martedì 5 novembre 2024

ZetaElle #10

I pensieri dello scrittore e quelli di Zito Luvumbo sembravano essere simili. A volte erano affollati da strane presenze, quelle che la solitudine sussurrava a entrambi e che il tempo aveva finito per lasciare libere di muoversi nel loro cuore. 

Lo scrittore poteva rivedere il suo doppio allontanarsi dalla giovinezza, pronosticando una perdita del desiderio sessuale che accentuava la sua tipica malinconia, la mancanza di erezioni in situazioni che prima lo eccitavano gli dava il senso di una vita che si trasformava e forse di una inaspettata liberazione. 

Gli echi delle bugie delle sue amanti erano, in alcune sere, ancora nell’aria, come i gemiti di una di loro, arrivata attraverso le pagine e i mesi a ridestare le sue sopite perversioni, mentre scopava con un ragazzo argentino nella medesima stanza in cui lo scrittore la osservava disteso sul letto, non sapendo bene che fare e finendo per prenderla a cinghiate sul culo e la schiena, in un impeto di incontrollata violenza. 

Zito Luvumbo passava sempre più tempo sulla spiaggia e si era accorto che alcune persone, di provenienza africana, dormivano dentro delle tende dietro le dune, probabilmente svolgendo piccoli traffici illeciti e passando gran parte della giornata distesi sulla sabbia, protetti da un grande ombrellone. 

La sera qualcuno accendeva un fuoco e Zito Luvumbo si univa a quelle persone e ne ascoltava i raconti e i ricordi e i viaggi e le fughe. E tutte le illusioni che ogni nuova vita portava con sé. Zito Luvumbo ascoltava e osservava e non aveva mai troppe domande da fare. Gli altri non sembravano essere sorpresi dalla sua presenza, era calda, amichevole e accogliente. Se qualcuno gli offriva da fumare o da bere Zito Luvumbo rifiutava gentilmente e sorrideva, ogni tanto si alzava, si allontanava dal fuoco, si avvicinava al bagnasciuga, ascoltava il mare, guardava le stelle e il riverbero della luna sulle creste fluorescenti delle piccole onde.

E il sesso? Si chiedeva lo scrittore, tutte quelle scopate, le fantasie, le ripetitive ossessioni con le quali hai marcato una bella parte della tua esistenza, che fine hanno fatto? Quel cumulo di fantasie che ritenevi proibite solo perché non avevi il coraggio o il gusto di confessarle e tantomeno condividerle, per la paura di ricevere un ennesimo rifiuto o una dolente incomprensione. Per poi finire in quelle stanze dove erano i soldi a dare forma e sostanza alle tue messinscene erotiche. Non che rimanesse poi tanto fra i fatti e la loro rielaborazione, era qualcosa di mentale, nascosto, che passasse poi nella pelle stava perdendo definitivamente importanza.

I coniugi McKenzie erano stati visti camminare per le stradine di Napoli, quelle vicino alla stazione per poi arrivare a Via Toledo e i Quartieri Spagnoli, proseguendo per piazza Dante, fino a giungere a un piccolo appartamento nel quale furono visti entrare e poi uscire qualche ora più tardi. La signora McKenzie pregustava le sue stranezze sessuali, sicura che il signor McKenzie non avrebbe obiettato alle sue richieste, qualunque esse fossero.

C’era il cuore a battere ancora, pensava lo scrittore, restio ad abbandonarsi ai ricordi, perché sapeva che le ferite inferte non si sarebbero rimarginate mai del tutto. Una stilla di sangue sarà come un palpito d’amore e una lacrima l’ombra liquida di un sorriso. Questa dolce tristezza che conosceva così bene. Zito Luvumbo, intanto, tornava verso il fuoco, sedendosi a gambe incrociate, le immagini dei volti amati che scivolavano sulla sabbia e poi un respiro e quello successivo, perché non siamo altro che brevi onde in un mare di misteri e sconfitte.

