Flussi
sotterranei di pensieri, immagini dal sottosuolo, i volti giganteschi che si
affacciano nelle gallerie, le voci di uomini polacchi, strascicate e stridule,
le birre in mano, i gruppi di turisti, le marche e i loghi, i miraggi
elettronici che corrono in fili colorati, fibre ottiche che attendono di
esplodere in prismi di luce, in nuovi boati a cui le bombe avrebbero rinunciato
per una rivoluzionaria strategia di silenzio e terrore, tecniche di guerriglia
emotiva nascoste nelle facce che ci scambiavamo, protetti da vetri invisibili i
corpi evitavano contatti e contaminazioni, le alte torri della centrale
elettrica, i maiali volanti, le stanze nascoste dietro l’oscurarsi delle
visioni, milioni di mattoni che trasformavano utopie e avanguardie in fabbriche
mentali, le stazioni in cui il tempo non voleva fermarsi, la sensazione
notturna di espandersi, di rallentare il respiro in allucinazioni che
ripetevano il susseguirsi di tunnel psichici in prospettiva, erano troppe le
persone e i loro mondi di parole e rumore, connessioni verbali sul punto di
trasformarsi in solide statue di linguaggio marmoreo, le serie di fotografie
che cercano di riprodurre un movimento centrifugo impazzito, la frammentazione
dei perimetri di protezione, sguardi oltre i resti di notti artificiali, i
laboratori clandestini in cui si sperimentavano svastiche in sostanze
stupefacenti, gli angoli uncinati delle strade e gli sguardi di chi controllava
le telecamere a circuito chiuso, tornavo da dove ero fuggito, il cerchio aveva
punti che trascendevano la sua circonferenza, spazi e cortili di immaginazione,
pure architetture che solo nei riflessi del futuro potevano diventare sintesi
di astrazione.
domenica 21 gennaio 2018
giovedì 18 gennaio 2018
beat #3 (1998)
Questa mattina, finalmente,
la realtà ha sconfitto i suoi sogni e mi sono alzato felice di essere quello
che sono, perché i sogni avevano ormai infranto il fragore di fluorescenti candele
che si consumavano all’ombra dei miei sensi, inebriati da sintetiche visioni
che non credo nascessero dall’abisso dei miei primordiali desideri ma forse dal
THC o dall’alcool, ma non importa, questa mattina mi sono sentito vivo dopo una
settimana di insensati sketch notturni, a ritroso in diciannove anni di bar
dimenticati e nei quali non ho mai vissuto, preferendo solitudini interiori e
pagine fitte di libri impolverati che spesso parlavano al mio corpo e al mio io
più di qualsiasi altra voce, unendo così in un’ intensa e vorticosa adulazione
letteraria quella finzione che io confondevo con la REALTA’ REALE ESISTENTE e indossavo i miei abiti di
personaggio flaubertiano, figura che si aggira bidimensionalmente fra i confini
fisici della pagina, tridimensionalmente nello spessore nascosto della nostra
mente e poliedricamente nell’infinita splendente poliedricità dell’Eternità Dorata.
martedì 16 gennaio 2018
freewheelin' #35
Cammino
per le strade di una città sconosciuta, visioni notturne e acide, cerco un
posto dove dormire, incontro Lynn da qualche parte - sono con David davanti ad
una chiesa dalla forma circolare, entriamo e dentro c’è un assoluto silenzio,
ci avviciniamo ad un bancone, dietro di esso un prete è immobile con le mani
giunte in preghiera, David tira fuori dei soldi e li dà al prete, lui li prende
e scompare dietro ad una parete, poi torna con una bustina in mano piena di una
polvere bianca, emmedì mi sussurra David, poi usciamo – gli insegnamenti che
avverranno nei sogni tramite immagini e respiri, i film della memoria da
guardare ad occhi chiusi, qualcuno seduto nella sala montaggio a organizzare
storie e ricordi, gli infiniti appartamenti e le moltitudini di finestre che
osservano le luci artificiali e i neon brillanti nella pioggia, le
sceneggiature che prostitute orientali scrivevano dopo bianchi orgasmi, ero
seduto nell’ombra di un muro greco, capitelli dorici costruiti dal fumo
dell’incenso, i misteri di Eleusi e le carezze dorate della sabbia, la
sacerdotessa con sandali ai piedi nudi mi dice di entrare, nella sala buia dove
gli dei ridono ebbri di vino.
