sabato 25 gennaio 2025

ZetaElle #21

 I sogni del mare e quelli dell’adolescenza e una barca per solcare acque sconosciute e arrivare in piccoli porti dove incontrare amici perduti, come se da qualche parte ci fosse ancora un luogo di libertà per ricordare quello che eravamo stati, per recuperare quell’energia dispersa, che poi era il mondo a portarti via, un’energia sprecata nella banalità dell’esistenza o nel quotidiano ripetersi di ogni lavoro, qualunque esso fosse. 

C’erano manifesti anarchici che Zito Luvumbo aveva letto, attaccati sui muri dei quartieri periferici, manifesti che incitavano alla rivolta e alla fine dello sfruttamento e di ogni guerra. Zito Luvumbo si guardava le mani e a volte erano del colore dell’ebano e si ricordava della sua razza e di quanto misteriosa fosse la propria natura e del suo mutevole aspetto e anche dei suoi simili che lavoravano per ore, come schiavi, in immensi campi sotto al sole, a raccogliere verdura e ortaggi senza che ci fosse nessuno a proteggerli o a spiegargli i propri diritti o a inventare storie nelle quali l’umanità prendesse forme diverse da quelle dell’abuso e della violenza.

Erano crollate ali di enormi palazzi e ponti sopra la città e l’estate continuava torrida e implacabile e Zito Luvumbo proseguiva con le sue passeggiate, a piedi o in bicicletta, le sue serate sulla terrazza ad ascoltare il mare e le stelle, prendeva appunti su un quaderno, si addormentava in silenzio, respirava e sognava.

E poi il ridestarsi di un ricordo e le sue immagini e una vecchia inquietudine che lo spingeva a muoversi di nuovo e Zito Luvumbo correggeva i testi che qualcuno gli mandava e sostituiva vocaboli e nomi e così la narrazione prendeva svolte inaspettate e una volta che il grande calore fosse passato anche le direzioni da prendere sarebbero diventate più nitide, giusto per un attimo, prima di sfocare nell’amniotica quiete di una decisione, dello spazio al suo interno, grandi vetrate e aria condizionata e luce calma e la vaga sensazione di essere come in un acquario, ad osservare il paesaggio all’esterno, quell’isola, il suo profilo lontano.

Lo scrittore e il suo vecchio amico parlavano, discutendo se rimettersi in mare su una barca o meno. Poi si erano separati, si erano allontanati, perché lasciarsi giustificava la propria solitudine. Lo scrittore si insinuava nella psiche del suo passato, lo osservava e sapeva che quell’insieme di racconti andava distrutto, ci sarebbe stata un’esplosione, al largo, il battello sarebbe andato in fiamme e non ci sarebbero stati soccorsi e superstiti.

Lo scrittore tendeva l’orecchio nell’attesa che qualcuno chiamasse il suo nome ben sapendo che erano in pochi, ormai, a ricordarselo.


domenica 12 gennaio 2025

ZetaElle #20

 Ancora antichi borghi, profili di anziani seduti nell’ombra, ricordi di pellicole mai girate se non fra le piaghe di menti raggrinzite e di nuovo le trappole delle sostanze e uomini dal volto sudato, accasciati sulle scale all’interno di ennesime interzone psichiche - Una bottiglia di birra prima del mezzogiorno, un’altra sigaretta fra le labbra, membri di band punk inesistenti fumavano e chiacchieravano, i tatuaggi come chiazze di stupidità fra le braccia - Le rondini attraversavano le onde calde dell’aria e planavano sulla superficie di una piscina per poi tornare a volteggiare nei loro pirotecnici cerchi, lo sguardo dello scrittore seguiva quelle scenografiche traiettorie e il vento voleva voltare pagina e le case dell’infanzia e il suo nome chiamato da voci scomparse e le colline si muovevano in paesaggi aridi e sinuosi, con improvvisi filari di pioppi che tagliavano i campi e le forme aliene e verdeggianti dei boschi e quelle geometriche degli uliveti e un senso di quiete e di calma e la sonnolenta pace del pomeriggio e le tende che oscillavano come in una danza araba e le nuvole che volteggiavano lente senza assumere i contorni di bizzarri animali e qualcuno in una stanza stava pianificando futuri complotti e storie sovversive con picaresche partiture sonore, i guaiti, i gemiti, le urla, i sussurri, le grida, i sospiri, le stelle cadenti nel cielo nella notte di San Lorenzo, i baci rubati nell’adolescenza, le scie lucenti di amori svaniti, lo scrittore era sdraiato su un’amaca, il bicchiere di vino in una mano, il lento e ipnotico dondolio del tempo, un respiro di malinconica eternità che fioriva sulle labbra, perché sapevamo che il ritorno era il futuro di ogni rinuncia, di ogni breve pausa, fra mura sgretolate, in stanze silenziose, nell’eco di una risata, nel passare dei giorni, chiusi ad aspettare, il ripetersi delle storie, l’inizio di una nuova sconfitta.

ZetaElle #31

  Immagini oniriche di Lynn dalla Spagna, scatti mentali di sequenze notturne all’interno di palazzi d’epoca e feste e appartamenti, giganto...