 

domenica 3 novembre 2024

ZetaElle #9

 Le serate sulla terrazza a guardare il mare, a sentirne gli odori e con essi i ricordi e una certa tristezza, una sua eco, a volte leggera, altre sinuosa come le onde, che si impossessava del cuore di Zito Luvumbo, mentre ripercorreva segmenti della sua vita, quelli che pensava suoi o quelli inventati da un altro o forse quelli che lo scrittore infilava nelle pieghe sbiadite delle pagine e dei fogli lasciati su scrivanie polverose. 

La tristezza per il tempo inafferrabile, per le immagini che sfuocavano, per le parole pronunciate e mai più ripetute, per la stanchezza che sentiva crescergli dentro e che poi sarebbe diventata la vecchiaia e una stanza nella quale attendere, in solitudine, il ripetersi infinito delle proprie malinconie. 

Ancora scenari onirici dove Zito Luvumbo o il suo doppio avevano fatto strani incontri, compresa una sequenza ricca di dettagli di un rapporto sessuale con un cadavere e la presenza minacciosa di un paio di uomini per strada, che lo stavano cercando e dai quali, quasi sicuramente, doveva scappare. 

Le incomprensioni di una vita sarebbero potute bastare anche per la successiva, così come le ossessioni non risolte e il loro incessante susseguirsi fino a quando ci si vedeva dal di fuori a compiere sempre gli stessi gesti, una voce nella testa a dire, che cazzo combini? Che cazzo stai facendo? E poi il silenzio, quando la notte si avvolgeva su sé stessa e il mare rollava placidamente e piccole luci sulla spiaggia, alcuni falò e ragazzi e ragazze intenti a conoscersi e scoprirsi, perché quella è l’età della magia e della speranza.

Gruppi di uomini armati irrompevano in case e compivano atti di violenza e malvagità e il Mediterraneo non era altro che un vasto manto per ricoprire la morte di migranti e profughi e il centro dell’Europa riscopriva le fascinazioni delle destre e del fascismo mentre le guerre mediatiche si succedevano e la fatalità di ogni conflitto divorava ogni coscienza superstite. 

Ci voleva una lucidità mentale costante per non lasciarsi stravolgere dalle maree dei media, tossiche e compulsive e per difendersi da esse ZIto Luvumbo si prendeva lunghi momenti nei quali non fare nulla, se non respirare e meditare e tenere la mente sgombra da attacchi psichici improvvisi. 

I personaggi andavano e venivano, si presentavano e scomparivano, mentre la mano dello scrittore si muoveva veloce, fra la bottiglia di gin e quella di Campari e un numero imprecisato di cubetti di ghiaccio che lo attendevano nel frigo.


martedì 29 ottobre 2024

ZetaElle #8

 C’era stato un incontro informale tra Zito Luvumbo, Hector Mosca, John Bosco e lo scrittore, in cui i primi tre avevano chiesto all’ultimo, senza troppi giri di parole, che cosa cazzo stesse combinando con la propria vita. C’era bisogno della pianificazione di una nuova fuga, di una infrazione all’apparente stabilità economica e sociale adottata dallo scrittore, che si stava miseramente imborghesendo, intrappolato di nuovo in una serie di problematiche del tutto prive di senso e romanticismo. Il doppio dello scrittore era finito un’altra volta a insegnare italiano agli stranieri in una scuola, un’altra identità che gli aveva permesso di rimanere in un contesto urbano e di connettersi con nuovi personaggi, ma adesso, secondo Zito Luvumbo, era tornato il momento dell’azione, di rimettersi in viaggio, di lasciare il tempo libero di riconfigurarsi in nuovi scenari apocalittici e alcolici (come se lo scrittore non bevesse già abbastanza). C’erano ennesime e molteplici identità da poter assumere: informatore, spacciatore, infiltrato, correttore di comunicati e opuscoli sovversivi, sabotatore, uomofantasma capace di osservare e riportare e trasformare e distruggere. Hector Mosca sembrava d’accordo, mentre ronzava i suoi suggerimenti e lo scrittore scivolava in un limbo psichico in cui rifletteva e immaginava, mentre serie di dati e contatti e parentesi di silenzio e malinconia ondeggiavano nella sua scatola cranica. C’era sempre la tristezza in qualche luogo del suo cuore a cui tornare ed echi di avvenimenti lontani che si stavano affievolendo ma liberarsi dal passato era e rimaneva la cosa più difficile di tutte. Eppure le parole di Zito Luvumbo non erano un rimprovero o una minaccia, erano un’esortazione, un incitamento, un modo non tradizionale, intuitivo e sensuale, di dire allo scrittore di riappropriarsi del proprio corpo, delle sue emozioni, delle sue parole e di scrollarsi di dosso le sembianze professionali che stava assumendo. Una metamorfosi di cui non hai bisogno, diceva Hector Mosca, con un sibilo a ultrasuoni, mentre alcuni cani cominciavano ad abbaiare in lontananza. John Bosco era rimasto in silenzio, sorridendo pacatamente, poi iniziò a mormorare un’antica litania e ci fu una vibrazione nell’aria e il luogo dove erano, nient’altro che una proiezione mentale, cominciò a trasformarsi e lo scrittore sorrise e comprese e il tempo svanì e con esso ogni sua svogliata e  stupida indecisione.