domenica 14 gennaio 2018
London #6
La
prospettiva della cucina oltrepassava la parete che la divideva dall’esterno e
i suoi lati immaginari diventavano i limiti di un giardino segreto, nascosto
alla vista, un’oasi di luce e alberi e foglie e fiori che l’aria attraversava e
rendeva viva e dove ogni molecola e ogni punto d’infinito erano nitidamente
rappresentati nella riproduzione mentale di questa illusione ottica. Alcuni
artisti si proponevano di alterare i sensi attraverso droghe floreali per
procurare visioni metropolitane ai visitatori delle loro gallerie psichiche.
Non c’era più bisogno di supporti materiali, era la mente stessa a diventare
creazione nelle possibili forme di ogni sala cerebrale, andare avanti e tornare
indietro, cancellare e dimenticare, linee di tempo instabili, curve e iperboli,
i giovani matematici chiacchieravano a velocità supersoniche bevendo caffè alla
mescalina e analizzando echi di teorie ancora troppo complesse per essere
elaborate.
Dopo
ogni pausa, ogni spostamento, lo scrittore vedeva le proprie pagine sotto punti
di vista diversi, i suoi e quelli dei suoi doppi, c’era una moltiplicazione di
voci, a volte dietro i muri, negli oggetti, nei profili vibranti di vivide
allucinazioni, qualcuno gli aveva suggerito che invecchiando i colori
diventassero meno brillanti, lui era rimasto silenzioso, anche se avrebbe
voluto aggiungere che non sempre questo era vero, che la meditazione, la
trascendenza o più semplicemente l’ingestione di una goccia di acido lisergico
avrebbero di nuovo ripitturato il mondo con l’essenza cromatica stessa di ogni
singolo atomo della giovinezza.
Le
pareti del bagno erano bianche e i pavimenti immacolati, riflessi di divinità
indiane ai bordi dello specchio, la pelle blu, il cazzo in erezione, le stampe
di ragazze nude in una vasca da bagno, le promesse sussurrate dalle bocche
senza denti dei mercanti di gloria, i rintocchi digitali di una campana inesistente,
segmenti di ore, frammenti di minuti, schegge di secondi, il rumore crepitante
dei tacchi sulle assi di legno, il fermo immagine di un uccello in volo, i
flussi di persone in movimento lungo le strade, i nuovi attentati, l’orrore e
la morte, lo sguardo scambiato con un poliziotto alla stazione dei pullman, i
doni anfetaminici dei marciapiedi, i monaci in preghiera nascosti tra le siepi,
le superfici che riflettono, modificano e poi si sciolgono in liquide
eiaculazioni, lei che conta da dieci fino a zero, i guanti di pelle nera, un
uomo che dice di aver letto i tuoi libri, seduti in una stanza che le ombre
abitano da anni, le estati che avevi dimenticato, il silenzio della mattina, la
pioggia di luce del tuo ultimo orgasmo.
