Poi abbiamo cenato in un ristorante eritreo e si sono aggiunte altre persone e qualcuno raccontava storie di scuole di periferia, di ragazzini cocainomani e sbruffoni, violenti e senza regole, figli di pregiudicati che venivano in classe e facevano il cazzo che volevano, a volte avevano coltelli, più raramente pistole, non quelle vere, ma molto simili, che cazzo di situazione, che razza di bucio di culo uno si sarebbe dovuto fare per provare a insegnare lì dentro, eppure qualcosa mi affascinava, forse il rischio di affrontare un’esperienza così estrema e vedere se avrei avuto il coraggio di provare a cambiare la situazione o se mi sarei semplicemente adattato a quello che avrei trovato - Erano arrivati messaggi indesiderati di gente con cui avevo perso i contatti, vecchi compagni di scuola di cui non me ne fregava più un cazzo e che non volevo assolutamente rivedere, come avevano avuto il mio numero? Perché si ripresentavano come fantasmi del passato? Avevo silenziato la chat nella quale mi avevano inserito, poi ero uscito dal gruppo e vaffanculo - Faceva caldo il giorno e i pensieri cominciavano ad evaporare, a svuotarsi o a sciogliersi in serie e sequenze di frasi sconnesse che borbottavo fra me e me - Il mondo stava deviando verso una nuova deriva di guerre e follie, non c’era via d’uscita, non c’era soluzione, le piante di marijuana stavano crescendo bene, promettendo un’ottima estate che avrei passato da solo, a fumare sul balcone, a guardare le stelle, a guardarmi dentro, a rimanere fermo proprio quando ognuno fremeva dal bisogno di muoversi senza neanche sapere più dove andare.
La scimmia sulla schiena
(scrittura, storie, sogni, sostanze e sperimentazioni)
domenica 12 ottobre 2025
NPK #2
sabato 4 ottobre 2025
NPK #1
Le mattine rinchiuso in casa, quelle passate a scrivere, altre a masturbarsi. Le mattine limpide, quelle con i postumi, i giorni che si muovevano lenti in un sudato scivolare di ore, le sensazioni tattili dell’estate quando ogni contatto diventava più sensuale, gli occhi che parlano, gli sguardi che seducevano, l’attesa della sera, di un nuovo incontro, di un’ennesima solitudine.
Allucinazioni metropolitane, insani ingorghi stradali, la città impazzisce tra incidenti invisibili e barbarie sonora, orde di motorini impazziti, macchine e autobus fermi, strombazzare snervante, l’ansia del ritardo, l’accalcarsi di gambe e culi e schiene e capelli, il manifestarsi del sudore tra impazienza, caldo e nervosismo - Le immagini ad alta definizione nei sogni, di boschi e temporali, di fulmini come fossero suture elettriche nella notte e poi fotografie in bianco e nero, di campi arati, di campagne, di colli, di fiancate, di vallate, graffiate e astratte, in una rappresentazione primitiva e violenta del mondo.
Le cene nei ristoranti africani insieme a Marco e a Lorenzo, mentre ascoltavo le loro storie e i ricordi, mentre parlavamo di cinema e anarchia, forme di autosufficienza e acido lisergico, altre volte ci ritrovavamo in una vecchia sede dei compagni e proiettavamo film e ci perdevamo in quello che vedevamo per poi riemergere e rimanere in silenzio, alcuni attimi, elaborando mentalmente quanto visto attraverso nuovi codici interpretativi, eravamo sempre in pochi, sempre gli stessi, qualcuno si addormentava, qualcuno stappava un’altra birra, erano serate che mi sembravano come un’oasi di libertà e resistenza, senza nessuno che mi facesse domande o si aspettasse che parlassi, me ne rimanevo zitto, ogni tanto sparavo qualche stronzata, la luce dell’estate stava arrivando e ogni cosa, nel tardo pomeriggio sembrava brillare, i corpi magici delle ragazze, così invitanti eppure senza più nessun potere, si palesavano nella loro fulgida bellezza, nella loro gioventù come apparizioni apollinee, le guardavo, poi alzavo gli occhi al cielo, un giorno, un giorno, non ci sarei stato più, un avvolgente vuoto, una placida quiete, la morte dava spessore alla vita e ne sembrava la degna conclusione, ho dato un altro sorso alla birra, era quasi finita, Marco mi ha fatto un sorriso, sarebbe andato a prenderne un altro paio non appena avessi terminato la mia.