domenica 27 ottobre 2024

ZetaElle #7

 Le serate al circolo anarchico sembravano sempre degli happening surrealisti, con diversi personaggi che si alternavano e altri che erano sempre gli stessi, c’era un nucleo emotivo e narrativo che si era formato e lo scrittore lo osservava e lo assimilava, raccoglieva tratti distintivi di ognuno e poi li frammentava in possibili descrizioni e storie. 

Lorenzo appariva quasi sempre impassibile e in alcuni momenti prendevano voce i suoi pensieri e vagavano per la stanza venendo da chissà dove per poi disperdersi in ironiche frasi che sempre mi facevano ridere, c’erano state esperienze psichedeliche condivise da qualche parte, anche se non le avevamo fatte insieme e lunghe poesie scritte sotto l’influsso del mezcal e altre sotto quello dei funghi magici e sequenze oniriche trasformate in scatti fotografici analogici e copioni di spettacoli mai recitati, i cui fogli, sparsi sul pavimento dell’appartamento dove viveva, si raccoglievano, di propria iniziativa e si trasformavano in atti psichici che Lorenzo osservava seduto su una poltrona mezza sfondata, con un bicchiere ricolmo di qualche cocktail da poco preparato in mano.

Zito Luvumbo non sapeva nulla di questo circolo e forse qualcuno avrebbe dovuto invitarlo a una delle serate cinemotgrafiche o a quelle in cui si discuteva di alcuni dei problemi che affliggevano il nostro mondo: la guerra, il lavoro, la repressione, l’intolleranza. Eppure era come se Zito Luvumbo fosse là, con le sue storie del terzomondo, di resistenza e rivoluzione, di scritti politici, di tecniche di guerriglia, di sabotaggio dell’informazione. E l’ombra di Zito Luvumbo sedeva con gli altri, quando si prendevano decisioni, quando si pianificava l’azione, quando si scherzava, quando si afferrava la vita e la si trattava come era giusto fare.

Il caldo era arrivato e Zito Luvumbo, seduto sulla terrazza della casa sul mare, pensava e sentiva il flusso dei pensieri sciogliersi in un bianco e amniotico silenzio, in modo che fossero le immagini a scorrere e quello che si celava dietro di esse. E Lorenzo mandava messaggi segreti attraverso le porte della percezione cigolanti di contatti telepatici o lisergici, formule chimiche e connessioni provenienti dalla giungla, Zito Luvumbo riceveva i codici e li configurava in nuovi segmenti semantici. Seduto sulla terrazza, interiorizzava quello che Lorenzo, dalla sua poltrona sfondata gli trasmetteva. Gli altri compagni stavano stappando birre e ridendo e mischiando lo stridore dell’intelligenza con il fracasso delle risate di pancia, qualcuno parlava a ruota libera, Francesco teneva banco con il suo ininterrotto flusso verbale, lo scrittore era quasi sempre silenzioso, il passare dei giorni continuava a stordirlo, un film stava per iniziare e un’altra storia a prendere forma nella sua mente alterata.


