sabato 8 novembre 2025

NPK #5

 Bisognava saper abbandonare le cose troppo vicine al nostro cuore o per lo meno cercare di non scriverci sopra, in qualche modo la tristezza o l’eco di lontane sofferenze tornavano sempre a turbarci e così non si poteva andare avanti, non potevamo mutarci in un essere diverso, qualcuno che ci somigliasse senza sapere chi fossimo. Eppure non riuscivo a scrivere di cose felici, esse mi apparivano soprattutto nei ricordi, i momenti di gioia divenivano presenti mesi o addirittura anni dopo che erano passati e il flusso della vita scorreva veramente troppo veloce, gli incontri divenivano così fugaci, rapidi e si presentava sempre qualche impedimento esterno (il lavoro su tutti) a regolare il nostro tempo e così si seguiva un movimento circolare e ripetitivo che cercavamo di infrangere o di annullare negli attimi in cui eravamo insieme, mischiando in una marea illogica presente e passato. E forse aveva ragione Sabine e avrei dovuto provare a inventare storie che avessero una leggerezza diversa, colori vivaci, un approccio positivo all’esistenza. Non sapevo se ne sarei stato capace.


Avevamo passato una bella giornata insieme al mare, vicino Torvajanica, nel posto dove andavamo di solito, avevano smantellato i chioschi però si potevano ancora affittare lettini e ombrelloni. Era estate e il mare e le onde e i profumi delle dune e delle creme segnavano uno scenario sensoriale che amavo profondamente come buttarmi nell’acqua per poi stendermi al sole ad asciugarmi e abbronzarmi. C’erano in queste sensazioni tutte quelle delle estati precedenti, di quando ero bambino e poi adolescente. Luoghi diversi, spiagge differenti eppure la pelle e il corpo ricordavano ogni singola volta che avessi passato del tempo in riva al mare, da solo o in compagnia. Intorno la gente parlava, alcuni a voce alta, altri ridevano o scherzavano, io e Sabine ce ne stavamo sdraiati a leggere, a fare le parole crociate o a chiacchierare senza troppi pensieri per la testa. Poi chiudevo gli occhi e mi immaginavo di nuovo in viaggio. Il tempo rallentava insieme ai respiri, al moto delle onde, al calore che ci avvolgeva. Guardavo Sabine e mi tornavano nel cuore tante delle cose che avevamo fatto insieme, i mesi che era stata a casa mia a Roma. Poi il suono di una risata, un cane che abbaia, gli strascichi di vecchie storie che mi ero stancato di ascoltare, ho fatto una foto a Sabine e le ho dato un bacio sui capelli. Sapevano di mare. Ero felice. E ho sussurrato allo scrittore di tenersi stretto questo momento di luce e candore prima che il domani lo portasse via con sé.


martedì 4 novembre 2025

NPK #4

 Alcuni giorni per cancellare i pensieri, per annullare i falsi ragionamenti, per dissolvere le voci delle persone in suoni naturali: il vento fra gli alberi, le onde del mare, il richiamo degli uccelli. Lo scrittore era seduto al tavolo della terrazza, in una quieta mattina in cui gli ultimi effetti della cannabis e del tabacco se ne erano andati, rimaneva una certa spossatezza, che lo scrittore attribuiva al caldo e al digiuno, avrebbe anche dovuto iniziare a meditare di nuovo, però gli sembrava anche di essere in uno stato di introspezione quasi tutto il tempo, nel silenzio della propria anima e soprattutto in quello del cuore. Si allontanavano così i rischi di possibili giovani amanti, errori già compiuti, strade già percorse, destinazioni fragili, sentimenti ingannevoli.

