domenica 12 ottobre 2025

NPK #2

 Le serate a Ostiense, a giugno, che quasi mi ero dimenticato quanto fosse bello uscire al tramonto e bersi una Peroni e sentire la testa farsi più leggera e osservare i colori del cielo e le forme geometriche del gazometro che qualcuno aveva scambiato per una montagna russa vedendola dalla metro, dopo Garbatella e io e Lorenzo stavamo discutendo di cinema e di droghe e del rapporto tra cinema e droghe e anche della possibilità di un uso scientifico delle sostanze, sempre ammesso che uno riesca a trovarle, pensavo dentro di me, non che ne sentissi il bisogno, il ricordo degli effetti psichedelici arrivava lo stesso nel mio cervello e lo spettacolo, a suo modo, iniziava - Era tutto lì dentro, nella nostra testa e quando ero tranquillo e senza troppa gente intorno mi sedevo nella mia sala mentale e osservavo la realtà con occhi diversi, scivolando in quel tipo di percezioni che più preferivo, anche con Lorenzo e Marco avevo le stesse sensazioni, era molto piacevole stare con loro. 

Poi abbiamo cenato in un ristorante eritreo e si sono aggiunte altre persone e qualcuno raccontava storie di scuole di periferia, di ragazzini cocainomani e sbruffoni, violenti e senza regole, figli di pregiudicati che venivano in classe e facevano il cazzo che volevano, a volte avevano coltelli, più raramente pistole, non quelle vere, ma molto simili, che cazzo di situazione, che razza di bucio di culo uno si sarebbe dovuto fare per provare a insegnare lì dentro, eppure qualcosa mi affascinava, forse il rischio di affrontare un’esperienza così estrema e vedere se avrei avuto il coraggio di provare a cambiare la situazione o se mi sarei semplicemente adattato a quello che avrei trovato - Erano arrivati messaggi indesiderati di gente con cui avevo perso i contatti, vecchi compagni di scuola di cui non me ne fregava più un cazzo e che non volevo assolutamente rivedere, come avevano avuto il mio numero? Perché si ripresentavano come fantasmi del passato? Avevo silenziato la chat nella quale mi avevano inserito, poi ero uscito dal gruppo e vaffanculo - Faceva caldo il giorno e i pensieri cominciavano ad evaporare, a svuotarsi o a sciogliersi in serie e sequenze di frasi sconnesse che borbottavo fra me e me - Il mondo stava deviando verso una nuova deriva di guerre e follie, non c’era via d’uscita, non c’era soluzione, le piante di marijuana stavano crescendo bene, promettendo un’ottima estate che avrei passato da solo, a fumare sul balcone, a guardare le stelle, a guardarmi dentro, a rimanere fermo proprio quando ognuno fremeva dal bisogno di muoversi senza neanche sapere più dove andare.



sabato 4 ottobre 2025

NPK #1

 Le serate passate al Pigneto, a vedere spettacoli di improvvisazione teatrale dentro locali mezzi vuoti, le birre una dietro l’altra, le performance di Lorenzo, la sua voce che diventava diversa, il suo corpo che si trasformava in una esaltazione panica del dolore e della poesia, poi ci ritrovavamo seduti a chiacchierare, mentre qualcuno ci passava un po’ di emmedì e poi eravamo per strada, ancora birre e poi seduti sui gradini di una chiesa, davanti alla tangenziale, ormai totalmente disorientati e persi nel tempo e improvvisa arrivava l’alba e con essa le prime luci del mattino, tanto da chiedersi dove fosse finita la notte o come avesse fatto a passare così velocemente e nulla era stato concluso perché in realtà non c’era mai nulla da concludere e così ci salutavamo e ognuno prendeva la sua strada con la speranza nel cuore di arrivare in una stanza in cui sarebbe stato accolto e in cui si sarebbe sentito sicuro e protetto.

Le mattine rinchiuso in casa, quelle passate a scrivere, altre a masturbarsi. Le mattine limpide, quelle con i postumi, i giorni che si muovevano lenti in un sudato scivolare di ore, le sensazioni tattili dell’estate quando ogni contatto diventava più sensuale, gli occhi che parlano, gli sguardi che seducevano, l’attesa della sera, di un nuovo incontro, di un’ennesima solitudine.

