sabato 16 novembre 2024

ZetaElle #13

 Hector Mosca aveva passato un nuovo contatto a Zito Luvumbo. Il contatto era quello di Ricardo, che lavorava come consulente informatico all’ambasciata americana di Roma. Avevano parlato una volta per telefono, rimanendo sul vago, scambiandosi alcune parole in codice con cui avevano fissato il loro primo incontro. Ricardo aveva accesso ai database dell’ambasciata e al suo sistema di sicurezza. Erano informazioni importanti e Zito Luvumbo sperava che, prima o poi, gli sarebbero tornate utili. Si incontrarono sulla spiaggia di Torvajaniva, dalle parti dello Zion, Zito Luvumbo ci era andato di mattina presto, come piaceva a lui, si era portato dietro un ombrellone e una piccola sedia a sdraio pieghevole, un libro e una bottiglia d’acqua. Si era sistemato alla destra di un pescatore, a qualche metro di distanza, la spiaggia era ancora quasi vuota e così si poteva sentire il rumore del mare e delle onde. 

Ricardo lo raggiunse verso metà mattinata, vestito in maniera semplice, con un paio di pantaloni corti e una maglietta di cotone, doveva avere una sessantina d’anni, i capelli grigi radi, parlarono in inglese e spagnolo, lingue che Zito Luvumbo conosceva bene e che usava quando le sue identità glielo permettevano. Zito Luvumbo offrì a Ricardo di sedersi sulla sua sedia a sdraio pieghevole e lui si mise a gambe incrociate sul nuovo telo da mare che aveva comprato poco prima da un uomo marocchino, Abdullà. Avevano anche parlato qualche minuto e Zito Luvumbo si chiedeva se quell’incontro avesse dei significati nascosti o fosse una pura coincidenza del caso. Se avesse rivisto Abdullà in altre situazioni e lui gli avesse detto le parole che Zito Luvumbo si aspettava che dicesse, il caso sarebbe diventato qualcosa di differente, forse delle linee su una sceneggiatura o righe sul nuovo libro a cui lo scrittore stava lavorando.

Arrivato a un punto morto con la sua immaginazione e stanco di ascoltare la voce che in testa gli diceva cosa scrivere, lo scrittore decise di andare a comprare un pò di fumo a San Lorenzo, non che ne avesse veramente bisogno, ormai fumava solo di rado, era il fatto di compiere una piccola missione, di avere qualche scarica di adrenalina, era solo un motivo per uscire di casa, staccare la testa da quello che stava facendo e immergersi in una situazione reale dai contorni letterari. Una situazione in cui si era ritrovato innumerevoli volte e che era  ormai diventata uno scenario narrativo. La stessa piazzetta di San Lorenzo offriva molti spunti teatrali con i suoi vicoli laterali dove si consumavano gli scambi soldi/sostanze e i ragazzi arabi e magrebini che spacciavano erano attori  febbrili di uno spettacolo notturno a cui lo scrittore aveva assistito un’infinità di sere e di cui aveva fatto parte negli anni della sua giovinezza. Il quartiere non era cambiato molto, solo più sporco, più degradato e lo scrittore provava anche una certa tristezza nel cuore perché sapeva che il tempo della sua vita che aveva trascorso in quella zona era bello che finito e non sarebbe più tornato. Non che gli mancasse, era solo la consapevolezza che come tutti, anche lui, stava invecchiando. Era ritornato a casa con una piccola pallina di hashish, si era fatto un canna e invece di mettersi a scrivere, aveva finito per perdersi, come al solito, nelle sue labirintiche e perverse fantasie erotiche.

martedì 12 novembre 2024

ZetaElle #12

 Hector Mosca telefonava a Zito Luvumbo, di sera, ronzando le sue impressioni sulla città, il caldo, la sporcizia, gli odori nauseanti che provenivano dai cassonetti, i miserabili con le loro tende e gli accampamenti abusivi, insomma il circo dell’orrore che qualsiasi insetto deviato avrebbe apprezzato e acclamato come suo sudicio paradiso in terra. Finita la telefonata Zito Luvumbo si andava a sedere sulla terrazza e pensava al mare e a quello che si trovava dall’altra parte e alle distanze, ai sussurri delle sue onde, ai campi profughi e alle morti a cui aveva assistito e alla memoria, alla sua memoria e a tuti ricordi che aveva chiesto che fossero riscritti o cancellati o proiettati in nuove sequenze. 

