Il suono del tamburo era
ritmico, una voce ululava nella notte, dei fischi animaleschi bucavano l’aria,
facendomi vedere figure concentriche che si allargavano al loro passaggio nel
vuoto, il suono appariva come la scia lucente di una freccia che fendeva
l’aria, vista al rallentatore, che fioriva in corolle circolari, una dopo
l’altra, una ad ogni colpo del tamburo, volammo poi nel cielo stellato,
arrivando su un altura che dominava uno sterminato deserto, le rocce
millenarie, aliene, preistoriche, che si ergevano come colonne vertebrali dalla
terra, la luce e il buio si alternavano in maniera ritmica, ogni volta che il
tamburo batteva, adesso più lentamente, le ombre delle pietre rosse ed enormi
assumevano i contorni e le forme di volti dimenticati, questi sono i miei
antenati, i padri di centinaia di altri padri, perduti nel tempo eppure adesso
presenti, la loro lingua è quella dei sogni – disse il vecchio, volai sopra
quelle ombre e ascoltai i loro racconti, attraverso immagini mentali, simili a
quelle che percepiamo durante le esperienze oniriche, vidi le antiche cerimonie
di quegli uomini, li vidi mentre salivano sul dorsale pietroso che costeggiava
la valle della luna, di notte, in attesa che le divinità si manifestassero,
salivano in fila, portando delle fiaccole in mano e una sacca sulla spalla,
avevano delle vesti di lana che li ricoprivano interamente, come dei mantelli,
mentre la testa passava attraverso un buco aperto nel centro di quello
splendido tessuto, la luce delle torce tremolava nel buio e i canti di quegli
uomini sembravano fatti di vento e sabbia e una volta in alto, al limite del
dorsale, la luna uscì dalle nubi e loro si inginocchiarono e continuarono i
loro canti, le fiaccole vennero usate per accendere un enorme fuoco e loro si
sedettero in cerchio, intorno al fuoco, ognuno su una pietra con sopra inciso
un simbolo, accanto alle pietre c’era il sacco di lana che si erano portati
dietro la schiena durante la salita, dal sacco presero un lungo tubo dallo
stretto diametro, alcuni lo avevano di osso altri di legno, poi presero una
tavoletta, ce ne erano di diversi tipi: rettangolari, iperboliche,
trapezoidali, ellissoidali, con una parte leggermente scavata, sempre
rettangolare, su alcune tavolette c’erano delle incisioni che raffiguravano
animali, giaguari, lama, alpaca stilizzati, lo sciamano aveva una piccola borsa
di pelle attaccata alla sua cintura, la aprì e iniziò a tirare fuori dei semi
di cebil, ne consegnò cinque ad ognuno degli uomini che sedevano sulle pietre,
in cerchio, davanti al grande fuoco. Gli uomini presero un altro oggetto dalle loro
sacche, un piccolo mortaio di pietra, ci misero dentro i semi e li iniziarono a
pestare con una delle pietre che si trovavano da tutte le parti intorno a loro.
Una volta che i semi divennero polvere gli uomini si fermarono, intonarono un
nuovo canto, sommesso, a voce molto bassa, poi presero i lunghi tubi e tutti
insieme, contemporaneamente, aspirarono la polvere. Poi fu silenzio e il
tamburo del sacerdote e lo spazio infinito intorno, le stelle, il deserto, le
montagne, l’intero universo raccolto in suono ipnotico. Nel cielo i punti
luminosi si univano in forme archetipiche di animali, che cambiavano a seconda
del ritmo del tamburo, il cosmo si espandeva e si restringeva, poi fu di nuovo
silenzio, una nuova melodia nacque nel mondo, meravigliosa e infinita, come la
visione di ognuno di quegli uomini.
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