giovedì 31 marzo 2016
le alte torri #39
mercoledì 30 marzo 2016
homesick #36
A casa ci si stava anche bene, dopo tutto, con i ragazzi, a bere e suonare, fumare hashish o marijuana, a seconda dell’occasione, veniva anche Maria, qualche volta, a cenare e a dormire con me, poi la notte rimanevamo abbracciati sotto le lenzuola oppure ognuno dal suo lato, era un momento di intimità che non volevo diventasse un’abitudine, mica ci riuscivo ad adattarmi alle regole, a come ti dicevano che si doveva vivere, una parte di me avrebbe sempre e comunque cercato di distruggere tutto quello che voleva avvicinarsi allo stabilito, al già scritto, al deciso. Passavo parecchie notti a suonare la chitarra con i ragazzi ma loro erano più bravi di me e allora ogni tanto mi limitavo ad ascoltarli e la cosa andava bene, era piacevole e mi trascinava in luoghi magici, dentro di me, steso sul letto, a sentirli, in bilico sulle note, si aprivano scenari mentali e arrivavano fulgidi ricordi, strisciando lungo le lame di luce che filtravano da sotto quelle porte chiuse, c’erano anche le immagini dorate dei miei vent’anni, delle scopate di quel tempo, giusto le prime, che mi avevano dato la sensazione di qualcosa di luminoso, che avrei potuto far splendere come fosse amore, poi si è rovinato quel gesto, quell’atto è diventato un bisogno, poi mi sono spinto nei miei luoghi oscuri e non ce l’ho fatta più a tornare indietro e mi sono perso e ho vagato, in un corpo altro, nei suoi desideri, sempre più profondi, indescrivibili e famelici. Di quelle mattine in cui scopavo su un tappeto non era rimasto più nulla, neanche di quella ragazza che mi aveva fatto intravedere una possibilità, tra la polvere che danzava nell’aria e i suoi occhi sempre più grandi, dopo anni passati insieme ci siamo ritrovati in un letto, una notte dopo l’altra, senza desiderio, senza voglia, estranei eppure vicini, alla fine si è presa un altro, ha fatto un figlio e neanche un saluto e allora un bel po’ di romanticismo me lo sono tolto dalle palle, tante belle chiacchiere, tante rotture di coglioni, le paure, i silenzi, non c’avevo mica voglia di ritrovarmele tra le mani queste cose, magari dei capelli da accarezzare si, sdraiati da qualche parte, ma non c’avevo più voglia di stare a perdere tempo dietro alle donne, passavano, venivano, sorridevano, che ognuno seguisse la sua strada, c’avevo perso l’innocenza dentro quelle cosce e adesso anche l’interesse, sarebbe tornata la voglia? Mica lo sapevo e neanche mi preoccupavo. Alcune sere mi mettevo a cucinare, un po’ di pensieri del lavoro che frullavano in testa, degli echi, qualche discorso che sentivo ancora ronzare, poi se ne andavano, lasciandomi in pace. Qualcuno, nei corridoi, non mi salutava più, meglio così, pensavo, meno fiato sprecato, i bagliori di luce sui vetri, immagini doppie e riflessi, bastava poco a farmi felice, seduto ad occhi chiusi dentro al calore bianco dell’ora di pranzo, era ancora inverno, gli alberi spogli, i miei sentimenti chiusi in gemme verdi, pronti a sbocciare.