A volte con una bicicletta che gli aveva regalato John Bosco se ne andava per il litorale, di mattina, quando ancora non era troppo caldo, da Torvajanica a Ostia, passava per i cancelli, gli piacevano le forme delle dune e il loro odore, prima che arrivassero i bagnanti, con macchine e gas di scarico, chissà come sarebbe stato vivere lì durante l’inverno, quel tipo di solitudine sembrava più adatta allo scrittore che a lui e poi finiti i cancelli iniziavano chiazze di vegetazione spontanea, con la solita sporcizia lungo i bordi delle strade e le sedie di plastica delle puttane africane, che ogni tanto erano già sedute e lo salutavano con una lunga occhiata pensando che fosse un potenziale cliente o un potenziale guardone e Zito Luvumbo sorrideva e continuava a pedalare. 

E poi Ostia, fino alla rotonda e ancora più avanti dove qualcuno gli aveva detto che fra i palazzi rosi dalla salsedine vivevano malavitosi e delinquenti vari e che tra quelle vie i giovani ragazzi del luogo erano dediti allo spaccio di droghe e pensò che la razza umana era la più squallida, l’unica capace di scoprire la propria miseria e fare di tutto per non abbandonarla. 

Tristi pensieri nella testa di Zito Luvumbo. Mentre si fermava, ormai stanco, indeciso se arrivare fino al luogo dove era stato ucciso Pasolini, di cui gli avevano consigliato di leggere i libri e vedere i film e Zito Luvumbo decise che era meglio tornare indietro, che per quel giorno lo scorrere delle ruote e quello della mente era stato sufficiente e che bisognava riavvolgere il nastro e ricominciare da capo  e dire allo scrittore di cominciare a battere le dita sui tasti della macchina da scrivere.

Il Signor McKenzie era seduto davanti alla moglie, a gambe aperte sul divano dell’appartamento che avevano affittato in una località di mare poco distante da dove viveva Zito Luvumbo e la Signora McKenzie si stava toccando con le dita già umide e un dildo di discrete dimensioni era accanto a lei pronto per essere usato e mentre si masturbava raccontava al Signor McKenzie degli uomini che si era scopata quando erano stati lontani, insultandolo ogni tanto per la sua inutilità come marito e amante. Il Signor McKenzie ascoltava e forse, se fosse stato più giovane, si sarebbe tirato fuori il pene e si sarebbe fatto una sega davanti alla moglie o l’avrebbe presa per i capelli, messa a pecora e sbattuta con violenza da dietro e invece rimaneva in silenzio a guardarla, a sentire le sue parole e nel cuore risplendeva quello che poteva essere affetto per quella strana creatura che si era ritrovato accanto e ricordava le notti in cui perdeva coscienza di se stessa, diventando un’altra persona, a volte disperata, altre violenta, una persona con cui il signor Mckenzie si ritrovava vicino, cercando modi e soluzioni per calmarla, per guidarla in quel labirinto psicotico di cui nessuno dei due conosceva l’uscita. E c’erano stati dei rari momenti di calma e anche di amore da parte della signora McKenzie, quando guardavano film o parlavano d’arte e lei gli prendeva la mano e poggiava la testa nell’incavo della sua spalla. Il tempo non era mai stato un nostro alleato, pensò il signor McKenzie, poi prese la macchina fotografica e iniziò a scattare foto alla moglie. Mentre lei cambiava posizione, offrendogli tra un’umiliazione verbale e l’altra, il suo invitante posteriore.


giovedì 7 novembre 2024

ZetaElle #11

 Portami via, portami via da qui, ancora una volta, ripeteva lo scrittore ad una stella nel cielo. come fosse una preghiera affinché la vita tornasse a scorrere in un’altra direzione, inaspettata e umana, lontana da qualsiasi lavoro, perché erano tutte trappole, marce messinscene del capitale, rapimenti di tempo, furti di  energia. 

