Stanze
e corridoi oscuri, colori cupi, liquidi e soffocanti, luci al neon attaccate
alle pareti, i ronzii degli insetti meccanici, le mani sporche, l’olio nero che
colava in un secchio sul pavimento, i motori arrugginiti, gli scaffali pieni di
parti mancanti, rubate e abbandonate, gli schemi ripetuti nella mente, un dito
puntato sulla gola, i centri di energia e i loro colori, la tenda mongola in
cui viveva Robyn, i vestiti dell’ottocento e gli oggetti della memoria, uno
specchio senza riflessi, le tende e i cuscini e i tessuti orientali, l’oppio
fumato a Venezia, una casa abbandonata sul punto di crollare, disteso sulla
moquette grigia, i piedi di una donna sul mio volto, così reali e nitidi, il
desiderio di leccarli, l’odore del sesso tra le lenzuola, il sole splendeva in
un tempo dilatato e brillante, i punti sulla linea degli eventi diventavano
stazioni di una metropolitana mnemonica, tornare indietro e osservare quanto
era successo, gli archivi con le pagine scritte, le connessioni emotive, le
immagini proiettate dagli occhi, le colline viola, i pensieri che perdono
consistenza, il loro intrecciarsi, lo sguardo dello scrittore e le sue parole
che attendono di essere trovate.
martedì 21 novembre 2017
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ZetaElle #33
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