’erano ingannevoli parentesi di silenzio e poi la tavola lucente del mare, fuori dalla finestra, mentre rientravo nel mio corpo e nel  lento ondeggiare dei postumi del gin e del campari, con il sole che ti accarezzava e ti svegliava insieme al corpo di una persona amata e alla sua pelle e ai ricordi di altre case, in estati e in altri risvegli e non sapevo neanche come fossi arrivato qui o quando me ne sarei andato, le ultime pagine di un giorno che mi ero dimenticato di scrivere, quelle strappate, quelle che altri mani cercavano e rimettevano insieme, in un ordine diverso, in una cronologica onirica e senza senso, continuavamo a smarrirci fra i sentieri del mondo e non ce ne era nessuno da cui sarei voluto tornare.


dream #139

  Nella classe, piena più del dovuto, c’era anche Hannah, seduta ad uno dei primi banchi. Stavo cercando di far scrivere a tutti gli student...