lunedì 21 ottobre 2024

ZetaElle #6

 Hector Mosca propose a Zito Luvumbo di lasciare la stanza dell’albergo nella quale viveva e di andare in una piccola casa sul mare, dalle parte di Torvajanica, sul litorale laziale. Era una località anonima, carica di suggestioni letterarie che oscillavano fra trame malavitose e solitudini decadenti e Zito Luvumbo sarebbe stato libero di creare i personaggi della propria vita e impersonali oppure di darli ad altri uomini, quelli che, in un determinato momento, avrebbero preso il suo posto e avrebbero continuato il suo lavoro. 

Era quasi estate e così a Zito Luvumbo sembrò una buona idea quella di abbandonare la città e il quartiere e scomparire e riapparire in una casa sul mare, con un accesso diretto sulla spiaggia. E così Zito Luvumbo si ritrovò a vivere e pensare con il rumore delle onde che lo accompagnava fra le pareti della sua abitazione. Sul terrazzo, la mattina presto, prima che uscisse per una delle sua passeggiate. O la sera, mentre osservava il tramonto e lasciava la mente libera di vagare e i respiri si susseguivano in un ritmico movimento. Il sabato e la domenica la spiaggia si riempiva di persone che fuggivano dalla città. Zito Luvumbo le osservava, per il semplice gusto di un narratore che cerchi le sue storie fra i corpi e i volti di sconosciuti. E a volte, seduto nella penombra di un chiosco, Zito Luvumbo perdeva le sue sembianze e assumeva quelle dello scrittore, uomo silenzioso e taciturno, che beveva limpide sorsate da una Tennent’s e scriveva sul suo taccuino nero. E lo scrittore vedeva trame segrete di traffici clandestini, furti e rapine, di uomini che si trovavano sul bordo della legalità, sempre pronti ad oltrepassarlo ogni volta che si manifestava l’esigenza e il bisogno dei soldi e dell’azione criminale.

Lo scrittore immaginava storie di spaccio e violenza, prostituzione e gioco d’azzardo. C’era anche una distanza fra lo scrittore e quel mondo, perché sapeva bene di non  farne parte, se non nel continuo lavoro della sua fantasia e di quello che sarebbe successo al suo interno. 

Poi Zito Luvumbo tornava a casa e aspettava. A volte riceveva telefonate, altre trascriveva su un quaderno le sue impressioni, altre ancora guardava vecchi film o leggeva un libro. Le notti cucinava cene leggere, con spezie orientali e odori del Mediterraneo e poi si sdraiava su un divano sul terrazzo a guardare le stelle. E da qualche parte, nella sua giovinezza, c’erano state amanti e la gioia e il mistero del sesso e l’inquietudine di scoprire cosa si celasse fra le gambe delle donne e nel loro cuore. 


domenica 6 ottobre 2024

ZetaElle #5

 Bolle di tempo nelle quali rimanere sospesi a raccogliere dati, a registrarli, a inserirli in possibili combinazioni psichiche e mnemoniche. Ogni volta che si cambiava ordine alle informazioni in nostro possesso diveniva evidente la possibilità di nuove configurazioni della realtà. Alcuni seguivano un approccio meno razionale e si affidavano a competenze sciamaniche, altri ancora preferivano il misticismo orientale, la meditazione e il controllo della respirazione e dell’energia sessuale. Bolle di tempo nelle quali osservarsi in un determinato punto del presente, prima che esso diventi passato o futuro e si perda nel flusso dell’esistenza. Riflessi negli specchi che rimandano un’immagine invecchiata. Altri in cui il riverbero dorato della luce dava una parvenza di gioventù a quello che eravamo diventati. E poi il ripetersi e il sapere di fare parte di questa ripetizione fino a quando ci avrebbero chiamato da un’atra parte. Zito Luvumbo aveva imparato a seguire questi richiami e a modellare la sua vita sulla presenza di questi voci, alcune inventate da suoi doppi, altre da chi gli diceva cosa fare e lo pagava per questo.