Zito Luvumbo avrebbe voluto, invece, fermarsi da qualche parte, creare una pausa nel suo costante errare, eppure sapeva che andare avanti era l’unico modo per rimanere immobili, nel proprio silenzio interiore, lasciarsi trasportare dalla vita ed avere così la sensazione del movimento. Girare in cerchio o seguire una linea. Oppure vedere il cammino curvare e chiedersi cosa ne fosse stato della geometria e della fisica e rispondersi che solo la poesia aveva senso e tutto quello che non era in grado di spiegare ma solo esprimere.

La signora McKenzie aveva voluto fare un pompino al signor McKenzie all’interno di un locale gay, davanti ad alcuni curiosi. Mr McKenzie non aveva avuto nessuna erezione e così il suo pene flaccido era rimasto inerme nella calda bocca della moglie. Lui non capiva molto bene cosa stesse succedendo, ma aveva voluto esaudire i capricci della bizzarra consorte, negandosi solo alla proposta di un omosessuale di succhiargli il cazzo insieme alla cara signora McKenzie. Qualcosa nella libido dello scrittore stava svanendo e le sue fantasie sembravano ombre distorte. E l’alcol e la musica e le droghe. E tutti gli scherzi che ci siamo fatti fino a quando nessuno aveva più la voglia di ridere.

I signori McKenzie avevano poi fatto una passeggiata notturna dalle parti di via dei Tribunali, tenendosi per mano, tornandosene mezzi sbronzi nel loro appartamento. La signora McKenzie parlava e sorrideva e sembrava felice. E raccontava i suoi sogni al signor McKenzie che li ascoltava e si domandava cosa passasse nella mente della moglie e nel suo cuore e fra le sue gambe. Misteri che non era mai stato in grado di risolvere ma nei quali si era rifugiato e perduto. Così, durante la notte, in uno dei suoi momenti di sonnambulismo, la signora McKenzie si era messa a passeggiare per l’appartamento, salendo su sedie e mobili, sussurrando consigli a sé stessa, in un dialogo interiore a fior di labbra. 

Il signor Mckenzie, la osservava dal letto, senza intervenire, a meno che non cominciasse a picchiarsi o a fare cose pericolose, come uscire da una finestra e buttarsi di fuori. Il Signor McKenzie ricordava una volta in cui la moglie se ne era andata in giro nuda, di notte, nel cortile di un altro palazzo, in cui avevano sempre affittato un appartamento per pochi giorni, compiendo piccoli passi di danza e parlando con le piante presenti per poi continuare la sua lunatica coreografia all’interno dell’appartamento, gentilmente accompagnata dal marito, preoccupato che qualcuno potesse osservare le stranezze notturne della moglie e chiamare la polizia. Poi si erano messi al letto e lei si era addormentata, lui l’aveva abbracciata, inspirando l’odore della sua pelle leggermente sudata.


martedì 5 novembre 2024

ZetaElle #10

I pensieri dello scrittore e quelli di Zito Luvumbo sembravano essere simili. A volte erano affollati da strane presenze, quelle che la solitudine sussurrava a entrambi e che il tempo aveva finito per lasciare libere di muoversi nel loro cuore. 

Lo scrittore poteva rivedere il suo doppio allontanarsi dalla giovinezza, pronosticando una perdita del desiderio sessuale che accentuava la sua tipica malinconia, la mancanza di erezioni in situazioni che prima lo eccitavano gli dava il senso di una vita che si trasformava e forse di una inaspettata liberazione. 

Gli echi delle bugie delle sue amanti erano, in alcune sere, ancora nell’aria, come i gemiti di una di loro, arrivata attraverso le pagine e i mesi a ridestare le sue sopite perversioni, mentre scopava con un ragazzo argentino nella medesima stanza in cui lo scrittore la osservava disteso sul letto, non sapendo bene che fare e finendo per prenderla a cinghiate sul culo e la schiena, in un impeto di incontrollata violenza. 

