lunedì 27 giugno 2022
Roma #25 (vigne nuove)
lunedì 20 giugno 2022
Roma #24 (pigneto)
lunedì 13 giugno 2022
Roma #23 (vigne nuove)
Qualcuno viveva dentro questi palazzi? Cubicoli di cemento, spazi vitali ristretti e contenuti, come si poteva sognare o immaginarsi la vita in queste piccole e asfissianti prigioni tridimensionali? Sadismo architettonico, sottomissioni residenziali, nei parcheggi intorno, uomini più furbi o poveri, illuminati o dementi si erano comprati dei camper e lì trascorrevano, seminascosti, le loro esistenze alla deriva, come le nostre, del resto, avendo però ancora la possibilità di muoversi e forse scomparire altrove e per sempre. Scritte oscene sui muri, estasi calcistiche, defunte dittature politiche, fraseologie fasciste per fatiscenti folgorazioni filologiche, scheletri di moto e motorini, rosicchiati fino all’osso metallico, televisori buttati sull’asfalto, giardini incolti, abbandonati e dimenticati. Cortili vuoti nelle etiliche domeniche mattine, quando ero costretto ad uscire di casa alle 8.30 perché la donna delle pulizie sarebbe arrivata alle 9 e non volevo incontrarla, mica per niente, sapevo che non avevo nulla da dirle e che mi sarei sentito in imbarazzo a vederla lavorare. Così mi perdevo in questo vagare forzato, che dopotutto non era un male e lo scrittore mi seguiva con il suo quaderno colorato e il fotografo pure mentre si smarriva fra i riflessi delle luci e nelle sue geometri mentali. Anche l’Ombra era dei nostri, alla ricerca dei suoi feticci (scarpe da donna, tacchi alti, stivali, mutandine, calze) e tutti sembravano essere felici e tranquilli nelle loro bizzarre attività. Queste realtà parallele in cui scivolare, queste serie incongrue di edifici da cui trovare una via d’uscita, sempre ammesso che ce ne fosse una. Quartieri periferici in cui non ero mai stato, un meraviglioso cielo azzurro mi sovrasta mentre il giorno avanza e piccoli fiori sbocciano sui davanzali di un ennesimo sogno. Voci insolenti, insidiose, insulse. Il perimetro di un viaggio oltre le barriere di questo nulla, urbanizzazione perversa, sporcizia ovunque, i rami degli alberi come dita ladresche aggrappate agli squarci del cemento, vecchi uomini alle finestre, il sole in faccia, una sigaretta nella bocca. Dietro di loro l’oscurità di stanze fumose dove qualcuno attende di compiere i propri insani rituali. Apparecchi televisivi ancora accesi dopo notti insonni di masturbazione catodica, catatonie subliminali. Loro parlavano da soli nelle camere della privazione sessuale, nelle celle dell’isolamento erotico (lo sapeva bene l’Ombra, sentendo l’inizio di una erezione nel suo anello fallico). Il rumore dei tacchi non finirà mai di battere il nostro tempo di astinenza, ora di andare, sussurra Labbra Umide, di chiudere la porta, di osservare le interferenze farsi codici di un linguaggio alieno. Le strutture ignote della mente, le gabbie di pensieri nelle quali finiremo incoscienti per entrare, il lento movimento delle gru stagliate contro il cielo, scatta una foto, altri edifici, altri carceri, altre sbarre e muri che chiameremo casa. Linee concentriche nella sezione orizzontale di un tronco tagliato, uccelli primitivi sorpresi in danze di corteggiamento amatorio. Accoppiamenti, sdoppiamenti, smembramenti. I tuoi disegni, i tuoi incubi, le tue paure. Il rombare di una moto, il ronzio di un filo elettrico, una catena che suggerisce relazioni impossibili. Le serie di colonne si ripetono su ogni lato, il centro del quadrato non è altro che il vertice di una piramide vista dall’alto, divinità azteche sedute su divani di pelle umana. Interzone, altre interferenze, interpretazioni trascendentali - Pausa - Un’umanità derisa all’interno della sua commedia di ruoli e maschere, il club del silenzio, una scatola blu, le lacrime sul volto, i sospiri d’amore, un giorno che si ripete fra le pagine ancora non lette di notti che non avranno timore di essere chiamate tali, qualcuno che bussa, qualcuno distoglie lo sguardo, ci divoriamo l’anima per noia e compassione, la tua mano che indica un poverocristo che sbava sul marciapiede, si comincia da soli, si finisce insieme, ci si uccide a vicenda, ci si imprigiona nascendo.