domenica 7 gennaio 2018
freewheelin' #34
Feste
notturne in saloni poco illuminati, vestiti, braccia e bicchieri in movimento,
una donna asiatica che distribuisce inviti, un bacio leggero sulle labbra, i
lavori in città sconosciute, il senso di smarrimento, i corridoi e le vetrate,
i nomi in codice e gli incontri in cortili e case d’infanzia, le illusioni
ripetute di tutta una vita, non c’era mai stata una reale possibilità di
fuggire, di creare un distacco, di osservare gli eventi da lontano, dalla cima
della montagna lisergica, come avrebbe detto Al, ancora perso in qualche
villaggio balinese nell’attesa che il vulcano finisse le sue esuberanze
telluriche. E ancora tutte le parole che avevano riempito copioni e
sceneggiature ormai dimenticate, interi scaffali di discorsi impolverati, gli
schemi che ognuno ripeteva per uno stupido senso di facilità, ci si
abbracciava, si dicevano due stronzate, si finiva al letto insieme, ne avevo
abbastanza, c’erano oasi che solo gli oceani della mente e i deserti del corpo
potevano ancora nascondere, presagi d’oriente, sonorità arabe, donne dagli
occhi a mandorla e oli su cui scivolano le dita, sarei andato avanti e ancora
più lontano, ennesime porte che il buio proteggeva, la testa poggiata su un
muro di bianca quiete, le immagini della scimmia che risale la collina dei
sakura, niente grida, niente danze, nessuna maschera a trasformare le nostre
sembianze, un anello di costrizione gettato in un lago, la lieve foschia che
gli alberi accarezzano, le ombre in un pozzo, i disegni floreali sui tappeti
del piacere e i corpi sdraiati ad ascoltare sospiri e orgasmi proibiti.
mercoledì 3 gennaio 2018
Cymru #22
I
paesaggi apparivano ondulati, i colori che Zoe sceglieva nella mente, le canzoni
composte durante la notte, mi domandavo se quella donna trasformasse le sue
note in scopate, se quegli stessi brividi che la sua voce creava
attraversassero anche le colonne vertebrali dei suoi amanti.
Lo
scrittore ripensava al modo in cui lei nascondeva il volto con i capelli mentre
lui cercava i suoi occhi, le sfumature rossastre delle foglie d’autunno, la sua
pelle che non aveva mai accarezzato, adesso lui era seduto davanti a un tavolo
di legno e osservava le ombre, le loro forme e i riflessi di luce sulle
superfici di plastica e metallo e c’erano fogli e appunti e frammenti di
discorsi ovunque e la faccia di Hinton mentre parlava delle sue prime esperienze
con l’acido, nessuno sapeva cosa fosse, nessuno si immaginava quali effetti
producesse e c’erano stati errori e sbagli e rivelazioni così profonde che
avevano spaccato barriere psichiche e mentali, danni, improvvisazioni
schizofreniche che gli attori avevano canalizzato in interpretazioni psicotiche
e folli, il metodo Stanislaski stravolto da immedesimazioni lisergiche e certo,
diceva Hinton, certo che lo avevamo provato l’amore libero (anche se nessuno
glielo aveva chiesto), si scopava tra di noi senza pensarci troppo sopra ma
alla fine è stato un fallimento e dopo un po’ di settimane e mesi sono
cominciati a spuntare fuori (come funghi, suggeriva ghignante una sedia)
bambini e bambine e hanno iniziato a riempire il nostro spazio con i loro
piccoli corpi e i suoni e gli sguardi e la vita che andava avanti da sola, che
noi ne fossimo coscienti o meno e poi lui è partito per Copenaghen, con un
furgoncino, allontanandosi e perdendosi fra le fredde visioni del Nord Europa e
le coltivazioni nascoste di skunk, da qualche parte, per fare soldi e spostarsi
di nuovo, poi i viaggi in Marocco, per prendersi una pausa e anche qualche
panetto di hashish da riportare indietro, le facciate bianche delle case e i
tappeti sui pavimenti, il tè alla menta, il vecchio Lee seduto davanti alla
macchina da scrivere, le parole inventate dalle sue dita da insetto, i tagli e
le ripetizioni, i volti deformi appesi alle pareti, qualcuno sarebbe venuto a
cercarlo, i compagni di Frisco o agenti segreti di agenzie cosmiche, tutto si
ricollegava soprattutto quando nulla era vero, dovevamo solo aspettare,
osservare i punti sparsi su una mappa immaginaria e le linee che gli anni, a
nostra insaputa, finivano per trasformare in bizzarri disegni.
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