Lo smarrimento cognitivo continuava lungo il grande raccordo anulare, dove erano stati avvistati uomini che camminavano in uno stato di delirio allucinatorio, giravano poche notizie su nuove droghe a basso costo ma dagli effetti devastanti, cortocircuiti psicotici, circonvallazioni e tangenti mentali in cui si ci perdeva, nel rischioso cammino sotto il sole verso un’uscita inesistente, a meno che non si scambiassero quelle del raccordo per improvvise aperture verso dimensioni diverse, nelle quali reinventarsi oltre l’orrore di essere sé stessi.

Poi le immagini di film mai girati, di corpi ritrovati a villa Pamphili, di truffe e segreti, di centinaia di migliaia di euro intascati per una pellicola mai prodotta, le fughe e i cambi di identità, la trama segreta, in questo plot da tabloid estivo lo scrittore scrutava una linea di possibili avvenimenti che avrebbero dovuto diventare una storia, un romanzo, una sceneggiatura. Dove ci saremmo potuti spingere come esseri umani, come razza, come specie? In una spirale autodistruttiva, dove la devastazione delle terre rimaneva uno strumento di espressione della nostra natura, il mondo stava sconvolgendo però tutti i nostri piani perché noi stavamo distruggendo il suo ciclico passare, estinzione era una parola che affiorava spesso dal vuoto del pensiero, una visione di una catastrofe climatica e di un nuovo incontaminato inizio senza di noi.

Il sentimento dell’estate non mi afferrava più il cuore, però avrei voluto lo stesso starmene in disparte in una piccola casa sul mare, anzi a dirla tutta avrei proprio voluto cambiare di nuovo vita e sparire nei miei luoghi di immaginazione e condurre un’esistenza ai margini di questi territori di fantasia. Eppure l’estate era qui e il sangue scorreva nelle vene e mi piaceva rimanermene steso sul divano, anche con il calore che faceva, a leggere e a pensare che tra non molto anche questa parentesi di tempo si sarebbe chiusa e rileggendo queste parole io sarei stato altrove, come spesso ripeteva lo scrittore, in uno spazio di attimi in movimento da riempire con le mie poesie.


mercoledì 22 ottobre 2025

NPK #3

Lorenzo arrivava sempre in bicicletta, in diversi vestiti e personaggi, con echi di Hunter S. Thompson nella sua fisionomia e pensavo anche al dottor Hoffman che aveva avuto la sua prima esperienza lisergica proprio mentre stava pedalando verso casa - Ci prendevamo una birra e chiacchieravamo liberamente di quello che ci veniva in mente oppure rimanevamo in silenzio o scattavamo fotografie quando la luce prendeva il sopravvento sulle nostre percezioni - E c’era stata una manifestazione a cui avevo partecipato, portando uno striscione e la bandiera anarchica e faceva caldo e c’era molta gente e buone vibrazioni e sudavo e camminavo e parecchie persone si sono fermate a fotografarmi e poi un ragazzo mi ha passato una Peroni gelata, uscita fuori da chissà dove e me la sono scolata in meno di cinque minuti, così tutto è diventato più leggero, fluido e veloce e poi la sera ci siamo ritrovati al Bakunin e qualcuno ha cucinato e sono arrivate altre birre e poi è iniziata una discussione sulla politica e sui  ricordi di avvenimenti del passato, stragi, agguati, depistaggi, movimenti sovversivi, bande armate, gruppi extraparlamentari, tutta una spirale di violenza e follia che aveva portato una marea di morti di cui neanche ci si ricordava più il nome - E poi un’altra proiezione di me stesso stava vagando per Testaccio in attesa che le sostanze facessero effetto e c’erano immagini distorte del Gazometro e le ombre sembravano assumere strane profondità e avrebbero potuto parlare o per lo meno le loro forme diventavano quelle di una bocca sul punto di dirmi qualcosa o divorarmi, così ho cercato strade già silenziose e vuote, anche se quella sensazione di smarrirmi non mi abbandonava, alcune panchine parevano corpi ubriachi svenuti e le facciate dei palazzi, con le loro serie di mattoni, costruivano composizioni mentali di architetture liquide e invitanti, chissà cosa sarebbe potuto succedere all’interno di quelle stanze, le solite intuizioni: traffici, sadomasochismo, droghe, incontri, luci rossastre, materassi stesi per terra, candele, cuscini, corpi magnetici.