L’incontro con Hector Mosca avvenne all’interno di una stanza dell’ambasciata messicana, la giornata era calda, eravamo verso la metà di giugno e Zito Luvumbo si diresse verso Villa Torlonia, accanto alla quale c’era il palazzo dove avrebbe incontrato Hector Mosca. Le sostanze stupefacenti, in questo caso cocaina e eroina, seguivano i loro tragitti, misteriosi e sconosciuti alla maggior parte delle persone. C’era sempre il bisogno di tracciare nuove mappe e nuovi percorsi, in una continua trasformazione del mondo geografico in una serie di passaggi attraverso i quali far arrivare i carichi. Coperture diplomatiche e collaborazioni internazionali. Anche John Bosco partecipò all’incontro, perché una figura religiosa era sempre incline ad offrire un ottimo diversivo, un orizzonte sacro contro il quale la morale si appiattiva fino a diventare una linea di demarcazione lontana e irraggiungibile e quindi i loro atti sarebbe stati protetti e il significato delle loro azioni al sicuro da qualsiasi giudizio. 

L’aria condizionata era in funzione nella stanza in cui si incontrarono e una donna portò del caffè e attraverso i vetri la luce del giorno filtrava mentre erano seduti su comode poltrone di pelle e Zito Luvumbo pensò a tutti gli uffici in cui si era dovuto sedere ad ascoltare e pensò che le parole non erano altro che virus letali in azione, capaci di distruggere vite umane e di moltiplicarsi all’infinito. Victor Mosca bisbigliava, in una strana cantilena da insetto indifferente e le sue sembianze avevano qualcosa di febbrile reticenza verso il prossimo, come se si stesse trasformando nella sua prossima forma, quella di uomo devoto al silenzio e all’abisso di significati che esso racchiudeva. 

Furono presi accordi, anche se nessun documento venne firmato.  Si alternavano nella mente di Zito Luvumbo le pulsanti linee di un disegno molto dettagliato, una cartografia tridimensionale di paesi ancora sconosciuti, di una nuova ridistribuzioni di confini e frontiere, tanto che si chiese se non avessero aggiunto qualche sostanza al caffè che aveva bevuto. Nella stanza, ad un punto imprecisato della giornata, entrò anche il dottor Woyzcek, quasi un’apparizione trascendentale chiamata da forze invisibili, rimase per pochi minuti, raccontando una sua esperienza avuta con l’ayahuasca e ricordando ai presenti la necessità di compiere un periodo di ritiro , di almeno un paio di settimane, in qualche centro cerimoniale della foresta peruviana, per alleggerire il corpo e la mente dai carichi superflui delle ossessioni lavorative, consumistiche e capitalistiche - Un ritorno all’origine di noi stessi, uno spogliarsi degli strati di comportamenti compulsivi che non ci appartengono, un risollevarsi verso la purezza dimenticata all’essere, nella notte, nelle visioni, nei canti di un passato indecifrabile eppure così vicino alla comprensione del cuore di ognuno di noi. È quando inaridiamo dentro, disse il dottor Woyzcek, che dobbiamo domandarci cosa stiamo facendo e dove sia finita la sorgente della nostra energia interiore.


sabato 14 settembre 2024

ZetaElle #4

 Nelle mattine di quiete e luce Zito Luvumbo usciva dalla stanza del suo albergo e  passeggiava per le strade del quartiere, ancora silenziose e poi, dopo le sette, se ne andava ai giardini di Piazza Vittorio, si sedeva su una panchina e ripassava mentalmente le parti che avrebbe dovuto interpretare e i dialoghi che avrebbe dovuto recitare quando i giusti interlocutori si fossero presentati. Ogni intervallo di tempo racchiudeva una serie di passaggi, a volte sconosciuti, che lo avrebbero portato a quello successivo. Sarebbero così cambiati i luoghi d’azione e le finalità dei propri gesti. Nuovi contatti e nuovi schemi. 