Zito Luvumbo passava sempre più tempo sulla spiaggia e si era accorto che alcune persone, di provenienza africana, dormivano dentro delle tende dietro le dune, probabilmente svolgendo piccoli traffici illeciti e passando gran parte della giornata distesi sulla sabbia, protetti da un grande ombrellone. 

La sera qualcuno accendeva un fuoco e Zito Luvumbo si univa a quelle persone e ne ascoltava i raconti e i ricordi e i viaggi e le fughe. E tutte le illusioni che ogni nuova vita portava con sé. Zito Luvumbo ascoltava e osservava e non aveva mai troppe domande da fare. Gli altri non sembravano essere sorpresi dalla sua presenza, era calda, amichevole e accogliente. Se qualcuno gli offriva da fumare o da bere Zito Luvumbo rifiutava gentilmente e sorrideva, ogni tanto si alzava, si allontanava dal fuoco, si avvicinava al bagnasciuga, ascoltava il mare, guardava le stelle e il riverbero della luna sulle creste fluorescenti delle piccole onde.

E il sesso? Si chiedeva lo scrittore, tutte quelle scopate, le fantasie, le ripetitive ossessioni con le quali hai marcato una bella parte della tua esistenza, che fine hanno fatto? Quel cumulo di fantasie che ritenevi proibite solo perché non avevi il coraggio o il gusto di confessarle e tantomeno condividerle, per la paura di ricevere un ennesimo rifiuto o una dolente incomprensione. Per poi finire in quelle stanze dove erano i soldi a dare forma e sostanza alle tue messinscene erotiche. Non che rimanesse poi tanto fra i fatti e la loro rielaborazione, era qualcosa di mentale, nascosto, che passasse poi nella pelle stava perdendo definitivamente importanza.

I coniugi McKenzie erano stati visti camminare per le stradine di Napoli, quelle vicino alla stazione per poi arrivare a Via Toledo e i Quartieri Spagnoli, proseguendo per piazza Dante, fino a giungere a un piccolo appartamento nel quale furono visti entrare e poi uscire qualche ora più tardi. La signora McKenzie pregustava le sue stranezze sessuali, sicura che il signor McKenzie non avrebbe obiettato alle sue richieste, qualunque esse fossero.

C’era il cuore a battere ancora, pensava lo scrittore, restio ad abbandonarsi ai ricordi, perché sapeva che le ferite inferte non si sarebbero rimarginate mai del tutto. Una stilla di sangue sarà come un palpito d’amore e una lacrima l’ombra liquida di un sorriso. Questa dolce tristezza che conosceva così bene. Zito Luvumbo, intanto, tornava verso il fuoco, sedendosi a gambe incrociate, le immagini dei volti amati che scivolavano sulla sabbia e poi un respiro e quello successivo, perché non siamo altro che brevi onde in un mare di misteri e sconfitte.

 

domenica 3 novembre 2024

ZetaElle #9

 Le serate sulla terrazza a guardare il mare, a sentirne gli odori e con essi i ricordi e una certa tristezza, una sua eco, a volte leggera, altre sinuosa come le onde, che si impossessava del cuore di Zito Luvumbo, mentre ripercorreva segmenti della sua vita, quelli che pensava suoi o quelli inventati da un altro o forse quelli che lo scrittore infilava nelle pieghe sbiadite delle pagine e dei fogli lasciati su scrivanie polverose. 

La tristezza per il tempo inafferrabile, per le immagini che sfuocavano, per le parole pronunciate e mai più ripetute, per la stanchezza che sentiva crescergli dentro e che poi sarebbe diventata la vecchiaia e una stanza nella quale attendere, in solitudine, il ripetersi infinito delle proprie malinconie. 

Ancora scenari onirici dove Zito Luvumbo o il suo doppio avevano fatto strani incontri, compresa una sequenza ricca di dettagli di un rapporto sessuale con un cadavere e la presenza minacciosa di un paio di uomini per strada, che lo stavano cercando e dai quali, quasi sicuramente, doveva scappare. 