Allucinazioni metropolitane, insani ingorghi stradali, la città impazzisce tra incidenti invisibili e barbarie sonora, orde di motorini impazziti, macchine e autobus fermi, strombazzare snervante, l’ansia del ritardo, l’accalcarsi di gambe e culi e schiene e capelli, il manifestarsi del sudore tra impazienza, caldo e nervosismo - Le immagini ad alta definizione nei sogni, di boschi e temporali, di fulmini come fossero suture elettriche nella notte e poi fotografie in bianco e nero, di campi arati, di campagne, di colli, di fiancate, di vallate, graffiate e astratte, in una rappresentazione primitiva e violenta del mondo.

Le cene nei ristoranti africani insieme a Marco e a Lorenzo, mentre ascoltavo le loro storie e i ricordi, mentre parlavamo di cinema e anarchia, forme di autosufficienza e acido lisergico, altre volte ci ritrovavamo in una vecchia sede dei compagni e proiettavamo film e ci perdevamo in quello che vedevamo per poi riemergere e rimanere in silenzio, alcuni attimi, elaborando mentalmente quanto visto attraverso nuovi codici interpretativi, eravamo sempre in pochi, sempre gli stessi, qualcuno si addormentava, qualcuno stappava un’altra birra, erano serate che mi sembravano come un’oasi di libertà e resistenza, senza nessuno che mi facesse domande o si aspettasse che parlassi, me ne rimanevo zitto, ogni tanto sparavo qualche stronzata, la luce dell’estate stava arrivando e ogni cosa, nel tardo pomeriggio sembrava brillare, i corpi magici delle ragazze, così invitanti eppure senza più nessun potere, si palesavano nella loro fulgida bellezza, nella loro gioventù come apparizioni apollinee, le guardavo, poi alzavo gli occhi al cielo, un giorno, un giorno, non ci sarei stato più, un avvolgente vuoto, una placida quiete, la morte dava spessore alla vita e ne sembrava la degna conclusione, ho dato un altro sorso alla birra, era quasi finita, Marco mi ha fatto un sorriso, sarebbe andato a prenderne un altro paio non appena avessi terminato la mia.


martedì 2 settembre 2025

Warsaw #4

 Ci saremmo dovuti incontrare in uno degli sporchi vicoli del quartiere Praga o forse all’interno di uno degli anonimi corridoi di un palazzo fatiscente, lo scrittore lo sapeva, sarebbe dovuto arrivarci da solo, seguendo quei riflessi di luce che avrebbe  intravisto mentre camminava. 

Una volta dentro al quartiere lo scrittore iniziò ad adocchiare i soliti miserabili  che ciondolavano nel bianco delle strade in attesa che arrivassero, in qualche imponderabile modo, i soldi per l’alcol e le droghe. E qualcosa nel cuore dello scrittore scattò e pensò che non voleva più fare parte di questi tristi scenari e che era stanco dei soliti intrecci narrativi che lo vedevano vagare in zone squallide e desolate, lerce e degradate, si sentiva logorato da quella deriva umana e intanto la sua testa si faceva più leggera e anche il suo corpo sembrava stesse perdendo consistenza e allora lo scrittore chiuse gli occhi e senza accorgersene, senza avere l’impressione di muoversi, quando li riapri si ritrovò a camminare fra i piccoli viali del parco Lazienki, con Sabina al suo fianco, in una serie di immagini in cui si sentiva calmo e a suo agio, circondato da comitive di alberi, alcuni molto alti, pieni di foglie che vibravano nell’oro dell’aria di un tardo pomeriggio di primavera e lo scrittore si scoprì felice di fare parte di quell’improvviso incanto e si chiese se non sarebbe stata più facile la sua vita se avesse lasciato andar via personaggi e situazioni, descrizioni e soliloqui e se ne fosse rimasto in disparte nel susseguirsi dei giorni, perdendosi nella meraviglia lucente e mutevole della realtà, aspettando che il tempo si sciogliesse nei suoi percorsi circolari e amniotici, senza più domande da porsi sui prossimi capitoli da scrivere, sulle storie da inventare, su quelle che avrebbe voluto dimenticare una volta per tutte. Eppure tempo e racconto sembravano essere complementari o almeno lo erano in quello che succedeva nella sua mente, nella irrefrenabile e costante necessità di trasformare in parole quanto vissuto, lungo i margini dello specchio, nell’abisso della psiche, nelle fughe serali e siderali verso le stelle. 

