Feste
notturne in saloni poco illuminati, vestiti, braccia e bicchieri in movimento,
una donna asiatica che distribuisce inviti, un bacio leggero sulle labbra, i
lavori in città sconosciute, il senso di smarrimento, i corridoi e le vetrate,
i nomi in codice e gli incontri in cortili e case d’infanzia, le illusioni
ripetute di tutta una vita, non c’era mai stata una reale possibilità di
fuggire, di creare un distacco, di osservare gli eventi da lontano, dalla cima
della montagna lisergica, come avrebbe detto Al, ancora perso in qualche
villaggio balinese nell’attesa che il vulcano finisse le sue esuberanze
telluriche. E ancora tutte le parole che avevano riempito copioni e
sceneggiature ormai dimenticate, interi scaffali di discorsi impolverati, gli
schemi che ognuno ripeteva per uno stupido senso di facilità, ci si
abbracciava, si dicevano due stronzate, si finiva al letto insieme, ne avevo
abbastanza, c’erano oasi che solo gli oceani della mente e i deserti del corpo
potevano ancora nascondere, presagi d’oriente, sonorità arabe, donne dagli
occhi a mandorla e oli su cui scivolano le dita, sarei andato avanti e ancora
più lontano, ennesime porte che il buio proteggeva, la testa poggiata su un
muro di bianca quiete, le immagini della scimmia che risale la collina dei
sakura, niente grida, niente danze, nessuna maschera a trasformare le nostre
sembianze, un anello di costrizione gettato in un lago, la lieve foschia che
gli alberi accarezzano, le ombre in un pozzo, i disegni floreali sui tappeti
del piacere e i corpi sdraiati ad ascoltare sospiri e orgasmi proibiti.
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ZetaElle #32
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