C’erano
nuove divinità che gli occhi adoravano e avevano forme triangolari e occupavano
lo spazio fisico come miraggi di piramidi di vetro e metallo e gli schiavi
camminavano nelle strade e obbedivano alle scritte sui muri mentre le bocche
aperte, affamate e voraci dei bancomat vomitavano soldi e carte di credito.
C’erano serie di miserabili inginocchiati per terra, la fronte a toccare il
cemento, i tunnel sotterranei come intestini che digerivano vagonate di persone
dirette verso il loro lavoro per poi rigurgitarle nel grigio dei vapori, tra le
gocce acide di pioggia e i neon che lampeggiavano in ipnosi elettroniche. Vagavamo
alla ricerca di un senso che desse una possibile spiegazione a questo caotico
disperdersi, avevamo osservato con attenzione gli sbagli che qualcuno aveva
annotato nella nostra personale cartella clinica, prima di rinchiuderci in una
stanza, per otto ore al giorno, seduti davanti ad uno schermo a battere le dita
sui tasti, a rispondere al telefono, voci registrate che ci prendevano per il
culo e rubavano il nostro tempo, firmavamo contratti per essere ingabbiati e
dalle sbarre ci accontentavamo delle poche carezze di luce che venivano a
trovarci e dimenticavamo, giorno dopo giorno, anno dopo anno, che c’era un
altro mondo, pieno di colori e voci diverse, ognuna con la sua melodia di suoni
e armonie, dimenticavamo perché ci era stato donato questo respiro, il perché
delle stelle e degli sguardi dell’alba eppure era ancora tutto qui, qualcosa che
potevamo toccare e sentire e osservare in ogni secondo, questa fluida e lucente
meraviglia, questo infinito trasformarsi, c’era una libertà che nessuno aveva
più il coraggio di accettare, perché significava ammettere che quello che possedevamo,
tutte le auto, le case e i televisori, non erano altro che nulla, una prigione
di false idee e bisogni, poi ci sono i miei occhi che osservano le nuvole nel cielo,
i fiori sbocciare, il sole nascondersi tra le foglie di un albero, il mio cuore
che si colma di gioia e tristezza, perché nulla di quanto è esistito è stato
mai nostro eppure tutto questo ci è sempre appartenuto.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
ZetaElle #28
Tornato in città Zito Luvumbo si era ritrovato pieno di cose da fare e organizzare. Simulazioni di guerriglia urbane per le strade dei qua...
-
I dolori iniziano lunedì mattina, al lavoro. Durante la lezione mi tocco il lato destro della bocca e sento crescere una...
-
Ce l’hai una sigaretta? - chiede il tossico. Non fumo, mi dispiace – rispondo. Allora che me la vai a cercare? No, non ho quest...
-
Per capire il significato di quella perdita dovresti passare almeno cinque o sei anni con una stessa persona e vederla tutti i giorn...
Nessun commento:
Posta un commento