Le incomprensioni di una vita sarebbero potute bastare anche per la successiva, così come le ossessioni non risolte e il loro incessante susseguirsi fino a quando ci si vedeva dal di fuori a compiere sempre gli stessi gesti, una voce nella testa a dire, che cazzo combini? Che cazzo stai facendo? E poi il silenzio, quando la notte si avvolgeva su sé stessa e il mare rollava placidamente e piccole luci sulla spiaggia, alcuni falò e ragazzi e ragazze intenti a conoscersi e scoprirsi, perché quella è l’età della magia e della speranza.

Gruppi di uomini armati irrompevano in case e compivano atti di violenza e malvagità e il Mediterraneo non era altro che un vasto manto per ricoprire la morte di migranti e profughi e il centro dell’Europa riscopriva le fascinazioni delle destre e del fascismo mentre le guerre mediatiche si succedevano e la fatalità di ogni conflitto divorava ogni coscienza superstite. 

Ci voleva una lucidità mentale costante per non lasciarsi stravolgere dalle maree dei media, tossiche e compulsive e per difendersi da esse ZIto Luvumbo si prendeva lunghi momenti nei quali non fare nulla, se non respirare e meditare e tenere la mente sgombra da attacchi psichici improvvisi. 

I personaggi andavano e venivano, si presentavano e scomparivano, mentre la mano dello scrittore si muoveva veloce, fra la bottiglia di gin e quella di Campari e un numero imprecisato di cubetti di ghiaccio che lo attendevano nel frigo.


martedì 29 ottobre 2024

ZetaElle #8

 C’era stato un incontro informale tra Zito Luvumbo, Hector Mosca, John Bosco e lo scrittore, in cui i primi tre avevano chiesto all’ultimo, senza troppi giri di parole, che cosa cazzo stesse combinando con la propria vita. C’era bisogno della pianificazione di una nuova fuga, di una infrazione all’apparente stabilità economica e sociale adottata dallo scrittore, che si stava miseramente imborghesendo, intrappolato di nuovo in una serie di problematiche del tutto prive di senso e romanticismo. Il doppio dello scrittore era finito un’altra volta a insegnare italiano agli stranieri in una scuola, un’altra identità che gli aveva permesso di rimanere in un contesto urbano e di connettersi con nuovi personaggi, ma adesso, secondo Zito Luvumbo, era tornato il momento dell’azione, di rimettersi in viaggio, di lasciare il tempo libero di riconfigurarsi in nuovi scenari apocalittici e alcolici (come se lo scrittore non bevesse già abbastanza). C’erano ennesime e molteplici identità da poter assumere: informatore, spacciatore, infiltrato, correttore di comunicati e opuscoli sovversivi, sabotatore, uomofantasma capace di osservare e riportare e trasformare e distruggere. Hector Mosca sembrava d’accordo, mentre ronzava i suoi suggerimenti e lo scrittore scivolava in un limbo psichico in cui rifletteva e immaginava, mentre serie di dati e contatti e parentesi di silenzio e malinconia ondeggiavano nella sua scatola cranica. C’era sempre la tristezza in qualche luogo del suo cuore a cui tornare ed echi di avvenimenti lontani che si stavano affievolendo ma liberarsi dal passato era e rimaneva la cosa più difficile di tutte. Eppure le parole di Zito Luvumbo non erano un rimprovero o una minaccia, erano un’esortazione, un incitamento, un modo non tradizionale, intuitivo e sensuale, di dire allo scrittore di riappropriarsi del proprio corpo, delle sue emozioni, delle sue parole e di scrollarsi di dosso le sembianze professionali che stava assumendo. Una metamorfosi di cui non hai bisogno, diceva Hector Mosca, con un sibilo a ultrasuoni, mentre alcuni cani cominciavano ad abbaiare in lontananza. John Bosco era rimasto in silenzio, sorridendo pacatamente, poi iniziò a mormorare un’antica litania e ci fu una vibrazione nell’aria e il luogo dove erano, nient’altro che una proiezione mentale, cominciò a trasformarsi e lo scrittore sorrise e comprese e il tempo svanì e con esso ogni sua svogliata e  stupida indecisione.

domenica 27 ottobre 2024

ZetaElle #7

 Le serate al circolo anarchico sembravano sempre degli happening surrealisti, con diversi personaggi che si alternavano e altri che erano sempre gli stessi, c’era un nucleo emotivo e narrativo che si era formato e lo scrittore lo osservava e lo assimilava, raccoglieva tratti distintivi di ognuno e poi li frammentava in possibili descrizioni e storie. 