martedì 2 settembre 2025
Warsaw #4
Una volta dentro al quartiere lo scrittore iniziò ad adocchiare i soliti miserabili che ciondolavano nel bianco delle strade in attesa che arrivassero, in qualche imponderabile modo, i soldi per l’alcol e le droghe. E qualcosa nel cuore dello scrittore scattò e pensò che non voleva più fare parte di questi tristi scenari e che era stanco dei soliti intrecci narrativi che lo vedevano vagare in zone squallide e desolate, lerce e degradate, si sentiva logorato da quella deriva umana e intanto la sua testa si faceva più leggera e anche il suo corpo sembrava stesse perdendo consistenza e allora lo scrittore chiuse gli occhi e senza accorgersene, senza avere l’impressione di muoversi, quando li riapri si ritrovò a camminare fra i piccoli viali del parco Lazienki, con Sabina al suo fianco, in una serie di immagini in cui si sentiva calmo e a suo agio, circondato da comitive di alberi, alcuni molto alti, pieni di foglie che vibravano nell’oro dell’aria di un tardo pomeriggio di primavera e lo scrittore si scoprì felice di fare parte di quell’improvviso incanto e si chiese se non sarebbe stata più facile la sua vita se avesse lasciato andar via personaggi e situazioni, descrizioni e soliloqui e se ne fosse rimasto in disparte nel susseguirsi dei giorni, perdendosi nella meraviglia lucente e mutevole della realtà, aspettando che il tempo si sciogliesse nei suoi percorsi circolari e amniotici, senza più domande da porsi sui prossimi capitoli da scrivere, sulle storie da inventare, su quelle che avrebbe voluto dimenticare una volta per tutte. Eppure tempo e racconto sembravano essere complementari o almeno lo erano in quello che succedeva nella sua mente, nella irrefrenabile e costante necessità di trasformare in parole quanto vissuto, lungo i margini dello specchio, nell’abisso della psiche, nelle fughe serali e siderali verso le stelle.
Io e Sabina siamo arrivati ai bordi di un prato dove altra gente già si era seduta sull’erba, stava per iniziare un concerto di musica classica, ci siamo sistemati a gambe incrociate, poi le prime note si sono liberate dagli strumenti e con loro una lontana melodia si è fatta più vicina, ho chiuso gli occhi e sono andato a visitare alcuni piacevoli luoghi in cui non ero ancora mai stato.
domenica 3 agosto 2025
Warsaw #3
martedì 8 luglio 2025
Warsaw #2
Nessun messaggio, nessun contatto, nell’attesa che Sabina si svegli, che venga a prendermi e mi porti con lei nelle percezioni di una città ancora da scoprire. Forse la sua proiezione psichica, quella di strade e quartieri sconosciuti, entrerà in sintonia con la mia onirica predisposizione a perdermi, creando così una sinestesia metropolitana dove potrei ritrovarmi da solo a passeggiare, sentendone la presenza nei pensieri alieni e nelle scelte da non prendere. L’arte del non fare.
Gli echi dei discorsi si smorzavano, i fuochi sembravano ormai distanti, c’erano state feste e canti e balli e poi la drastica apparizione, maligna e inquietante, delle suadenti simmetrie di mentalità votate e vendute al consumo e al capitale - Era quello il luogo in cui insorgere, ridefinendo così la geometria sovversiva di una morale che invece si era stabilizzata in un’etica rigida e ansiosa di conformarsi con ogni minaccia, ogni eccidio, ogni sopruso. Rivoluzione poteva anche significare arrendersi alla vita e sperare che tutto passasse senza troppi danni e che degli atti di cui eravamo stati testimoni non rimanesse più nessuna traccia. La storia andava smarrita. Perché ci fosse l’illusione che gli uomini non avessero ancora parole da dire e che il silenzio che nel buio dei secoli li avrebbe inghiottiti non fosse altro che il vagito di una pallida vita, una arcaica aurora appena nata e subito dimenticata.
