Solo le immagini mentali così come arrivano - Eravamo andati a un concerto degli Interpol, io e Marco, credo che fosse all’Atlantico, un locale oscuro, dal soffitto basso, perfetto per le sonorità dark del gruppo, avevamo bevuto parecchie birre e fumato una enormità di sigarette ed era lui, a distanza di anni, l’unico amico che mi era rimasto, che era ancora nel mio cuore, era lui mio fratello e lo sarebbe stato per i giorni a venire anche se non ci fossimo più visti, anche se le nostre strade, da tempo, avevano preso direzioni diverse, lui era con me, nei miei ricordi, in tutto quello che ci aveva diviso e per questo unito in maniera indissolubile - Avevamo incontrato Nicole all’aeroporto Leonardo Da Vinci, io e Maria e poi eravamo andati a mangiare tutti e tre insieme a Fiumicino, in uno stabilimento, seduti a un tavolo che dava sul mare, con i riflessi sulle onde che arrivavano come scintille di luce e avevamo ordinato pesce e una frittura di calamari e bevuto vino bianco ghiacciato e c’era calma e quiete e parole che scivolavano via nell’aria e questa sequenza perduta e l’ultima volta che ho visto Nicole, l’azzurro dei suoi occhi, la malinconia e la dolcezza in quelli di Maria - Tutta la vita che ci separa solo quando abbiamo potuto condividerla con qualcuno - E il giorno in cui ho lasciato il lavoro, il giorno in cui un ennesimo cerchio è stato chiuso, una circonferenza di punti imperfetti sulla quale mi ero stancato di girare, disegnata su fogli ingialliti di una memoria consumata, non c’era più un cazzo da fare là dentro e se gli dei della grazia avessero voluto non avrei più rivisto nessuna delle molteplici teste di cazzo che mi erano ciondolate intorno in quegli anni, quanta rabbia, quanto rancore, le dolenti onde della disillusione in un mare di menzogne, ero naufragato, la nave era colata a picco, niente capitanicoraggiosi, niente sirene, nessuna puttana a gambe aperte ad aspettarti, nessuno che ricordasse il mio nome, ero diventato un’ombra, ero fuggito, i muri erano crollati e le macerie erano tutto quello che ne era rimasto - Un giorno di primavera, una notte d’inverno, un pomeriggio d’autunno, una mattina d’estate, un abbraccio mai dato, un saluto svanito, un addio sussurrato, un amore mai rivelato, un giorno in cui mi sono svegliato e tu non eri più qui, una notte in cui ti ho sognata e ti vedevo ovunque, in ogni luogo di questa colorata farsa in cui ti avrei cercata e mai più incontrata.
mercoledì 27 ottobre 2021
lunedì 11 ottobre 2021
Orgiva #62
domenica 3 ottobre 2021
Orgiva #61
Era come tornare indietro e farlo senza l’obbligo di andare avanti e per questo rimanere fermi nel presente, immergendosi totalmente in esso, nei suoi giochi, nei suoi trucchi e al di là di ogni illusione volevo solo abbandonarmi al vuoto dorato di ogni respiro e gioirne in silenzio. E ancora gli uomini parlavano al bancone del Chico Bar e io mi sedevo in disparte a scrivere e sapevo che il vecchio Hank sarebbe stato orgoglioso di me se mi avesse visto, di quello che (non) stavo facendo, di quanto non me ne fregasse più un cazzo (te ne è mai fregato niente? domandava sorridendo lo scrittore) di giudizi e aspettative, di quello che gli altri pensassero o volessero da me, era l’arte dell’equidistanza, suggeriva qualcuno, nella mia mente, seduto sotto un albero nella posizione del loto.
Mi misi a parlare con Paul e gli dissi che prima o poi avremmo finito questo documentario sul Dragon Festival e che dopo avremmo iniziato qualcosa di completamente diverso, sarebbe stato importante filmare la vita, continuavo, nel suo invisibile e perpetuo manifestarsi, gli strambi personaggi e i grotteschi individui che si muovevano al suo interno, non dobbiamo programmare nulla, Paul, tornando al presente, tutto sarà improvvisato, senza ordine logico, senza sovrastrutture mentali, dobbiamo solo sbronzarci giorno dopo giorno e filmare e non capire più nulla di ciò che stiamo facendo e poi lasciare ogni cosa al suo posto e dimenticare questa realtà inseguendo visioni acide e questo è tutto quello di cui abbiamo bisogno, Paul, un film che esista solo nelle nostre menti, girato, proiettato e distrutto allo stesso tempo, creato e dimenticato, inseguito e perduto.
Chaz mi aveva descritto i sette gradi dell’alcolismo (e sentivo, con un brivido di eccitazione lungo la schiena, di trovarmi già fra il quarto e il quinto - Sei quasi arrivato, ghignava lo scrittore) e i dodici passi della disintossicazione, lo avevo ascoltato con interesse (forse perché ero già alla terza birra), ripetendomi silenziosamente nella testa che questa era la prima e ultima volta che lo sarei stato a sentire, mi aveva proposto di andare a vivere a casa sua (in subaffitto, visto che doveva andare a fare non so quali cazzi in Francia, forse a vendemmiare) e l’idea adesso mi sembrava del tutto improponibile, cominciavo ad averne le palle piene di ubriaconi e tossici e desperados vari, erano utili per lo scrittore e basta, poi il luogo dove vivevo lo volevo tranquillo e pulito, senza spazzatura umana intorno.
I figli che avrei avuto con Sara e non sarebbero mai nati, non mi ricordavo da quanto tempo non sentissi questo tipo di intimità con una donna e di appartenenza a tutto quello che ci univa e divideva nella danza del tempo, in quella del cuore e dei sentimenti, mi piaceva anche quando mi infilava un dito nel culo e un giorno le avrei permesso di scoparmi da dietro con qualcosa di più sostanzioso dentro.
Raccontiamoci i nostri segreti perché siano le bugie a dirci la verità, perché come ci ricorda il vecchio Lee in questa vita nulla è reale eppure tutto è permesso.
ZetaElle #28
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