Il
libro dei sogni poggiato su un comodino di legno e la scatola con le erbe sacre
in uno dei cassetti, da preparare e assumere prima di andare a dormire. Una
mascherina nera sugli occhi e le immagini create dalla mente, una volta disconnessa
dalle ordinarie percezioni. Si eseguivano esperimenti nei laboratori delle
industrie psichiche e lo scrittore o il suo doppio tenevano un diario in cui
appuntavano date e risultati, ogni giorno aveva la parvenza di qualcosa di
ripetuto eppure inaspettato e c’erano voci e volti e suoni e rumori e le mani
di una donna che accarezzava l’aria come fosse solida, vedere attraverso i
colori senza avere le parole adatte per spiegarlo, bisognava inventarne di nuove
e distruggere le vecchie strutture sintattiche, il linguaggio veniva
destrutturato e rimontato seguendo logiche primitive, gli antichi sciamani
erano seduti in cerchio e mormoravano le loro melodie, i battiti ritmici sul
tamburo di pelle, le penne degli uccelli, i piccoli sassi e le conchiglie,
qualcuno mi aveva chiamato da Londra perché andassi di nuovo a perdermi tra le
architetture e i miraggi industriali di quella città, avevo una macchinetta
fotografica e un quaderno ed era tutto quello di cui avessi bisogno, la memoria
era diventata fluida e osservavo i miei errori, chiedendomi finalmente come
avessi potuto commetterli, erano descrizioni oggettive, concrete e senza
giudizio, il ripetersi di schemi che avevo finito per credere reali, obbedendo
agli impulsi dell’illusione di appartenere ad una vita che fosse mia, guardavo
le mie azioni e i comportamenti e gli stati d’animo e anche tutte le cose che
non avevo mai capito ed erano lì, poi scomparivano e c’era solo il cielo con i
suoi colori tattili e le colline in lontananza e i respiri delle pareti e
qualcuno che mi chiedeva cosa provassi all’interno, di che cosa? Quale interno?
Domandai, non c’erano distinzioni, i palazzi erano crollati, le aule in cui
avevo insegnato smantellate, sulle lavagne si potevano ancora scorgere i segni
sbiaditi di alcoliche lezioni, i capi avevano deciso che era meglio sbaraccare,
distruggere le tracce, dare nuovi ruoli e creare diverse posizioni, c’erano
spie travestite, dentro i corridoi, sapevano come nascondersi nei sorrisi, nei
codici criptati dei discorsi che si facevano durante le riunioni, il metodo
migliore era addormentarsi mentre gli altri parlavano e filtrare attraverso
l’inconscio i messaggi e gli ordini, guardavo una finestra al
settantaquattresimo piano di un grattacielo, le fiamme che ne uscivano fuori,
una donna correva per la strada terrorizzata, un masso si levava dal suolo,
apparentemente senza gravità, i loop ripetuti delle immagini, le droghe
sconosciute che qualcuno aveva messo in circolazione, i dadi in un barattolo,
le combinazioni di numeri che le cavie avevano il compito di indovinare,
scariche elettriche e irrazionali cifre d’abominio, abbiamo trovato una via,
disse l’uomo con il camice marrone, gli altri applaudirono, qualcuno si pulì
gli occhiali, un sorriso, un dento d’oro, una capsula di veleno, gli spazi
aerei e le foschie viola che i tramonti dipingevano di gloria.
mercoledì 13 dicembre 2017
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