Io e Sabina siamo arrivati ai bordi di un prato dove altra gente già si era seduta sull’erba, stava per iniziare un concerto di musica classica, ci siamo sistemati a gambe incrociate, poi le prime note si sono liberate dagli strumenti e con loro una lontana melodia si è fatta più vicina, ho chiuso gli occhi e sono andato a visitare alcuni piacevoli luoghi in cui non ero ancora mai stato.

domenica 3 agosto 2025

Warsaw #3

 I primi contatti erano avvenuti durante la notte in un delirio mentale che lo scrittore non sapeva come decodificare, sembrava la lotta fra due agenti psichici opposti ma complementari che suggerivano tediose situazioni influenzali e paramediche che non  nascondevano, al momento, nessun messaggio segreto, nessun sottotesto - Era semplice confusione prodotta da strani movimenti intestinali, cattiva digestione a cui si accompagnava la stanchezza di lunghe camminate e i sintomi esplosivi di sinusiti allergiche che scombussolavano la chimica interna dello scrittore - In questo stato alterato era facile confondersi e interpretare male i segnali che arrivavano dal corpo - Al tramonto, nelle tenui luci della sera, tra il rosa, il viola pallido e l’azzurro solitario, lo skyline della città si stagliava irremovibile nel cielo, componendo una serie di simboli tecnologici, alieni e primitivi in attesa di una possibile interpretazione, un codice architettonico che sarebbe stato assimilato solo da un certo punto di vista, da una posizione visiva strategica e intuitiva, ovvero quella in cui adesso mi trovo, seduto sul terrazzo di Sabine - Poi hanno cominciato ad illuminarsi in maniera intermittente le luci sulla sommità degli edifici e sulla punta delle antenne, mentre noi cenavamo, bevendo lentamente vino bianco, parlando e osservando quello spettacolo contemporaneo - Lo scrittore intanto si domandava se non ci fosse uno schema interpretativo per quel pulsare luminoso, una specie di linguaggio morse elettrovisivo, poi prendeva appunti mentali di quelle sequenze, sperando che dopo, nel reimpasto notturno dei sogni o nello svelarsi diurno delle visioni ad occhi aperti, acquisissero nuovi e irrazionali significati - Le visioni del giorno intanto proseguivano nel montaggio dei riflessi sulle superfici che lo sguardo catturava in frazioni di secondo simili a quelle necessarie da un otturatore per scattare una foto - Lo scrittore poi sceglieva quelle indicazioni metafisiche come i segnali del percorso da seguire - E ancora le architetture e gli schemi di linee e angoli e il bisogno quasi fisico di fare foto, di cogliere quelle improvvise composizioni, di riproporle da prospettive diverse e inusuali - Messaggi scomposti durante la notte, nebulose gastriche in collasso fra loro - Mangiato pesante? - La mattina non era stata delle migliori, sudore fra le coperte, la lotta continuava, la luce ci avrebbe spiegato il resto.

martedì 8 luglio 2025

Warsaw #2

 Improvvisi risvegli di luce in cui la città appare bianca e splendente con i suoi palazzi di marmo, per poi frantumarsi nei riflessi delle vetrate degli edifici di assicurazioni e banche del terzo millennio - Gli uffici ancora vuoti mentre lo spazio della casa dove mi trovo prende nuove ed inusuali forme e posso scoprire profondità inaspettate, giochi imprevisti di vuoti e pieni, strane angolazioni i cui vertici rimandano a un modo di vivere diverso.

Nessun messaggio, nessun contatto, nell’attesa che Sabina si svegli, che venga a prendermi e mi porti con lei nelle percezioni di una città ancora da scoprire. Forse la sua proiezione psichica, quella di strade e quartieri sconosciuti, entrerà in sintonia con la mia onirica predisposizione a perdermi, creando così una sinestesia metropolitana dove potrei ritrovarmi da solo a passeggiare, sentendone la presenza nei pensieri alieni e nelle scelte da non prendere. L’arte del non fare.

