Una donna era entrata e mi aveva portato un registro con nomi e orari e i luoghi degli avvistamenti. Le ho chiesto se ci sarebbero stati altri incontri quel giorno. Uno nel pomeriggio. In un’altra stanza, in un altro spazio mentale disturbato e asettico.
Trasmissioni e interferenze e una camera con un letto dalle lenzuola nere, le pareti erano dipinte di un rosso cupo e sanguigno. Gli album che Sara mi mostrava erano pieni delle sue foto, alcune pornografiche, altre in abiti normali, altre ancora erano mosse, sfuocate, come se fossero state scattate a sua insaputa. Abbiamo parlato e le ho spiegato i prossimi incarichi, gli spostamenti, le persone che doveva seguire.
Ero da solo in un ufficio, come in una stasi pomeridiana, una luce soffusa e l’odore del legno, del sandalo e del tabacco, avrei dovuto leggere relazioni e scrivere rapporti, non ne avevo voglia. Ci avrebbe pensato l’altro a vestirsi elegante, a fumare sigarette turche, a sorseggiare whisky scozzese da un bicchiere di vetro tondeggiante, ipnotizzato dal tintinnare del ghiaccio contro il bordo. Avrebbe fatto telefonate e dato risposte e posto domande. Poi un giro in macchina, il finestrino abbassato, le colline in lontananza, musica jazz come colonna sonora, un ennesimo travestimento, sensazioni fluide e ovattate.
Avrei voluto essere su una spiaggia, a guardare l’oceano arrivare, insieme a te. Perché non ci fossero più sogni a distrarmi da quello che dovevo fare.
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