giovedì 30 marzo 2023
London #12
sabato 18 marzo 2023
London #11
martedì 14 marzo 2023
London #10
Tristan era venuto a trovare Sara, adesso che stavamo in Kettlebaston Road, nella casa di una sua amica e avevamo parlato per tutto il pomeriggio e la sera, fumando erba e aprendo porte sui nostri mondi interiori, socchiudendo gli spiragli del passato, le immagini dei ricordi in comune di Sara e Tristan, la settimana che avevano passato al Boom Festival in Portogallo, le bancarelle, le pasticche e le risate - Grigio e pioggia e le passeggiate lungo Brick Lane, i ristoranti bengalesi, i vestiti orientali, gli odori delle spezie e quelli di un’umanità in continuo movimento, uomini e donne che si mischiavano, riproducendosi, portando avanti tradizioni e sperimentando nuove possibilità - Camminavamo verso Liverpool Street, dove cominciavano ad ergersi i palazzi del futuro della City, come se tutto quello che avevamo intorno non fosse altro che una proiezione oleografica delle strategie visive del capitalismo e del denaro, gli architetti dell’ultimo millennio venivano pagati per dare forma alle allucinazioni geometriche di ricchi oligarchi del consumo, piani su piani, torri e piramidi, chi sarebbe arrivato più in alto? Il vincitore credeva davvero di avvicinarsi così alle nostre finte divinità? Di essere, forse, una di quelle divinità?
Saremmo arrivati ad un punto in cui non avremmo più potuto distinguere la differenza fra la realtà e la sua duplicazione in immagini trascendentali e tridimensionali, avremmo avuto schermi così grandi, con una definizione tanto alta che sarebbero diventati essi stessi la manifestazione subliminale del mondo, il fenomeno oltre lo sguardo e di noi uomini, fra i lucenti margini di questa visione, cosa sarebbe rimasto? Come saremmo stati capaci di separare la falsificazione digitale dall’inganno di quanto quotidianamente osservavamo?
Durante la notte le sagome degli edifici di vetro e metallo mettevano paura, soprattutto quelle dei palazzi incompiuti, i cui scheletri di cemento si ergevano come cadaveri metropolitani in attesa di prendere vita, c’erano una enormità di luci tutte intorno e in alto, una verticalità di fonti di illuminazione che ci davano l’ennesima illusione di un futuro che fosse il presente o viceversa, il tempo era stato annientato e con esso il nostro stesso destino, sempre ammesso che ne avessimo mai avuto uno e che ogni non giorno non fosse stato altro che l’ipnotica ripetizione di quelli che lo avevano preceduto.
Ci siamo fermati a bere un paio di pinte in un Wetherspoon, io e Sara e lei mi raccontava della sua vita a Londra, di cosa faceva, dei luoghi che visitava e i ricordi come sempre prendevano una forma nella mente dello scrittore e divenivano parti fluttuanti di una storia che in un momento imprecisato sarebbe poi stata raccontata - Tristan parlava del padre e dei rapporti con la sua famiglia e di villaggi utopistici in India in cui ciascuno avrebbe potuto realizzare le sue piene potenzialità e corsi di meditazione e cerimonie sciamaniche e un uomo che si guadagnava da vivere con un metal detector cercando gioielli smarriti nelle spiagge dove i ricchi magnati russi passavano le loro ore, dimenticandosi bracciali, anelli e collane sotto la sabbia - E le molte esistenze che i più coraggiosi sapevano scegliersi e anche quelle che i più folli, suggeriva lo scrittore, sapevano immaginarsi e un abbraccio, al mattino, sotto le lenzuola, dove avrei voluto rimanere stretto a te per gli anni a venire - Un altro secondo, un brivido, una carezza, un bacio, un sorriso, un gesto d’amore, un fremito della carne, un palpito del cuore, un ennesimo momento smarrito che al risveglio non saprò più come chiamare.
sabato 4 marzo 2023
London #9
Mattine invernali, il fumo che esce a sbuffi sopra i tetti, le strade vuote e gli echi di natali scomparsi, quando ero ancora un bambino, i regali da scartare sotto l’albero, quella semplice gioia, i pranzi in famiglia, quel senso di protezione, i giochi con le carte, la tombola, le immagini di volti familiari che cominciavano a sfuocarsi, a perdersi lungo i margini di quelle strade che avevo dovuto percorrere per allontanarmi da loro e fuggire, per vagare e perdermi, di stazione in stazione, in un meraviglioso viaggio in cui avevo lasciato libera la mia fantasia di modellare e trasformare il presente seguendo le logiche misteriose dei sogni o quelle liriche del cuore, dei romanzi, dei film, delle poesie.
Avevo scritto una storia unica, personale, svogliata e struggente, di cui ero stato il protagonista, l’autore e il lettore, in uno scambio costante di ruoli e posizioni, nell’affascinante ricerca di spazi intimi, interiori, in cui rifugiarsi e barricarsi, tentando così di difendere la propria esistenza dalla barbarie del consumismo e dell’omologazione, sapendo bene che la sconfitta sarebbe stata il traguardo, l’unica e gloriosa vittoria ancora possibile.
Lente passeggiate lungo i canali, a guardare i barconi fermi sulle sponde, inventando situazioni letterarie, vagheggiando sulle intuizioni narrative che ogni imbarcazione offriva, l’odore del carbone, l’acqua immobile e sporca, il volo improvviso di alcuni uccelli e oltre le chiome degli alberi si intravedevano le prime sagome degli edifici del futuro, architetture che trasformavano i miei pensieri in una continua proiezione lisergica, scattavo foto in bianco e nero affinché quelle geometrie del subconscio non si sciogliessero nel pattume di idee ripetute e inutili e poi c’erano i parchi in cui la mente e le gambe potevano riposarsi e gli alberi mi accoglievano di nuovo con la loro pacata benevolenza e così i ricordi arrivavano e la memoria diventava il presente e questo preciso momento non aveva più una posizione chiara, perché sarebbe potuto solo essere un immaginario punto di un disegno (o uno scherzo) infinito, incomprensibile, insulso e incompiuto.
Alcune linee erano state spezzate e dei progetti originali non rimaneva che un’astratta e malinconica composizione, solo così l’arte era libera di esprimersi e la materia della vita stessa diventare malleabile e modellabile a nostro piacimento o contro la nostra volontà, i recinti erano stati distrutti e i confini cancellati e c’erano vele alzate in giornate senza vento, quando era solo l’illusione di muoversi a mandarci avanti.
E ancora il mio volto riflesso in uno specchio in un tenue chiaroscuro e oltre la cornice che racchiude ogni nostra immagine i muri e gli oggetti di appartamenti in cui altre persone vivono e poi scompaiono, perché questo è il nostro destino. Pregavamo spesso affinché tutto ciò finisse e quando sarebbe arrivato il momento di andarsene, avremmo solo voluto un attimo in più. Meglio prepararsi da subito ed essere pronti a lasciare ogni cosa, nella luce che ci avvolge nulla è mai esistito.
ZetaElle #28
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