Gli echi dei discorsi si smorzavano, i fuochi sembravano ormai distanti, c’erano state feste e canti e balli e poi la drastica apparizione, maligna e inquietante, delle suadenti simmetrie di mentalità votate e vendute al consumo e al capitale - Era quello il luogo in cui insorgere, ridefinendo così la geometria sovversiva di una morale che invece si era stabilizzata in un’etica rigida e ansiosa di conformarsi con ogni minaccia, ogni eccidio, ogni sopruso. Rivoluzione poteva anche significare arrendersi alla vita e sperare che tutto passasse senza troppi danni e che degli atti di cui eravamo stati testimoni non rimanesse più nessuna traccia. La storia andava smarrita. Perché ci fosse l’illusione che gli uomini non avessero ancora parole da dire e che il silenzio che nel buio dei secoli li avrebbe inghiottiti non fosse altro che il vagito di una pallida vita, una arcaica aurora appena nata e subito dimenticata.

lunedì 30 giugno 2025

Warsaw #1

 Apparivano le case, i balconi, le tende, i graffiti sui muri, tutto scorreva come le sequenze di un sogno, come se stessi partendo ancora, quei colori che sfumavano al lato della vista e le poche parole sussurrate da stanchi turisti, mentre la città svaniva e con lei la rete di eventi passati, l’intreccio di ore e azioni, da cui lo scrittore era di nuovo libero e si poteva ricollegare con la trama segreta e i paragrafi sintetici di un romanzo differente, nel quale le identità scomparivano o finivano sempre per sdoppiarsi e ripetersi e così non c’era più il bisogno di fuggire in quelle dimensioni parallele così invitanti, perché esse si manifestavano nei riflessi di vetri e oggetti, nei segmenti mobili che ogni velocità meccanica o psichica aiutava ad ottenere e all’interno di questo turbinio cognitivo il caos della percezione diveniva fluido e presente e lo potevo sentire nel mio cuore e nei respiri e mi ritrovavo così nella  magica condizione di allontanarmi dalle distrazioni quotidiane e di riavvicinarmi al centro pulsante del mio essere - Improvvise variazioni sulla tela visiva, il verde della campagna e dei prati, rigoglioso, selvaggio, incontrollato, erano solo campi ma avrebbero potuto essere sconfinate praterie di pura immaginazione, senza fili spinati, senza la violenta colonizzazione della ragione - Sarebbe bastato anche solo un albero  e il silenzio e un mondo che stava conoscendo la sua fine a darmi una direzione da seguire - Avrei atteso ancora, non c’erano più orari da rispettare, lo scrittore proteggeva il suo sguardo con lenti opache - Le ombre si allungavano, il manoscritto variava e prendeva una forma diversa, quella di un nemico in una notte ostile, un mare purpureo che lambiva i fianchi e le scogliere di una montagna solitaria, un’isola perduta nella memoria, una porta oscillava nel vuoto violaceo, incapace di capire sé stessa e la sua funzione all’interno di un unico mistero, solo per tornare a chiudersi e ad aprirsi, così sarà il tuo cuore, disse una voce, ogni volta che qualcuno tenterà di chiedere il nome di chi è divenuto null’altro che un’ombra al suo interno, un ricordo svanito nelle maree del tempo. 

venerdì 20 giugno 2025

ZetaElle #39

 Immagini di paesi dell’entroterra del Marocco, nascosti fra verdi vallate, i nostri corpi appena svegli sulle pendici di una montagna avvolta dalla nebbia, le piantagioni di marijuana, i canti dei muezzin, poi il silenzio di una casa, quello dell’anima, il silenzio che lo scrittore aveva smesso di praticare come una forma di meditazione: su sé stesso, il mondo, la scrittura, quello che aveva intorno e dentro.

Immagini di una vita che qualcuno, in altri luoghi onirici stava portando avanti, nelle sue vesti e nella sua fisionomia continuamente in mutazione. Stili alternativi e il richiamo di Samara a raggiungerlo ovunque lei fosse. E la casa di Ahmed e la sensazione che qualcosa era stato rubato o sottratto, mentre lo scrittore vagava per corridoi e stazioni e l’improvvisa presenza del suo corpo all’interno di una macchina, che si fermava sul bordo della strada, in una notte avida di vento, nella quale gli alberi ondeggiavano e si piegavano, alcuni fino a spezzarsi e poi le luci che scendevano dalla facciata di un palazzo diroccato e file di adolescenti sciamavano per la strada, irriconoscibili gli uni dagli altri, le ragazze con le gonne corte e le gambe nude e spacciatori invisibili che si aggiravano per vendere le loro sostanze, i loro sogni, le loro illusioni.