Lorenzo appariva quasi sempre impassibile e in alcuni momenti prendevano voce i suoi pensieri e vagavano per la stanza venendo da chissà dove per poi disperdersi in ironiche frasi che sempre mi facevano ridere, c’erano state esperienze psichedeliche condivise da qualche parte, anche se non le avevamo fatte insieme e lunghe poesie scritte sotto l’influsso del mezcal e altre sotto quello dei funghi magici e sequenze oniriche trasformate in scatti fotografici analogici e copioni di spettacoli mai recitati, i cui fogli, sparsi sul pavimento dell’appartamento dove viveva, si raccoglievano, di propria iniziativa e si trasformavano in atti psichici che Lorenzo osservava seduto su una poltrona mezza sfondata, con un bicchiere ricolmo di qualche cocktail da poco preparato in mano.

Zito Luvumbo non sapeva nulla di questo circolo e forse qualcuno avrebbe dovuto invitarlo a una delle serate cinemotgrafiche o a quelle in cui si discuteva di alcuni dei problemi che affliggevano il nostro mondo: la guerra, il lavoro, la repressione, l’intolleranza. Eppure era come se Zito Luvumbo fosse là, con le sue storie del terzomondo, di resistenza e rivoluzione, di scritti politici, di tecniche di guerriglia, di sabotaggio dell’informazione. E l’ombra di Zito Luvumbo sedeva con gli altri, quando si prendevano decisioni, quando si pianificava l’azione, quando si scherzava, quando si afferrava la vita e la si trattava come era giusto fare.

Il caldo era arrivato e Zito Luvumbo, seduto sulla terrazza della casa sul mare, pensava e sentiva il flusso dei pensieri sciogliersi in un bianco e amniotico silenzio, in modo che fossero le immagini a scorrere e quello che si celava dietro di esse. E Lorenzo mandava messaggi segreti attraverso le porte della percezione cigolanti di contatti telepatici o lisergici, formule chimiche e connessioni provenienti dalla giungla, Zito Luvumbo riceveva i codici e li configurava in nuovi segmenti semantici. Seduto sulla terrazza, interiorizzava quello che Lorenzo, dalla sua poltrona sfondata gli trasmetteva. Gli altri compagni stavano stappando birre e ridendo e mischiando lo stridore dell’intelligenza con il fracasso delle risate di pancia, qualcuno parlava a ruota libera, Francesco teneva banco con il suo ininterrotto flusso verbale, lo scrittore era quasi sempre silenzioso, il passare dei giorni continuava a stordirlo, un film stava per iniziare e un’altra storia a prendere forma nella sua mente alterata.


lunedì 21 ottobre 2024

ZetaElle #6

 Hector Mosca propose a Zito Luvumbo di lasciare la stanza dell’albergo nella quale viveva e di andare in una piccola casa sul mare, dalle parte di Torvajanica, sul litorale laziale. Era una località anonima, carica di suggestioni letterarie che oscillavano fra trame malavitose e solitudini decadenti e Zito Luvumbo sarebbe stato libero di creare i personaggi della propria vita e impersonali oppure di darli ad altri uomini, quelli che, in un determinato momento, avrebbero preso il suo posto e avrebbero continuato il suo lavoro. 