Lorenzo è passato con la sua bicicletta dirigendosi verso mete sconosciute, ho abbandonato il mio doppio per ritrovarmi sul terrazzo di casa, faceva ancora caldo e la luna era una falce nel cielo notturno della città. Ho acceso una canna e ho fatto qualche tiro. Il giorno dopo sarei andato al mare, volevo vedere le onde e sentire il calore della sabbia e sciogliermi nel ciclico respiro dell’acqua, nel ripetersi della vita, testimone di una storia inventata, di un’esistenza che sapeva sempre dove nascondersi per il semplice gioco di non lasciarsi più ingannare.

 

domenica 12 ottobre 2025

NPK #2

 Le serate a Ostiense, a giugno, che quasi mi ero dimenticato quanto fosse bello uscire al tramonto e bersi una Peroni e sentire la testa farsi più leggera e osservare i colori del cielo e le forme geometriche del gazometro che qualcuno aveva scambiato per una montagna russa vedendola dalla metro, dopo Garbatella e io e Lorenzo stavamo discutendo di cinema e di droghe e del rapporto tra cinema e droghe e anche della possibilità di un uso scientifico delle sostanze, sempre ammesso che uno riesca a trovarle, pensavo dentro di me, non che ne sentissi il bisogno, il ricordo degli effetti psichedelici arrivava lo stesso nel mio cervello e lo spettacolo, a suo modo, iniziava - Era tutto lì dentro, nella nostra testa e quando ero tranquillo e senza troppa gente intorno mi sedevo nella mia sala mentale e osservavo la realtà con occhi diversi, scivolando in quel tipo di percezioni che più preferivo, anche con Lorenzo e Marco avevo le stesse sensazioni, era molto piacevole stare con loro. 

Poi abbiamo cenato in un ristorante eritreo e si sono aggiunte altre persone e qualcuno raccontava storie di scuole di periferia, di ragazzini cocainomani e sbruffoni, violenti e senza regole, figli di pregiudicati che venivano in classe e facevano il cazzo che volevano, a volte avevano coltelli, più raramente pistole, non quelle vere, ma molto simili, che cazzo di situazione, che razza di bucio di culo uno si sarebbe dovuto fare per provare a insegnare lì dentro, eppure qualcosa mi affascinava, forse il rischio di affrontare un’esperienza così estrema e vedere se avrei avuto il coraggio di provare a cambiare la situazione o se mi sarei semplicemente adattato a quello che avrei trovato - Erano arrivati messaggi indesiderati di gente con cui avevo perso i contatti, vecchi compagni di scuola di cui non me ne fregava più un cazzo e che non volevo assolutamente rivedere, come avevano avuto il mio numero? Perché si ripresentavano come fantasmi del passato? Avevo silenziato la chat nella quale mi avevano inserito, poi ero uscito dal gruppo e vaffanculo - Faceva caldo il giorno e i pensieri cominciavano ad evaporare, a svuotarsi o a sciogliersi in serie e sequenze di frasi sconnesse che borbottavo fra me e me - Il mondo stava deviando verso una nuova deriva di guerre e follie, non c’era via d’uscita, non c’era soluzione, le piante di marijuana stavano crescendo bene, promettendo un’ottima estate che avrei passato da solo, a fumare sul balcone, a guardare le stelle, a guardarmi dentro, a rimanere fermo proprio quando ognuno fremeva dal bisogno di muoversi senza neanche sapere più dove andare.