Durante le settimane passate, qualcuno aveva suggerito di cambiare i nomi dei personaggi e così Zito Luvumbo aveva perduto la sua identità ed era diventato Zimbo LLewylin, mentre ennesimi caratteri psicotici blateravano nella mente dello scrittore, che alta voce provava battute e dialoghi che mai avrebbe trascritto, lasciava che le parole fluttuassero nell’aria dell’appartamento, a volte rideva delle cose che diceva, altre aveva un senso di pungente panico, nel caso stesse per impazzire completamente e qualcuno lo stesse ascoltando.

Risvegli mattutini in oasi metropolitane inconsce, non c’era bisogna di alzarsi, di uscire, di fare niente. Eppure la scrittura esigeva la sua presenza, si insinuava nelle pieghe del sonno, in quelle dei pensieri e lo scrittore tornava ade essere sé stesso, immaginando cose, sentendo voci, lasciandosi libero di esistere ed emergere nello spazio che i suoi sogni continuavano a circondare di mistero.

lunedì 16 giugno 2025

ZetaElle #38

 Ipnotici inseguimenti notturni, con sequenze ad alta velocità e ad alta definizione, per poi ritrovarsi chissà dove, ammessi a feste private, mentre si cercavano tra i volti e le maschere i vecchi compagni di un tempo - Le serate passate con Ahmad a bere vodka e a giocare a scacchi, provando a comunicare in una lingua che stavamo inventando notte dopo notte, un nuovo esperanto, era come aprire le possibilità del linguaggio a quelle della nostra psiche e vedere cosa accadeva, mi sembrava quasi che in alcuni momenti riuscissimo a creare delle connessioni telepatiche che la vodka sembrava facilitare per poi far scivolare via i pensieri nel cesso della memoria, quando il giorno dopo rimaneva nella scatola cranica un vuoto amniotico, una salvifica cancellazione di quanto era successo, una amnesia temporanea che dava spazio ad ogni possibile rielaborazione narrativa - Intanto lo scrittore sembrava essere scomparso e le sue parole risuonavano come incomprensibili mugolii, scatti di rabbia repressa, sommesse preghiere, inviti silenziosi e la sua ombra vagava nelle sedi anarchiche dove i film della mente venivano proiettati e lui era una fumosa figura avvolta dal mistero del proprio silenzio, mentre beveva birra e osservava le immagini sovrapporsi e perdersi nella circolarità di viaggi lisergici in zone incontaminate, deserti, ghiacciai, sacre farse, mentre la litania di una donna sembrava il canto funebre di ogni possibile tentazione comunicativa fra i due sessi, rimaneva l’alienazione di essere individui irraggiungibili, l’amore era una cicatrice interiore che non si sarebbe mai più rimarginata, la nudità del corpo e quella dell’anima, mentre simboli atavici prendevano il sopravvento e la macchina da presa seguiva come rapita i passi di un uomo che si voltava indietro solo per dimenticarsi di dove stesse andando - C’erano trappole ovunque, i viaggi in metro di notte solo per avere un alibi metropolitano nel quale credersi vivo, molteplici esistenze, molteplici identità, scambi di ruoli, rapimenti politici, l’eco delle bombe e delle armi, il frastuono di una esplosione, una serata a guardare il delirante teatro di un’improvvisazione snaturata, mentre i suoni si distorcono e le parole se ne fottono di qualsiasi messaggio potrebbero portare, rimane così la bellezza dell’atto e dopo solo la meraviglia di non aver capito nulla di quanto sia successo. 

domenica 15 giugno 2025

ZetaElle #37

 Lei era una principessa e lo sarebbe sempre stata. Nel mio cuore, nei miei ricordi. L’avevo vista ridursi in polvere, risucchiata da una siringa, perduta in una vena. Avrei voluto salvarla, fare qualcosa per lei. Tutte le notti che sono andato a trovarla, a casa sua, eravamo ancora dei ragazzi, le portavo un paio di birre forti, perché le se alleggerisse la pena di esistere, sapevo che non sarebbero bastate, quando me ne andavo, lei usciva, il buio l’avvolgeva, rendendola ancora più seducente e misteriosa, i bisogni e la ruota, gli incontri, i soldi che non bastavano mai, gli accordi, ogni storia che mi ha raccontato e che non avrei mai voluto ascoltare. 