Zito Luvumbo e John Bosco si incontrarono all’interno del mercato dell’Esquilino, rispettivamente nelle vesti di un rifugiato politico e di un religioso, parlavano mentre camminavano, fermandosi ogni tanto davanti a una bancarella, come se fossero interessati all’acquisto di qualcosa. C’erano messaggi che venivano comunicati tra le parole e i codici che Zito Luvumbo registrava da qualche parte nella sua mente. Codici che sarebbero poi diventati sequenze di gesti in situazioni successive o all’interno di scene oniriche. John Bosco era sorridente e proveniva da qualche paese africano. Le tecniche di guerriglia militare che in un periodo della sua vita aveva imparato venivano decodificate e assorbite dalle orecchie di Zito Luvumbo, mentre le paragonava con le sue e le sistemava in zone mentali, in cui l’azione era sempre accompagnata dalle armi e la violenza diventava un linguaggio che oscillava tra reazione e rivoluzione. C’era una storia mondiale che uomini avidi avevano inventato e che altri, meno legati a soddisfare il proprio ego, avevano cercato di cambiare e riscrivere, fino a quando il potere e le sue perverse logiche li avevano ingabbiati tutti quanti. Le prigioni fiorivano nelle menti e si trasformavano in ideologie e gli uomini, intrappolati in allucinazioni collettive, si abbandonavano all’inganno del momento, fino a quando quello successivo sarebbe arrivato.


domenica 1 settembre 2024

ZetaElle #3

 Alcune mattine Zito Luvumbo si alzava molto presto e vedeva la luce del giorno arrivare piano nella sua stanza e lentamente illuminarla. E rimaneva come in uno spazio mentale sospeso, che si riempiva di ricordi perché le aspettative e i progetti appartenevano ad un altro ordine del tempo e delle cose. Ricordava i giorni della sua infanzia e quelli della giovinezza e la distanza da essi e anche le storie che qualcuno aveva scritto per lui e le identità che lo avevano sedotto e quelle da cui era rimasto disgustato e i vari passaggi da una all’atra, come i cambi scenici nei sogni e gli incontri e i luoghi in cui si ritrovava a vagare prima del risveglio.

Zito Luvumbo era all’interno degli scantinati di un grande palazzo d’epoca in rovina, tra i calcinacci e i resti dei lavori di ristrutturazione che operai invisibili stavano portando avanti. Operai che sarebbero apparsi solo dopo, quando Zito Luvumbo sarebbe stato sul punto di uscire da quel palazzo, seduti in fila su un muro, a parlare o fumare sigarette, in attesa di qualcosa o di qualcuno. Negli scantinati Zito Luvumbo aveva incontrato un uomo cinese e con lui aveva conversato in italiano, una lingua che al momento il suo personaggio sapeva parlare correttamente. L’uomo, che sembrava occuparsi di affari, lo aveva accompagnato attraverso un grande cortile dall’assetto decadente in un’altra serie di stanze che si aprivano nel sottosuolo e lì lo aveva fatto sdraiare su un letto. Dopo pochi minuti era stato raggiunto da alcune ragazze orientali che quasi immediatamente gli avevo mostrato le loro grazie e sussurrato nelle orecchie le loro proposte. Lo avevano accarezzato ed eccitato, sfiorandolo con le loro dita che sapevano sempre dove toccare. Zito Luvumbo le aveva lasciate fare, sentendo l’energia sessuale scorrergli dentro. Ebbe una erezione e si chiese a quale perversione avrebbe potuto cedere senza perdere il controllo di se stesso. Le ragazze ridevano e una di loro tornò con un cazzo di plastica attaccato ad una cintura e tentò di infilarglielo nel culo. Zito Luvumbo adesso era un altro e l’altro pensò che erano giorni che non aveva un orgasmo e ripassò nella mente la lista dei suoi piaceri proibiti. Poi le immagini sfumarono e ad un tavolo Zito Luvumbo era di nuovo con l’uomo cinese e stavano parlando di affari. L’uomo beveva champagne da una coppa di vetro, ne offrì una a Zito Luvumbo che rifiutò, rimanendo in silenzio ad ascoltarlo. Poi era fuori dal palazzo, lontano dagli operai in attesa, vagava per la città, cercando di raggiungere il luogo che l’uomo cinese gli aveva rivelato prima che si separassero.