sabato 11 giugno 2022
Roma #22
Torniamo sempre da dove eravamo venuti, senza dirlo a nessuno, sperando che nessuno ci aspetti o si ricordi di noi, sperando di rimanere anonimi, fugaci individui leggeri come ombre alcoliche - Era giusto o almeno mi sembrava essenziale scordarsi delle nostre vite precedenti, anche se la nostra immagine era rimasta intrappolata dentro a occhi, specchi, strade, vie, luoghi, muri, locali, c’era poco da fare in questo mondo, se non sedersi in un angolo e aspettare che fossero gli altri a passare - Non c’erano motivazioni valide nell’andare avanti, come non ce ne erano nel guardarsi indietro, nulla che valesse il nostro tempo che ci chiedevano di trasformare in denaro, era meglio dedicarsi all’ozio, alla propria realizzazione interiore, qualunque essa fosse, immergersi nei respiri o nei propri bizzarri rituali erotici: le torture, il feticismo, il sadismo e il masochismo, alternati fra loro - Coltivare marijuana, immaginando che qualcuno ti rifornisse di acido lisergico o altre sostanze psichedeliche - Avevo una casa tutta per me, comoda e accogliente, dormivo ancora su un divano, cucinavo, leggevo e scrivevo, era meraviglioso - Potevo perdermi in una città che conoscevo da un milione di anni, poi tornavo in un appartamento sicuro, mi sentivo di nuovo protetto, fra i libri, i dischi, le fotografie, la musica e i film - Non me ne fregava più niente della recita degli altri, non che me me ne fosse mai importato, anche se avevo dovuto farne parte per tanti anni - Candele silenziose danzano in un barlume di oscurità, un ennesimo sogno, un inutile risveglio, ancora oltre lo specchio, chissà dove, chissà quando, oltre l’orizzonte di un domani piovoso, di nuovo in fuga, qui, altrove, un attimo di tregua, il cadere delle macerie, i ricordi proibiti, vuoi scopare? Chiede una voce, no, voglio solo andarmene e non tornare mai più.
martedì 7 giugno 2022
Roma #21
Croci al neon nella notte metropolitana. E pioggia incessante lungo le strade dei ricordi. Immagini stereoscopiche scivolano sul parabrezza e visioni liquide appaiono nelle stanze di un museo del subconscio. Pareti sonore e divani in cui affondare per annegare dentro sé stessi. Chiamate anonime. Colloqui di lavoro dietro a plastici vetri di protezione. Domande. Allusioni. Storie inventate. Non mi sarei di nuovo nascosto dietro alla maschera di chi loro volevano che fossi, non avrei mendicato uno stipendio o un’altra possibilità di tornate dentro alla gabbia. Non ci si poteva respirare là dentro, non c’era aria, non c’era mai stata, non c’erano alberi, non c’erano fiori. Le classi erano ormai vuote, lezioni virtuali, collegamenti elettronici, che cazzo di mondo si stava configurando, tutti intrappolati in uno schermo e i nostri corpi dietro di essi. Manipolazioni emotive e chissà quali altre domande se mi avessero scelto. Una psicologa mi avrebbe interrogato, poi si sarebbe sfilata le scarpe e avrebbe posato i suoi piedi nudi sulla scrivania, li avrei osservati ipnotizzato, il loro odore mi avrebbe fatto venire il cazzo duro nelle mutande, le solite fantasie, sospirava lo scrittore. Altre stanze buie, il profumo degli oli, il contatto delle mani, gli occhi chiusi, i respiri, fuori continuava a piovere, qualcuno sarebbe venuto a trovarmi in questa parentesi di felicità in un tempo che non sapevo più come chiamare. La città era meravigliosa nella luce di novembre, quando la pioggia si fermava per poco e c’erano attimi di trascendenza visiva, gloriosi tramonti, come quelli negli affreschi di alcune chiese, da cui escono Dio e il suo esercito di angeli e tromboni. Il traffico mi succhiava via l’anima e le energie, centinaia di ragazzi una notte a San Lorenzo, assembramenti infernali, voci, corpi, fermi o in movimento, in un’orgia giovanile di cui non facevo più parte. Al Pigneto la situazione era anche peggiore, avevo visto alcune persone fumare crack direttamente per strada, passeggiavo in silenzio sotto il cielo viola, il mio doppio era tornato a vagare solitario nei suoi vecchi quartieri, consumando la propria astinenza, immaginando, chiedendosi, fermandosi, svanendo. Pochi passi nelle zone oscure in cui qualcuno si rifugiava per scoprire che non c’era più nessun luogo nel quale scappare. Le parole continuavano a raggiungermi, volanti della psicopolizia setacciavano la rete dei nostri bisogni. Ancora la pioggia, a Fiumicino, in una mattina in cui volevo solo piangere senza voltarmi più indietro, i giorni in cui sono stato un uomo diverso, quelli in cui non sono stato più nulla, ci sarà l’oblio con le sue danze di fuggenti malinconie ad attenderci nel teatro della prossima vita. Mi siederò in un angolo ad osservare il susseguirsi degli eventi, orizzonti di rabbia, repressioni di istinti clandestini, analoghi monologhi di omosessuali, travestiti e checche sognanti. A strano, a frocio, qualcuno mi dice, ho fatto finta di non sentirlo, le menzogne della notte, le verità che nessuno ti ha mai confessato.
giovedì 2 giugno 2022
Roma #20 (garbatella)
ZetaElle #28
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