Era quasi estate e così a Zito Luvumbo sembrò una buona idea quella di abbandonare la città e il quartiere e scomparire e riapparire in una casa sul mare, con un accesso diretto sulla spiaggia. E così Zito Luvumbo si ritrovò a vivere e pensare con il rumore delle onde che lo accompagnava fra le pareti della sua abitazione. Sul terrazzo, la mattina presto, prima che uscisse per una delle sua passeggiate. O la sera, mentre osservava il tramonto e lasciava la mente libera di vagare e i respiri si susseguivano in un ritmico movimento. Il sabato e la domenica la spiaggia si riempiva di persone che fuggivano dalla città. Zito Luvumbo le osservava, per il semplice gusto di un narratore che cerchi le sue storie fra i corpi e i volti di sconosciuti. E a volte, seduto nella penombra di un chiosco, Zito Luvumbo perdeva le sue sembianze e assumeva quelle dello scrittore, uomo silenzioso e taciturno, che beveva limpide sorsate da una Tennent’s e scriveva sul suo taccuino nero. E lo scrittore vedeva trame segrete di traffici clandestini, furti e rapine, di uomini che si trovavano sul bordo della legalità, sempre pronti ad oltrepassarlo ogni volta che si manifestava l’esigenza e il bisogno dei soldi e dell’azione criminale.

Lo scrittore immaginava storie di spaccio e violenza, prostituzione e gioco d’azzardo. C’era anche una distanza fra lo scrittore e quel mondo, perché sapeva bene di non  farne parte, se non nel continuo lavoro della sua fantasia e di quello che sarebbe successo al suo interno. 

Poi Zito Luvumbo tornava a casa e aspettava. A volte riceveva telefonate, altre trascriveva su un quaderno le sue impressioni, altre ancora guardava vecchi film o leggeva un libro. Le notti cucinava cene leggere, con spezie orientali e odori del Mediterraneo e poi si sdraiava su un divano sul terrazzo a guardare le stelle. E da qualche parte, nella sua giovinezza, c’erano state amanti e la gioia e il mistero del sesso e l’inquietudine di scoprire cosa si celasse fra le gambe delle donne e nel loro cuore. 


domenica 6 ottobre 2024

ZetaElle #5

 Bolle di tempo nelle quali rimanere sospesi a raccogliere dati, a registrarli, a inserirli in possibili combinazioni psichiche e mnemoniche. Ogni volta che si cambiava ordine alle informazioni in nostro possesso diveniva evidente la possibilità di nuove configurazioni della realtà. Alcuni seguivano un approccio meno razionale e si affidavano a competenze sciamaniche, altri ancora preferivano il misticismo orientale, la meditazione e il controllo della respirazione e dell’energia sessuale. Bolle di tempo nelle quali osservarsi in un determinato punto del presente, prima che esso diventi passato o futuro e si perda nel flusso dell’esistenza. Riflessi negli specchi che rimandano un’immagine invecchiata. Altri in cui il riverbero dorato della luce dava una parvenza di gioventù a quello che eravamo diventati. E poi il ripetersi e il sapere di fare parte di questa ripetizione fino a quando ci avrebbero chiamato da un’atra parte. Zito Luvumbo aveva imparato a seguire questi richiami e a modellare la sua vita sulla presenza di questi voci, alcune inventate da suoi doppi, altre da chi gli diceva cosa fare e lo pagava per questo.

L’incontro con Hector Mosca avvenne all’interno di una stanza dell’ambasciata messicana, la giornata era calda, eravamo verso la metà di giugno e Zito Luvumbo si diresse verso Villa Torlonia, accanto alla quale c’era il palazzo dove avrebbe incontrato Hector Mosca. Le sostanze stupefacenti, in questo caso cocaina e eroina, seguivano i loro tragitti, misteriosi e sconosciuti alla maggior parte delle persone. C’era sempre il bisogno di tracciare nuove mappe e nuovi percorsi, in una continua trasformazione del mondo geografico in una serie di passaggi attraverso i quali far arrivare i carichi. Coperture diplomatiche e collaborazioni internazionali. Anche John Bosco partecipò all’incontro, perché una figura religiosa era sempre incline ad offrire un ottimo diversivo, un orizzonte sacro contro il quale la morale si appiattiva fino a diventare una linea di demarcazione lontana e irraggiungibile e quindi i loro atti sarebbe stati protetti e il significato delle loro azioni al sicuro da qualsiasi giudizio. 