sabato 4 ottobre 2025

NPK #1

 Le serate passate al Pigneto, a vedere spettacoli di improvvisazione teatrale dentro locali mezzi vuoti, le birre una dietro l’altra, le performance di Lorenzo, la sua voce che diventava diversa, il suo corpo che si trasformava in una esaltazione panica del dolore e della poesia, poi ci ritrovavamo seduti a chiacchierare, mentre qualcuno ci passava un po’ di emmedì e poi eravamo per strada, ancora birre e poi seduti sui gradini di una chiesa, davanti alla tangenziale, ormai totalmente disorientati e persi nel tempo e improvvisa arrivava l’alba e con essa le prime luci del mattino, tanto da chiedersi dove fosse finita la notte o come avesse fatto a passare così velocemente e nulla era stato concluso perché in realtà non c’era mai nulla da concludere e così ci salutavamo e ognuno prendeva la sua strada con la speranza nel cuore di arrivare in una stanza in cui sarebbe stato accolto e in cui si sarebbe sentito sicuro e protetto.

Le mattine rinchiuso in casa, quelle passate a scrivere, altre a masturbarsi. Le mattine limpide, quelle con i postumi, i giorni che si muovevano lenti in un sudato scivolare di ore, le sensazioni tattili dell’estate quando ogni contatto diventava più sensuale, gli occhi che parlano, gli sguardi che seducevano, l’attesa della sera, di un nuovo incontro, di un’ennesima solitudine.

Allucinazioni metropolitane, insani ingorghi stradali, la città impazzisce tra incidenti invisibili e barbarie sonora, orde di motorini impazziti, macchine e autobus fermi, strombazzare snervante, l’ansia del ritardo, l’accalcarsi di gambe e culi e schiene e capelli, il manifestarsi del sudore tra impazienza, caldo e nervosismo - Le immagini ad alta definizione nei sogni, di boschi e temporali, di fulmini come fossero suture elettriche nella notte e poi fotografie in bianco e nero, di campi arati, di campagne, di colli, di fiancate, di vallate, graffiate e astratte, in una rappresentazione primitiva e violenta del mondo.

Le cene nei ristoranti africani insieme a Marco e a Lorenzo, mentre ascoltavo le loro storie e i ricordi, mentre parlavamo di cinema e anarchia, forme di autosufficienza e acido lisergico, altre volte ci ritrovavamo in una vecchia sede dei compagni e proiettavamo film e ci perdevamo in quello che vedevamo per poi riemergere e rimanere in silenzio, alcuni attimi, elaborando mentalmente quanto visto attraverso nuovi codici interpretativi, eravamo sempre in pochi, sempre gli stessi, qualcuno si addormentava, qualcuno stappava un’altra birra, erano serate che mi sembravano come un’oasi di libertà e resistenza, senza nessuno che mi facesse domande o si aspettasse che parlassi, me ne rimanevo zitto, ogni tanto sparavo qualche stronzata, la luce dell’estate stava arrivando e ogni cosa, nel tardo pomeriggio sembrava brillare, i corpi magici delle ragazze, così invitanti eppure senza più nessun potere, si palesavano nella loro fulgida bellezza, nella loro gioventù come apparizioni apollinee, le guardavo, poi alzavo gli occhi al cielo, un giorno, un giorno, non ci sarei stato più, un avvolgente vuoto, una placida quiete, la morte dava spessore alla vita e ne sembrava la degna conclusione, ho dato un altro sorso alla birra, era quasi finita, Marco mi ha fatto un sorriso, sarebbe andato a prenderne un altro paio non appena avessi terminato la mia.


martedì 2 settembre 2025

Warsaw #4

 Ci saremmo dovuti incontrare in uno degli sporchi vicoli del quartiere Praga o forse all’interno di uno degli anonimi corridoi di un palazzo fatiscente, lo scrittore lo sapeva, sarebbe dovuto arrivarci da solo, seguendo quei riflessi di luce che avrebbe  intravisto mentre camminava. 

