Il
cielo era di nuovo grigio e si sentivano dei tuoni in lontananza, il suono era
attutito, più acuto era quello di alcuni uccelli che costruivano i loro nidi,
presi la valigetta nera e tirai fuori una piccola scatola quadrata di legno,
sembrava molto antica, ci dovevano essere state delle incisioni, un tempo, di
cui adesso rimaneva solo una pallida traccia, passai la punta delle mie dita
sul legno, poi aprii la scatola, dentro c’erano dei rametti di qualche pianta
desertica da cui spuntavano delle spine e dei minuscoli puntini verdi, avevano un
odore di strade polverose e perdute, presi un rametto e me lo misi nel palmo
della mano chiedendomi come assumere questa sostanza – io e Pavel eravamo
seduti dentro un locale, con pochissima luce, l’arredamento era di legno, non
c’erano molte persone e bevevamo birra scura, sul tavolo davanti a noi, in
alcuni momenti, si muovevano delle ombre, Pavel mi chiese, che cosa fa una
spina? Punge, risposi io, cercando di posare la mia mano su una di quelle ombre
che si muovevano sul tavolo, punge, ripetei a voce più bassa. Guardai il volto
di Pavel, aveva il soppracciglio sinistro alzato e gli occhi grigi, poi il suo
viso fu quello di un uomo qualunque, ordinario, nel suo vestito comune, devo
andare, disse, rimasi solo nel locale, non c’erano più ombre sul tavolo ma una
luce fioca, arcaica, che scivolava sulle imprefezioni del legno, rivelando
incisioni e scritte in linguaggi morti e dimenticati – avvicinai una delle
spine del rametto che avevo preso alla punta del pollice sinistro, feci
pressione, una goccia rossa, un’improvvisa illuminazione di dolore, ero in una
stanza in penombra e vedevo una figura femminile danzare nel vuoto dell’aria
immobile, i suoi capelli si muovevano più lentamente rispetto alle scie
luminose delle sue mani, delle sue gambe e dei suoi piedi, mi avvicinai, lei si
fermò, non riuscivo a vedere il suo volto, le posai le dita sulle braccia, la
sua pelle era come marmo vivo, come roccia e sabbia calda al tramonto,
continuai ad accarezzarla, ebbi un’erezione, lei si scostò, dirigendosi verso
uno degli angoli della stanza, accese una candela e iniziò di nuovo a danzare,
i suoi capelli cominciarono ad allungarsi, scendendo fino a terra, dirigendosi
verso di me, risalirono sulle gambe, fino al cazzo, lo avvolsero e iniziarono a
stringerlo, ritmicamente, quei capelli erano seta levigata, la presa divenne
sempre più stretta, venni in perle argentee che caddero sul pavimento, un suono
come di biglie lanciate per terra, con echi di caverne e rituali primitivi,
chiusi gli occhi – la valigetta era sempre sul tavolo, aperta, rimisi il
rametto dentro la scatola di legno, la spina con cui mi ero punto si era
staccata, al suo posto c’era un nuovo minuscolo puntino verde. Mi alzai e andai
verso la finestra. Stava piovendo.
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