L’aria condizionata era in funzione nella stanza in cui si incontrarono e una donna portò del caffè e attraverso i vetri la luce del giorno filtrava mentre erano seduti su comode poltrone di pelle e Zito Luvumbo pensò a tutti gli uffici in cui si era dovuto sedere ad ascoltare e pensò che le parole non erano altro che virus letali in azione, capaci di distruggere vite umane e di moltiplicarsi all’infinito. Victor Mosca bisbigliava, in una strana cantilena da insetto indifferente e le sue sembianze avevano qualcosa di febbrile reticenza verso il prossimo, come se si stesse trasformando nella sua prossima forma, quella di uomo devoto al silenzio e all’abisso di significati che esso racchiudeva. 

Furono presi accordi, anche se nessun documento venne firmato.  Si alternavano nella mente di Zito Luvumbo le pulsanti linee di un disegno molto dettagliato, una cartografia tridimensionale di paesi ancora sconosciuti, di una nuova ridistribuzioni di confini e frontiere, tanto che si chiese se non avessero aggiunto qualche sostanza al caffè che aveva bevuto. Nella stanza, ad un punto imprecisato della giornata, entrò anche il dottor Woyzcek, quasi un’apparizione trascendentale chiamata da forze invisibili, rimase per pochi minuti, raccontando una sua esperienza avuta con l’ayahuasca e ricordando ai presenti la necessità di compiere un periodo di ritiro , di almeno un paio di settimane, in qualche centro cerimoniale della foresta peruviana, per alleggerire il corpo e la mente dai carichi superflui delle ossessioni lavorative, consumistiche e capitalistiche - Un ritorno all’origine di noi stessi, uno spogliarsi degli strati di comportamenti compulsivi che non ci appartengono, un risollevarsi verso la purezza dimenticata all’essere, nella notte, nelle visioni, nei canti di un passato indecifrabile eppure così vicino alla comprensione del cuore di ognuno di noi. È quando inaridiamo dentro, disse il dottor Woyzcek, che dobbiamo domandarci cosa stiamo facendo e dove sia finita la sorgente della nostra energia interiore.


sabato 14 settembre 2024

ZetaElle #4

 Nelle mattine di quiete e luce Zito Luvumbo usciva dalla stanza del suo albergo e  passeggiava per le strade del quartiere, ancora silenziose e poi, dopo le sette, se ne andava ai giardini di Piazza Vittorio, si sedeva su una panchina e ripassava mentalmente le parti che avrebbe dovuto interpretare e i dialoghi che avrebbe dovuto recitare quando i giusti interlocutori si fossero presentati. Ogni intervallo di tempo racchiudeva una serie di passaggi, a volte sconosciuti, che lo avrebbero portato a quello successivo. Sarebbero così cambiati i luoghi d’azione e le finalità dei propri gesti. Nuovi contatti e nuovi schemi. 

Zito Luvumbo e John Bosco si incontrarono all’interno del mercato dell’Esquilino, rispettivamente nelle vesti di un rifugiato politico e di un religioso, parlavano mentre camminavano, fermandosi ogni tanto davanti a una bancarella, come se fossero interessati all’acquisto di qualcosa. C’erano messaggi che venivano comunicati tra le parole e i codici che Zito Luvumbo registrava da qualche parte nella sua mente. Codici che sarebbero poi diventati sequenze di gesti in situazioni successive o all’interno di scene oniriche. John Bosco era sorridente e proveniva da qualche paese africano. Le tecniche di guerriglia militare che in un periodo della sua vita aveva imparato venivano decodificate e assorbite dalle orecchie di Zito Luvumbo, mentre le paragonava con le sue e le sistemava in zone mentali, in cui l’azione era sempre accompagnata dalle armi e la violenza diventava un linguaggio che oscillava tra reazione e rivoluzione. C’era una storia mondiale che uomini avidi avevano inventato e che altri, meno legati a soddisfare il proprio ego, avevano cercato di cambiare e riscrivere, fino a quando il potere e le sue perverse logiche li avevano ingabbiati tutti quanti. Le prigioni fiorivano nelle menti e si trasformavano in ideologie e gli uomini, intrappolati in allucinazioni collettive, si abbandonavano all’inganno del momento, fino a quando quello successivo sarebbe arrivato.


ZetaElle #13

  Hector Mosca aveva passato un nuovo contatto a Zito Luvumbo. Il contatto era quello di Ricardo, che lavorava come consulente informatico a...