lunedì 22 luglio 2024

ZetaElle #1

 Continuerai a scrivere perché qualcuno ha deciso che questo sarebbe stato il tuo destino - Alcune delle mie foto erano in una stanza di un albergo, appese alle pareti e non ricordavo perché mi trovassi lì insieme a loro ma sapevo che dovevo prendere un aereo e non avevo idea di come avrei fatto per riportarle indietro, forse avrei dovuto spedirle a quell’indirizzo che pensavo fosse quello della mia casa ed è arrivato Marco e mi ha detto di sbrigarmi e c’erano residui di discorsi notturni che galleggiavano innocui da qualche parte mentre aprivo la finestra per vedere in che città mi trovassi ma le linee architettoniche dei palazzi erano sconosciute e la luce opaca e forse avrebbe piovuto e bisogna muoversi, così ho fatto una doccia e mi sono vestito e ho preparato la mia borsa, sperando che le foto, in qualche misteriosa maniera, sarebbero di nuovo apparse sui muri del mio appartamento a Roma - Lorenzo era ancora perduto in qualche sogno acido, probabilmente andato a male e prima di vederlo ho riconosciuto la sua voce che mi è arrivata come un sussurro dell’adolescenza nelle orecchie e poi ho intravisto il suo profilo e sembrava stranamente uguale a quello di trenta anni fa, una sigaretta fra le labbra mentre stava parlando con un tipo non proprio raccomandabile pieno di tatuaggi che gli arrivavano fino alla testa rasata, droga, come al solito, ho pensato - Zito Luvumbo era arrivato in Italia su uno dei centinaia di barconi che ogni anno cercavano di sbarcare a Lampedusa, senza documenti, senza soldi, con una identità segreta che con il tempo avrebbe ricostruito e modificato a seconda delle esigenze. Aveva dovuto seguire la stessa trafila di tutti per ottenere un documento, dormire nei centri di accoglienza, vagare durante il giorno nelle città, imparare qualche parola della nostra lingua. Zito Luvumbo sapeva che apparire spaesato e innocuo, fragile e in fuga era la maniera migliore per mimetizzarsi con gli altri, aveva raccontato una storia davanti alla commissione per il riconoscimento dello stato di rifugiato politico che qualcuno aveva scritto per lui, che aveva imparato a memoria provandola e riprovandola nei momenti di solitudine, che erano stati molti e senza troppi problemi aveva fatto propria una narrazione che faceva del viaggio e della perdita i suoi temi principali. Insieme alla violenza, al dolore e alla speranza. 
Finito l’iter burocratico, ottenuto l’asilo politico, uscito dal centro di accoglienza, Zito Luvumbo venne contatto da un uomo, dal quale ricevette dei soldi e alcuni ordini. Prese una stanza in un albergo economico dalle parti di Piazza Vittorio, dove rimase per circa un mese, prima di far perdere le sue tracce. Passava le sue giornate nei giardini di Piazza Vittorio, dove parlava con altri stranieri, Zito Luvumbo si era così riappropriato di un’altra identità, quella in cui sapeva parlare diverse lingue, che gli permettevano di creare contatti, di scoprire, di controllare, di archiviare, di collegare. Quando tornava nelle sua stanza scriveva degli appunti, in codice, su alcuni quaderni che aveva comprato. Scriveva delle storie, dei racconti, in cui la finzione non era altro che una chiave di lettura segreta della realtà. Zito Luvumbo sapeva muoversi. E il quartiere stava cominciando ad imparare a farlo insieme a lui.

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ZetaElle #4

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