Una volta dentro al quartiere lo scrittore iniziò ad adocchiare i soliti miserabili  che ciondolavano nel bianco delle strade in attesa che arrivassero, in qualche imponderabile modo, i soldi per l’alcol e le droghe. E qualcosa nel cuore dello scrittore scattò e pensò che non voleva più fare parte di questi tristi scenari e che era stanco dei soliti intrecci narrativi che lo vedevano vagare in zone squallide e desolate, lerce e degradate, si sentiva logorato da quella deriva umana e intanto la sua testa si faceva più leggera e anche il suo corpo sembrava stesse perdendo consistenza e allora lo scrittore chiuse gli occhi e senza accorgersene, senza avere l’impressione di muoversi, quando li riapri si ritrovò a camminare fra i piccoli viali del parco Lazienki, con Sabina al suo fianco, in una serie di immagini in cui si sentiva calmo e a suo agio, circondato da comitive di alberi, alcuni molto alti, pieni di foglie che vibravano nell’oro dell’aria di un tardo pomeriggio di primavera e lo scrittore si scoprì felice di fare parte di quell’improvviso incanto e si chiese se non sarebbe stata più facile la sua vita se avesse lasciato andar via personaggi e situazioni, descrizioni e soliloqui e se ne fosse rimasto in disparte nel susseguirsi dei giorni, perdendosi nella meraviglia lucente e mutevole della realtà, aspettando che il tempo si sciogliesse nei suoi percorsi circolari e amniotici, senza più domande da porsi sui prossimi capitoli da scrivere, sulle storie da inventare, su quelle che avrebbe voluto dimenticare una volta per tutte. Eppure tempo e racconto sembravano essere complementari o almeno lo erano in quello che succedeva nella sua mente, nella irrefrenabile e costante necessità di trasformare in parole quanto vissuto, lungo i margini dello specchio, nell’abisso della psiche, nelle fughe serali e siderali verso le stelle. 

Io e Sabina siamo arrivati ai bordi di un prato dove altra gente già si era seduta sull’erba, stava per iniziare un concerto di musica classica, ci siamo sistemati a gambe incrociate, poi le prime note si sono liberate dagli strumenti e con loro una lontana melodia si è fatta più vicina, ho chiuso gli occhi e sono andato a visitare alcuni piacevoli luoghi in cui non ero ancora mai stato.

domenica 3 agosto 2025

Warsaw #3

 I primi contatti erano avvenuti durante la notte in un delirio mentale che lo scrittore non sapeva come decodificare, sembrava la lotta fra due agenti psichici opposti ma complementari che suggerivano tediose situazioni influenzali e paramediche che non  nascondevano, al momento, nessun messaggio segreto, nessun sottotesto - Era semplice confusione prodotta da strani movimenti intestinali, cattiva digestione a cui si accompagnava la stanchezza di lunghe camminate e i sintomi esplosivi di sinusiti allergiche che scombussolavano la chimica interna dello scrittore - In questo stato alterato era facile confondersi e interpretare male i segnali che arrivavano dal corpo - Al tramonto, nelle tenui luci della sera, tra il rosa, il viola pallido e l’azzurro solitario, lo skyline della città si stagliava irremovibile nel cielo, componendo una serie di simboli tecnologici, alieni e primitivi in attesa di una possibile interpretazione, un codice architettonico che sarebbe stato assimilato solo da un certo punto di vista, da una posizione visiva strategica e intuitiva, ovvero quella in cui adesso mi trovo, seduto sul terrazzo di Sabine - Poi hanno cominciato ad illuminarsi in maniera intermittente le luci sulla sommità degli edifici e sulla punta delle antenne, mentre noi cenavamo, bevendo lentamente vino bianco, parlando e osservando quello spettacolo contemporaneo - Lo scrittore intanto si domandava se non ci fosse uno schema interpretativo per quel pulsare luminoso, una specie di linguaggio morse elettrovisivo, poi prendeva appunti mentali di quelle sequenze, sperando che dopo, nel reimpasto notturno dei sogni o nello svelarsi diurno delle visioni ad occhi aperti, acquisissero nuovi e irrazionali significati - Le visioni del giorno intanto proseguivano nel montaggio dei riflessi sulle superfici che lo sguardo catturava in frazioni di secondo simili a quelle necessarie da un otturatore per scattare una foto - Lo scrittore poi sceglieva quelle indicazioni metafisiche come i segnali del percorso da seguire - E ancora le architetture e gli schemi di linee e angoli e il bisogno quasi fisico di fare foto, di cogliere quelle improvvise composizioni, di riproporle da prospettive diverse e inusuali - Messaggi scomposti durante la notte, nebulose gastriche in collasso fra loro - Mangiato pesante? - La mattina non era stata delle migliori, sudore fra le coperte, la lotta continuava, la luce ci avrebbe spiegato il resto.