lunedì 30 giugno 2025
Warsaw #1
venerdì 20 giugno 2025
ZetaElle #39
Immagini di una vita che qualcuno, in altri luoghi onirici stava portando avanti, nelle sue vesti e nella sua fisionomia continuamente in mutazione. Stili alternativi e il richiamo di Samara a raggiungerlo ovunque lei fosse. E la casa di Ahmed e la sensazione che qualcosa era stato rubato o sottratto, mentre lo scrittore vagava per corridoi e stazioni e l’improvvisa presenza del suo corpo all’interno di una macchina, che si fermava sul bordo della strada, in una notte avida di vento, nella quale gli alberi ondeggiavano e si piegavano, alcuni fino a spezzarsi e poi le luci che scendevano dalla facciata di un palazzo diroccato e file di adolescenti sciamavano per la strada, irriconoscibili gli uni dagli altri, le ragazze con le gonne corte e le gambe nude e spacciatori invisibili che si aggiravano per vendere le loro sostanze, i loro sogni, le loro illusioni.
Durante le settimane passate, qualcuno aveva suggerito di cambiare i nomi dei personaggi e così Zito Luvumbo aveva perduto la sua identità ed era diventato Zimbo LLewylin, mentre ennesimi caratteri psicotici blateravano nella mente dello scrittore, che alta voce provava battute e dialoghi che mai avrebbe trascritto, lasciava che le parole fluttuassero nell’aria dell’appartamento, a volte rideva delle cose che diceva, altre aveva un senso di pungente panico, nel caso stesse per impazzire completamente e qualcuno lo stesse ascoltando.
Risvegli mattutini in oasi metropolitane inconsce, non c’era bisogna di alzarsi, di uscire, di fare niente. Eppure la scrittura esigeva la sua presenza, si insinuava nelle pieghe del sonno, in quelle dei pensieri e lo scrittore tornava ade essere sé stesso, immaginando cose, sentendo voci, lasciandosi libero di esistere ed emergere nello spazio che i suoi sogni continuavano a circondare di mistero.
lunedì 16 giugno 2025
ZetaElle #38
domenica 15 giugno 2025
ZetaElle #37
La sua bellezza mi rapiva, mi avvolgeva, i suoi occhi erano oceani, erano universi e galassie in cui precipitavo e ogni volta che mi guardava scorgeva parti della mia anima sconosciute anche a me stesso, fra i riflessi delle nostre iridi c’era un linguaggio che non erano le parole a costruire ma i palpiti del cuore.
Imparare ad amare significa anche cominciare a conoscere il dolore. E andare avanti.
Gocce sotto la lingua e bicchierini di sambuca, psicofarmaci e alcol, cambi della personalità e litigi, urla e lacrime, gesti folli, sentivo il suo furore graffiarmi dentro e poi improvvisa arrivava la dolcezza - Eravamo in macchina, non sapevo più cosa fare, ho accostato, cercando di farla calmare, ho provato ad abbracciarla, a baciarla, poi ho sentito i suoi denti sul mio naso, il sapore del sangue, mi sono messo a urlare, lei è uscita fuori dalla macchina, scomparendo nel buio.
Lei era un principessa e lo sarebbe sempre stata. Non l’ho più vista dopo quella notte anche se qualcosa della sua essenza permeava ancora la mia vita. Trovai un libro, un giorno, su una bancarella e c’era una sua foto, di quando era giovane, meravigliosa e malinconica, era un libro di poesie che le aveva dedicato il fratello. Lo lasciai lì senza comprarlo, accarezzando con la punta delle dita la sua immagine. Anni dopo ho saputo che era morta.
domenica 1 giugno 2025
ZetaElle #36
NPK #2
Le serate a Ostiense, a giugno, che quasi mi ero dimenticato quanto fosse bello uscire al tramonto e bersi una Peroni e sentire la testa f...
-
I dolori iniziano lunedì mattina, al lavoro. Durante la lezione mi tocco il lato destro della bocca e sento crescere una...
-
Per capire il significato di quella perdita dovresti passare almeno cinque o sei anni con una stessa persona e vederla tutti i giorn...
-
Ce l’hai una sigaretta? - chiede il tossico. Non fumo, mi dispiace – rispondo. Allora che me la vai a cercare? No, non ho quest...