Luce
bianca e i contorni sfuocati delle montagne, un mare velato dove finisce lo
sguardo, le mie mani che diventano azzurre, ricoperte da frammenti di ardesia
bagnata, le gocce di sudore sulla fronte come diademi di fatica, la maglietta
fradicia, una casa piena di antichi oggetti, i libri scritti in tedesco, un
enorme apparecchio per ingrandire le fotografie, il silenzio della notte e le
lenzuola pulite, i fiori violacei, gli stami conici, una busta di plastica
piena di funghi essiccati, una poltrona sformata su cui sedersi ad osservare il
proprio passato, cosa rimaneva, per l’ennesima volta, di tutte le parole che
avevi detto? Degli sguardi e degli incontri? Cosa rimaneva dei giorni e delle
notti, del buio e del suo splendore? Nulla, assolutamente nulla. Il tuo cuore
continuava a battere, l’aria a entrare ed uscire, ti abbandonavi alle solite
malinconie, volti e corpi diversi, quello che faceva più male era dentro di te,
avevi aperto quella porta ed era stato un errore, la musica era una melodia
soffusa, ti eri tirato fuori da tutto quanto, l’indifferenza era un gioco
crudele, l’amore solo una cicatrice più profonda delle altre.
venerdì 25 novembre 2016
giovedì 24 novembre 2016
Cymru #12
C’era
ruggine sui binari e rovi e arbusti e oltre le lunghe file di case e mattoni
appariva la sagoma sfuocata nella luce di una centrale nucleare e dei suoi muti
reattori e nuvole nel cielo come stampe impressioniste, un foglio di carta
gialla, appallottolato e gettato per terra, un abbraccio alla stazione, troppo
lungo e stretto per essere un semplice saluto, il corpo aveva il suo
linguaggio, fatto di brividi e calore, battiti e respiri, lo sguardo di una
giovane ragazza che non avrei più rivisto, era meglio così, era sempre meglio
distrarre gli occhi dalla bellezza, perché altrimenti ci si finiva per credere
a quelle forme, ai capelli e alle ciglia, alle dita e ai profumi e il cuore era
una gabbia che troppe volte avevo ascoltato chiudersi e in questi nuovi giorni,
che diventavano settimane e mesi, riuscivo a tenere una distanza, a non
commettere i soliti errori, anche se alcuni pensieri, delle voci e delle
immagini tornavano a scorrere sullo schermo mentale, dissolvenze incrociate tra
passato e presente con i colori di magnifici tramonti, il buio improvviso di
una galleria mentre gli uccelli volteggiano nell’aria e nei parcheggi ci sono
macchine immobili e lucenti e uomini chinati a raccogliere rifiuti e lattine di
birra vuote e un divano sfondato appoggiato ad un muro dove potevi sederti di
notte e osservare le stelle e pensare a tutte quelle volte che avevi alzato gli
occhi verso quegli infiniti bagliori, chiedendoti quando sarebbe cambiata la
tua vita e ogni cerchio doveva essere chiuso e il dolore che questa fine
portava con sé e le mattine in cui c’era ancora qualcuno da stringere sotto le
coperte mentre i sogni sprofondavano dentro la loro stessa essenza, il tuo
volto che riemergeva dalle strade in cui si era perso e ogni fredda aurora in
cui ho cercato un’ultima parola da dire, perché fosse piena di poesia la tua
esistenza, sei arrivato troppo tardi nei luoghi che avevi deciso di non vedere,
hai confessato i tuoi sentimenti nei modi e nei momenti sbagliati, hai
osservato il mondo piegarsi come la pagina di un libro mai scritto, eri tu e un
altro mentre vagavi nei vicoli bui, i contorni del futuro trasformati in
edifici industriali, i piloni dell’alta tensione, il fumo denso in lontananza,
la fabbrica delle nubi, la luce obliqua tra gli alberi, lei che guida assorta,
guardando la strada che le scorre davanti, hai veramente trovato quello che
stavi cercando? No, perché non ho più nulla tra le mie mani che non sia sabbia
e tempo e petali di silenzio.
lunedì 21 novembre 2016
Lake District #2
Le sensazioni dell’estate, il calore sulla pelle e il verde intenso dei prati, le enormi eliche che si muovono lente in distanti miraggi, le scintille di luce che vibrano sulla superficie di un lago, leggeri colpi di pennello e vernice gialla sulla tela mentale e una donna che piscia poco lontano da me, abbassandosi i pantaloni, il getto potente dell’urina, le sue risate e i suoi seni enormi, i capelli che avevano sfumature di fuoco e rame. Mi aveva fatto fumare della buona erba, la notte prima e lei ballava e rideva e sapeva cose che avevo dimenticato, cose a cui non riuscivo a dire addio, come l’amore e le emozioni che prendevano forma nel cuore e ti trasportavano con loro ed erano aria e profumi e petali delicati e canzoni e musica e la luna piena alta nel cielo che ci guardava mentre il fuoco bruciava in un cerchio di pietre e di nuovo steso su un prato, gli occhi chiusi, i ricordi di Maria, i ricordi di un’altra vita, c’era un confine così sottile in tutte le nostre azioni, bisognava possedere un equilibrio che era difficile da mantenere, quando i pensieri e le illusioni, con il loro carico di distrazioni e malinconie, ci facevano oscillare sui bordi dell’abisso e ancora cadute e discese, la terra nera e il suo odore, le notti in cui ho camminato come un tossico, le mattine di silenzio e quiete nella mente, quelle albe erano un dono di pace, vele bianche sopra un mare lucente e calmo. Le note di un pianoforte, Matteo che suonava tutto The Wall dei Pink Floyd in una grande stanza piena di quadri, io e Maria seduti nella cucina a parlare con la madre, l’ultima volta che l’ho vista. Siamo destinati a perderci perché siano ancora più inaspettati i nuovi incontri, non porterò nulla con me, lascerò che questi volti scompaiano, non ci saranno più memorie a cui darò nome, non ci saranno frammenti di gioia e schegge di dolore, le ultime parole, gli ultimi sguardi, finiremo di divorare anche questa polvere in una camera solitaria, fuori dalla finestra posso osservare il cielo trasformarsi. Sanguinano le nuvole nel loro dire addio al giorno.
domenica 20 novembre 2016
dream #46
Siamo in un corridoio di una scuola e siamo ancora giovani, forse l’ultimo giorno delle lezioni, entro in una classe affollata, il volto porcino e sbavato di una professoressa, cerco con lo sguardo un posto dove sedermi, cammino tra i banchi, vedo lorenzo e mi metto vicino a lui, apre un libro e mi sorride – sono in una stanza insieme a lorenzo, valerio e flavia, lei è in piedi e sta parlando, mi avvicino e iniziamo una conversazione sull’amore e i rapporti di coppia, continuiamo a discutere, lorenzo e valerio rimangono silenziosi, poi flavia si stende per terra, su un tappeto, anche io mi sdraio, dalla parte dei suoi piedi, valerio e lorenzo si siedono accanto a noi e cominciano a parlare con flavia mentre io rimango disteso, le bacio un piede, la pianta è morbida, poi guardo il soffitto, le braccia intrecciate dietro la testa, è bianco, poi flavia si alza e dice che deve andare in una biblioteca, le chiedo quando tornerà e se vuole passare la serata con noi, ho del vino e qualche birra, lei sorride ed esce dalla stanza, valerio mi guarda, mi dice che la rivedremo la settimana prossima, da qualche parte, sono stranamente tranquillo, lei non ha più nessun potere su di me, vado vicino ad un letto, apro uno zaino e prendo un libro, mi metto a leggere.
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