La sua bellezza mi rapiva, mi avvolgeva, i suoi occhi erano oceani, erano universi e galassie in cui precipitavo e ogni volta che mi guardava scorgeva parti della mia anima sconosciute anche a me stesso, fra i riflessi delle nostre iridi c’era un linguaggio che non erano le parole a costruire ma i palpiti del cuore. 

Imparare ad amare significa anche cominciare a conoscere il dolore. E andare avanti.

Gocce sotto la lingua e bicchierini di sambuca, psicofarmaci e alcol, cambi della personalità e litigi, urla e lacrime, gesti folli, sentivo il suo furore graffiarmi dentro e poi improvvisa arrivava la dolcezza - Eravamo in macchina, non sapevo più cosa fare, ho accostato, cercando di farla calmare, ho provato ad abbracciarla, a baciarla, poi ho sentito i suoi denti sul mio naso, il sapore del sangue, mi sono messo a urlare, lei è uscita fuori dalla macchina, scomparendo nel buio.

Lei era un principessa e lo sarebbe sempre stata. Non l’ho più vista dopo quella notte anche se qualcosa della sua essenza permeava ancora la mia vita. Trovai un libro, un giorno, su una bancarella e c’era una sua foto, di quando era giovane, meravigliosa e malinconica, era un libro di poesie che le aveva dedicato il fratello. Lo lasciai lì senza comprarlo, accarezzando con la punta delle dita la sua immagine. Anni dopo ho saputo che era morta.    


domenica 1 giugno 2025

ZetaElle #36

 C’era un film da finire e quando tornavamo a casa non c’era nessuno ad aspettarci - Poi apparivano Anna e Franco e Lorenzo e lo scrittore che stava tagliando un panetto di hashish in un angolo della stanza e qualcuno sistemava i microfoni e i vecchi videoregistratori e le luci, poi iniziavamo a girare e Anna e Franco parlavano davanti alla videocamera, i primi piani, i capelli lunghi, il fumo delle sigarette e delle canne e lo scrittore prendeva appunti per una sceneggiatura che sarebbe stata scritta solo dopo che il film fosse stato finito - I ricordi di piazza Navona, dei tossici, di quando ci sedevamo ai tavolini e ci mettevamo a parlare liberamente di tutto quello che ci passava per la testa, fatevi crescere i capelli gridava qualcuno mentre mi faceva scivolare un acido in tasca  e chissà quando lo avrei consumato per poi rimanermene ore a guardare le persone passare per la piazza e i colori mutare e tremolare ed esplodere - Solo per non aver più nulla da dire e pensare che anche il tempo fosse fuggito via in una dimensione impossibile da definire, un mondo in cui ci eravamo ritrovati tutti e poi di colpo eravamo invecchiati e qualcuno era morto e questo film era rimasto incompiuto eppure sembrava che la vita, la vita di Anna, avesse avuto la possibilità di riscriversi da sola, lontana dalle videocamere e mi ricordava le serate in cui passeggiavo per il centro o mi mettevo sugli scalini di una chiesa a bere birra e fumare hashish e c’era della musica, c’erano artisti di strada, strani personaggi, strane situazioni, c’era quasi la certezza che il presente fosse nostro e noi fossimo parte di esso e poi ogni cosa è andata distrutta e sono rimasti frammenti e stavamo chiusi in camera, io e Lorenzo, a rimettere insieme questi pezzi di nastro, di memoria senza un’idea di quello che ne sarebbe uscito fuori e poi, anni e anni dopo, riemerse un film dal nostro subconscio e lo chiamammo come sarebbe stato giusto fare, lo chiamammo Anna, anche se di lei non avevamo saputo più niente - E tu che ancora mi chiami, a tarda notte e mi racconti la tua vita lontana e io ti ascolto, bevendo vino rosso, continuando a scrivere gli appunti di un ennesimo romanzo mentale, in questa fredda notte di stanchi pensieri, soggetti smarriti, tagli su nastri che portano ancora impresso l’odore della tua pelle di ragazza.



NPK #2

  Le serate a Ostiense, a giugno, che quasi mi ero dimenticato quanto fosse bello uscire al tramonto e bersi una Peroni e sentire la testa f...