La stanza in cui viveva a diciannove
anni, era il 1992, una stanza piccola e lunga con un letto, un lavandino e una
finestra sul fondo, al terzo piano di una pensione ad Amsterdam nel quartiere a
luci rosse. L’odore pungente della marijuana era una caratteristica di quella
pensione, si sentiva ovunque, lungo le scale ripide, nell’ingresso, dove una
malinconica signora olandese accoglieva tutti con una gentilezza lucente ed era
così rassicurante il suo sguardo quando le chiedevi la chiave della tua stanza
ed eri talmente stravolto che neanche ricordavi il tuo nome o la città da cui
venivi. E sognavi, ragazzo mio, disteso su quel letto dalle coperte verdi,
sognavi quello che sarebbe accaduto, un domani, in quello che stupidamente
chiamavi futuro, perché era ancora un gioco meraviglioso immaginarsi la vita e
scivolare nelle tue dorate malinconie e oziare per ore e ore, sotto l’effetto
dell’erba, sdraiato su un prato o sulle tue lenzuola e vagare per la mente ed
espanderla e guardare la pioggia cadere e poi allontanarsi nel silenzio, era
ancora bello guardare le ragazze e seguirle e fantasticare sulle loro labbra,
sui capelli, cercare la bellezza nei loro occhi e poi, con un sorriso,
lasciarle andar via.
C’era un bagno in comune, alla fine
del corridoio e potevi incontrare gli altri ospiti e salutarli e sorridere e
vedere sempre facce tranquille, senza ombre di rancore e c’era una ragazza dai
capelli neri, ad un paio di porte dalla tua e avevate parlato, tante sere,
seduti davanti ad una bustina di buon hashish, bevendo tisane alla menta e
fumando e i silenzi e ancora gli sguardi e le scopate, certo, perché scopare fa
parte dell’ordine delle cose ed è un bisogno e una gioia e un desiderio e a volte
una dolce attesa e a volte solo un’illusione del tuo corpo e poi vi salutavate
e ognuno continuava il suo percorso e poi ti incontravi di nuovo e sembrava
veramente che non ci fossero legami o problemi, ma eri ancora giovane ragazzo
ed avevi la libertà dei giorni e delle notti senza tempo, senza orari, senza
ordini e ti guadagnavi la vita, quel poco che ti serviva, per la stanza, le
droghe e il cibo, suonando per strada, nei locali con una mente ancora pura,
non corrotta dal denaro, perché eri nel pieno della tua grazia e potevi ancora
sognare, ragazzo, sognare e vivere senza pensare che ci fossero differenze,
senza pensare al risveglio, a quando te ne saresti andato, a quando tutto
sarebbe stato diverso.
Steso su un prato guardo le nuvole
passare.
Possano i tuoi sogni essere quelle
nuvole.
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