Era seduto all’inizio dell’aereo, in sesta o settima fila, dalla parte del finestrino, perché gli piaceva vedere il mondo in quella prospettiva dall’alto, come se nell’arco di un minuto la terra si trasformasse nella sua mappatura. Il decollo era come l’inizio di un rituale, faceva dei lunghi respiri con la pancia, quando l’aereo si staccava da terra, lui si girava completamente dalla parte del finestrino e guardava sotto. Il mondo aveva ordine. L’uomo, schematicamente, aveva cercato di dare forme geometriche alla terra sulla quale camminava. Strade, campi arati, case, fabbriche. Forme geometriche applicate al mondo. Il grande caos delle montagna, la calma blu del mare, l’azzurra speranza del cielo, le bianche forme da pasticceria delle nuvole, chiuse gli occhi e si addormentò un poco, vicino a lui c’erano due ragazze giapponesi, parlavano poco e quel poco che dicevano lui non lo capiva. La compagnia perfetta. Silenzio e femminilità rasserenante.
Aprì
gli occhi, guardò fuori, c’era uno sterminato tappeto bianco. Sopra le nuvole.
Quello era un altro mondo, un’altra dimensione, prese un tè caldo e bevve
lentamente. Si chiese se Penny avesse unito i letti o se li avesse lasciati
separati. Ogni tanto dormivano insieme, quando lei si sentiva più materna e
protettiva o quando aveva voglia di scopare. Ormai avevano quasi quarant’anni e
si conoscevano da venti. Non si vedevano più come prima, anche perché lui era andato
a vivere in un’altra città. Però, quando poteva, passava tre settimane o un
mese da lei, aveva una magnifica casa nella cerchia dei canali ovest, in una
zona molta tranquilla, gli piaceva quando si sedevano sulla piccola panchina di
legno fuori dalla casa e lei gli raccontava della sua vita, del periodo che
aveva lavorato nel red light district, periodo che lei chiamava selvaggio e
periodo nel quale si erano conosciuti. Bevevano una tisana alla menta e
mangiavano una fetta di torta all’hashish che penny sapeva preparare così bene.
Adesso che ci pensava le avrebbe anche chiesto se poteva leccarle i piedi, una
sera, magari dopo un paio di canne, così, per ricordare i vecchi tempi. gli
venne duro nelle mutande. le due giapponesi guardavano una rivista di moda,
avranno avuto poco più di venti anni, prese il libro che si era portato e si
mise a leggere.
Il
comandante annunciò che erano quasi arrivati, lui sistemò il sedile e guardò
fuori dal finestrino, la fase dell’atterraggio era la fine del rituale. Iniziò
a respirare più lentamente e con la pancia. L’aereo scendeva, vide la pista,
che si faceva sempre più vicina. Vide un cancello, c’erano due uomini sdraiati
su una coperta e un bambino e una bambina che giocavano. Guardare gli aerei che
atterrano, pensò, era una cosa che non aveva mai fatto. Ne avrebbe parlato con
penny. Magari davanti ad una bella heineken ghiacciata e ai sui piedi dentro
sandali orientali.
Nessun commento:
Posta un commento