Il cielo è basso, sulle tegole
spioventi delle case, con sfumature grigie e violacee, le strade sono lividi di
pioggia e gli alberi si allungano verso l’alto, neri e magri, i rami
scheletrici che graffiano l’aria, i nidi degli uccelli, reali come in un quadro
di brueghel, l’inverno è arrivato e ha lasciato volare le foglie sulla terra,
spogliando la natura delle sue forme estive, passano poche persone, alcuni
operai che tornano da un cantiere, una madre che tira per mano un bambino,
linee veloci e scure tagliano le nubi, il volto di lei nella luce della
mattina, pallido e triste, chiuso nei ricordi del passato, riflesso sulla
porcellana di piccole tazze orientali, piene di tè fumante, fiori d’arancio,
cuscini arabi sui quali appoggiarsi. una bandiera turca appesa ad una finestra,
la stella e la mezza luna, i primi rumori di una casa, l’acqua di un rubinetto
aperto, i passi attutiti sul pavimento, il suono elettronico di una sveglia in
un’altra stanza, la terra tremava, all’interno di un sogno, cercavo di
raggiungere le strade, lasciando gli altri indietro, ci saremmo liberati dalle
illusioni, prima o poi, era una cosa che andava fatta, per non lasciare che le
emozioni, così irruente, fragili e maestose, ci condannassero ai loro voleri,
sbattuti da una parte e dall’altra, da un letto ad un altro, non c’era bisogno
di questa lotta, di questa confusa, insincera speranza, il bianco delle pareti
rimandava alla mente immagini inesistenti, avrebbero appeso quadri, fotografie,
perché gli occhi si abituassero alle meraviglie e agli orrori del mondo, una
stanza piena di libri, note e spartiti, le vaste navate di una chiesa vuota,
nessuna voce che riecheggi tra la solitudine dei sordi muri, la prima neve,
leggera e infantile e i tuoi occhi di bambina, un attimo prima, che si perdano
nel sonno.
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