Il suo sguardo era triste, seduto a
tavola, con la famiglia intorno, il cane si era sdraiato ai suoi piedi,
dormendo. La neve era caduta durante la notte e la mattina, questa soffice
meraviglia aveva trasformato il mondo. Ogni cosa cambiava nel suo inarrestabile
fluire ed era imperdonabile il modo in cui ci eravamo fatti rubare la capacità
di vedere tutto questo, di percepire l’essenza stessa dell’universo intorno a
noi, i rami neri degli alberi, delicatamente, accoglievano la neve sopra di loro
e lei, lieve, si posava, quasi senza peso, il vento, poi, la faceva cadere
verso la terra, le impronte degli animali, degli uomini e dei copertoni delle
macchine, un alfabeto di segni misteriosi, un linguaggio di forme primordiali e
moderne che si andavano mischiando in poemi di un giorno, tutto si sarebbe
sciolto e mutato e nuove canzoni, con l’arrivo della primavera, sarebbero state
cantate, le lunghe gambe di una giovane ragazza, i suoi passi che misurano le
distanze tra lei e il resto, le tue risate d’argento, le gemme di un verde
brillante dei tuoi occhi, in un giorno di luce abbiamo condiviso la fuggevole
bellezza della vita, sarebbero bastati questi pochi attimi per smetterla di
avere paura del tempo e dello spazio, passi leggeri, uno di fianco all’altra,
il silenzio bianco dell’aurora, le notti stellate che ci chiudono le labbra, in
sospiri e parole mai pronunciate.
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