martedì 8 luglio 2025

Warsaw #2

 Improvvisi risvegli di luce in cui la città appare bianca e splendente con i suoi palazzi di marmo, per poi frantumarsi nei riflessi delle vetrate degli edifici di assicurazioni e banche del terzo millennio - Gli uffici ancora vuoti mentre lo spazio della casa dove mi trovo prende nuove ed inusuali forme e posso scoprire profondità inaspettate, giochi imprevisti di vuoti e pieni, strane angolazioni i cui vertici rimandano a un modo di vivere diverso.

Nessun messaggio, nessun contatto, nell’attesa che Sabina si svegli, che venga a prendermi e mi porti con lei nelle percezioni di una città ancora da scoprire. Forse la sua proiezione psichica, quella di strade e quartieri sconosciuti, entrerà in sintonia con la mia onirica predisposizione a perdermi, creando così una sinestesia metropolitana dove potrei ritrovarmi da solo a passeggiare, sentendone la presenza nei pensieri alieni e nelle scelte da non prendere. L’arte del non fare.

Gli echi dei discorsi si smorzavano, i fuochi sembravano ormai distanti, c’erano state feste e canti e balli e poi la drastica apparizione, maligna e inquietante, delle suadenti simmetrie di mentalità votate e vendute al consumo e al capitale - Era quello il luogo in cui insorgere, ridefinendo così la geometria sovversiva di una morale che invece si era stabilizzata in un’etica rigida e ansiosa di conformarsi con ogni minaccia, ogni eccidio, ogni sopruso. Rivoluzione poteva anche significare arrendersi alla vita e sperare che tutto passasse senza troppi danni e che degli atti di cui eravamo stati testimoni non rimanesse più nessuna traccia. La storia andava smarrita. Perché ci fosse l’illusione che gli uomini non avessero ancora parole da dire e che il silenzio che nel buio dei secoli li avrebbe inghiottiti non fosse altro che il vagito di una pallida vita, una arcaica aurora appena nata e subito dimenticata.