mercoledì 14 agosto 2024

ZetaElle #2

 A volte Zito Luvumbo se ne stava seduto per ore su una delle panchine dei giardini di Piazza Vittorio, parlando con altri stranieri o rimanendose in silenzio a contemplare gli alberi e i palazzi e i cambiamenti della luce. E in quei momenti ricordava: volti, espressioni, corpi e addii. Le separazioni soprattutto sembravano quelle che la sua memoria rielaborava in sequenze mentali, alle quali Zito Luvumbo si abbandonava con gli occhi chiusi. Arrivavano anche odori lontani ed echi di discorsi a trovarlo e lui li lasciava passare e di rado si perdeva in un labirinto di malinconia perché il presente gli era intorno e il passato sarebbe svanito e con esso tutte le identità che aveva creduto di possedere o che qualcuno gli aveva narrato affinché le imparasse  e le facesse sue. 

C’era stato un tempo in cui era stato parte di una famiglia o nel quale aveva capito e provato cosa significasse quella parola. Poi quei legami si erano affievoliti, fino a sciogliersi. Poi erano arrivate catastrofi, guerre e carestie. Erano stati costruiti campi profughi e zone di interesse. I conflitti si ripetevano all’infinito. Zito Luvumbo aveva fatto parte di combattimenti, con divise militari o senza di esse, aveva avuto una moglie e dei figli e ancora adesso ripeteva mentalmente i loro nomi, come se accarezzarne il suono significasse averli vicini. Era stata una sfida superare il sordo muro di ogni dolore e trasformarlo in una storia diversa, estranea, che gli conferisse il potere di essere un altro, all’interno della quale fosse possibile superare lutti e disgrazie e ridefinire la parola amore senza che potesse più ferire il suo cuore. Ombre e luci. Come quelle che si inseguivano e vibravano e danzavano davanti ai suoi occhi. Il riverbero del deserto. Le stelle nelle notti di veglia e preghiera. Tutti quei corpi che non potrà toccare mai più.

Un uomo si sedette vicino a Zito Luvumbo e i due parlarono in arabo e poi l’uomo gli passò una cartellina con dei fogli e alcuni documenti. Dei bambini giocavano e dei ragazzi ridevano e scherzavano. La vita era un inganno. E ogni inganno una vita da inventare.


lunedì 29 luglio 2024

...

 "Se Bozena fosse stata bella e pura, e se lui, in quel periodo, fosse stato capace di amare, forse l'avrebbe morsa, rendendo a lei e a sé la voluttà intensa fino al dolore. Perché la prima passione che insorge in un adolescente non significa amore per una donna, ma odio per tutte. la consapevolezza di non essere compreso e di non comprendere il mondo, non è una caratteristica, fra tante, del primo amore, ma la causa unica di esso. E quell'amore è una fuga, in cui l'essere in due significa solo un raddoppio di solitudine.
La prima passione, di solito, non dura a lungo e lascia un gusto amaro. Essa è un errore, una delusione. Una volta superata, non comprendiamo noi stessi e non sappiamo a cosa darne la colpa. Questo, perché i personaggi del dramma, per lo più, si uniscono accidentalmente, sono compagni di fuga occasionali. Alla prima sosta, non si riconoscono più. Scorgono quello che li oppone, perché non vedono più quanto hanno in comune.
Con Törless andò altrimenti, soltanto perché era solo. Quella mondana attempata e decaduta non potè toccarlo nel profondo. Ma era abbastanza donna, tuttavia, per fare salire precocemente alla superficie del suo animo caratteri che attendevano il momento della fecondazione, come germi maturi.
E poi i prodotti della sua immaginazione, le tentazioni della sua fantasia. Ma a volte era tentato di buttarsi per terra e di gridare dalla disperazione."

Robert Musil
Il giovane Törless

ZetaElle #10

I pensieri dello scrittore e quelli di Zito Luvumbo sembravano essere simili. A volte erano affollati da strane presenze, quelle che la soli...