lunedì 30 giugno 2025

Warsaw #1

 Apparivano le case, i balconi, le tende, i graffiti sui muri, tutto scorreva come le sequenze di un sogno, come se stessi partendo ancora, quei colori che sfumavano al lato della vista e le poche parole sussurrate da stanchi turisti, mentre la città svaniva e con lei la rete di eventi passati, l’intreccio di ore e azioni, da cui lo scrittore era di nuovo libero e si poteva ricollegare con la trama segreta e i paragrafi sintetici di un romanzo differente, nel quale le identità scomparivano o finivano sempre per sdoppiarsi e ripetersi e così non c’era più il bisogno di fuggire in quelle dimensioni parallele così invitanti, perché esse si manifestavano nei riflessi di vetri e oggetti, nei segmenti mobili che ogni velocità meccanica o psichica aiutava ad ottenere e all’interno di questo turbinio cognitivo il caos della percezione diveniva fluido e presente e lo potevo sentire nel mio cuore e nei respiri e mi ritrovavo così nella  magica condizione di allontanarmi dalle distrazioni quotidiane e di riavvicinarmi al centro pulsante del mio essere - Improvvise variazioni sulla tela visiva, il verde della campagna e dei prati, rigoglioso, selvaggio, incontrollato, erano solo campi ma avrebbero potuto essere sconfinate praterie di pura immaginazione, senza fili spinati, senza la violenta colonizzazione della ragione - Sarebbe bastato anche solo un albero  e il silenzio e un mondo che stava conoscendo la sua fine a darmi una direzione da seguire - Avrei atteso ancora, non c’erano più orari da rispettare, lo scrittore proteggeva il suo sguardo con lenti opache - Le ombre si allungavano, il manoscritto variava e prendeva una forma diversa, quella di un nemico in una notte ostile, un mare purpureo che lambiva i fianchi e le scogliere di una montagna solitaria, un’isola perduta nella memoria, una porta oscillava nel vuoto violaceo, incapace di capire sé stessa e la sua funzione all’interno di un unico mistero, solo per tornare a chiudersi e ad aprirsi, così sarà il tuo cuore, disse una voce, ogni volta che qualcuno tenterà di chiedere il nome di chi è divenuto null’altro che un’ombra al suo interno, un ricordo svanito nelle maree del tempo. 

venerdì 20 giugno 2025

ZetaElle #39

 Immagini di paesi dell’entroterra del Marocco, nascosti fra verdi vallate, i nostri corpi appena svegli sulle pendici di una montagna avvolta dalla nebbia, le piantagioni di marijuana, i canti dei muezzin, poi il silenzio di una casa, quello dell’anima, il silenzio che lo scrittore aveva smesso di praticare come una forma di meditazione: su sé stesso, il mondo, la scrittura, quello che aveva intorno e dentro.

Immagini di una vita che qualcuno, in altri luoghi onirici stava portando avanti, nelle sue vesti e nella sua fisionomia continuamente in mutazione. Stili alternativi e il richiamo di Samara a raggiungerlo ovunque lei fosse. E la casa di Ahmed e la sensazione che qualcosa era stato rubato o sottratto, mentre lo scrittore vagava per corridoi e stazioni e l’improvvisa presenza del suo corpo all’interno di una macchina, che si fermava sul bordo della strada, in una notte avida di vento, nella quale gli alberi ondeggiavano e si piegavano, alcuni fino a spezzarsi e poi le luci che scendevano dalla facciata di un palazzo diroccato e file di adolescenti sciamavano per la strada, irriconoscibili gli uni dagli altri, le ragazze con le gonne corte e le gambe nude e spacciatori invisibili che si aggiravano per vendere le loro sostanze, i loro sogni, le loro illusioni.

Durante le settimane passate, qualcuno aveva suggerito di cambiare i nomi dei personaggi e così Zito Luvumbo aveva perduto la sua identità ed era diventato Zimbo LLewylin, mentre ennesimi caratteri psicotici blateravano nella mente dello scrittore, che alta voce provava battute e dialoghi che mai avrebbe trascritto, lasciava che le parole fluttuassero nell’aria dell’appartamento, a volte rideva delle cose che diceva, altre aveva un senso di pungente panico, nel caso stesse per impazzire completamente e qualcuno lo stesse ascoltando.

Risvegli mattutini in oasi metropolitane inconsce, non c’era bisogna di alzarsi, di uscire, di fare niente. Eppure la scrittura esigeva la sua presenza, si insinuava nelle pieghe del sonno, in quelle dei pensieri e lo scrittore tornava ade essere sé stesso, immaginando cose, sentendo voci, lasciandosi libero di esistere ed emergere nello spazio che i suoi sogni continuavano a circondare di mistero.

NPK #5

  Bisognava saper abbandonare le cose troppo vicine al nostro cuore o per lo meno cercare di non scriverci sopra, in qualche modo la tristez...