martedì 29 marzo 2016
homesick #35
In un modo o nell’altro bisognava sempre aspettare, le cose si muovevano con una lentezza snervante e ormai non ci facevo neanche più caso alle chiacchiere e ai volti che incontravo nei corridoi. Tiravo avanti come meglio potevo. I nuovi locali dell’ufficio sembravano più piacevoli, con le pareti arancioni che ti davano la sensazione di un luogo caldo e accogliente ma quando ci ero entrato con le altre donne che lavoravano con me, come al solito, l’impressione era stata diversa, con le loro risate compulsive e i discorsi inutili a rovinare tutto. A volte le parole che producevano mi arrivavano come un rumore indistinto, un suono sgradevole, allora me ne andavo in classe, chiudevo la porta, ascoltavo della musica, loro se ne stavano in un’altra stanza a riempirsi la bocca di cibo e stronzate, mi sembrava come di essere tornato a scuola e la cosa non mi piaceva manco per il cazzo. Volevo la mia serenità e passare il mio tempo al lavoro tranquillamente. ‘Sta storia del gruppo si era rivelata l’ennesima presa per il culo, sono sempre scappato da questo tipo di situazioni, tirano fuori il peggio dalle persone. A loro piaceva perché così potevano parlare e stavano sicure che qualche fesso le avrebbe ascoltate, infatti dopo avergli fatto capire che non c’avevo più interesse a sentire le loro cantilene hanno iniziato a sbrodolarle su quegli altri pochi coglioni che gli giravano intorno e così iniziava di nuovo la giostra: i sorrisi, le strizzate d’occhio, i cambi di pettinatura. Mica ci si riusciva a sfuggire a ‘sta baracca, comunque io manco le guardavo più e già era tanto se le salutavo, prima o poi se ne sarebbero fatte una ragione, almeno così pensavo. Mi era pure tornata la febbre e la notte era passata in maniera delirante, sentivo il mio corpo pesante, duro, come se la massa muscolare si fosse raddoppiata. Mi giravo e sudavo sotto le lenzuola e tutta una serie di ansie e paranoie arrivavano a ondate e non me ne riuscivo a liberare, la mente era in trappola, sapevo bene di chi erano quelle voci che mi mulinavano nel cervello, erano le loro voci e la febbre le aveva moltiplicate in una litania senza fine. I brividi mi risalivano lungo la schiena e non erano piacevoli come le altre volte, volevo che passassero, volevo dormire e sentire la mente libera, niente da fare, all’alba ho preso una pasticca di tachipirina, mi sono rimesso al letto e ho atteso e come ombre sul finire della notte quelle voci, magicamente, sono scomparse.
lunedì 28 marzo 2016
dream #20
Io e Maria siamo davanti ad un cinema, compro due biglietti e ci spostiamo nel foyer, lei si allontana, ci sono già altre persone, parlano e aspettano di entrare nella sala, c’è un uomo che strappa i biglietti, gli do i miei e lui dice che non vanno bene, che con quelli devo entrare da un’altra parte, così me li restituisce e poi poi fa un gesto veloce con le mani e mi lascia una specie di timbro sui pantaloni, una scritta bianca, mi arrabbio, vado in cerca del responsabile del cinema per dirgli quanto è accaduto, - Arrivo ad una parete, attraversata da una lunga finestra orizzontale, dietro vedo alcune persone che stanno lavorando, sedute a delle scrivanie, al telefono o davanti ad un computer, faccio dei gesti per farmi notare, una delle persone si accorge di me, gli dico che voglio parlare con il responsabile, lui sembra intendermi anche se c’è un vetro che ci divide, poi abbassa lo sguardo – Da una porta esce un uomo, capisco istintivamente che è il responsabile, gli racconto quello che mi è successo, lui dice che ho ragione e mi chiede scusa, poi aggiunge che farà licenziare la persona che strappa i biglietti, poi cancella la scritta che avevo sui pantaloni, fa un gesto con la mano e le parole scompaiono come gesso su una lavagna, in una piccola nuvola di polvere bianca – Torno nel foyer e incontro Maria, ha due biglietti in mano, le dico che li avevo già comprati io e che non ci eravamo capiti, ci spostiamo verso l’entrata della sala, lei intanto dà i biglietti ad una persona dietro un bancone curvo e quella le restituisce i soldi che aveva pagato, poi entriamo nella sala senza che nessuno prenda i mei biglietti, è molto grande, con una volta a cupola, le pareti sono tappezzate di damasco rosso, scuro, cerchiamo i nostri posti, ci sediamo, le luci si spengono.
giovedì 24 marzo 2016
freewheelin' #29
mercoledì 23 marzo 2016
homesick #34
I portoni delle scuole li continuavano a vomitare fuori i ragazzi, nelle strade e nel sole e loro ridevano, per la giovinezza, per l’assenza di prospettiva, ridevano, ‘ste piccole teppe, che mancava poco tempo a Natale e già si divertivano a far scoppiare i botti, quando gli passavi vicino e loro te li tiravano addosso, facendoti saltare e bestemmiare e un paio di questi stronzetti avevano dato fuoco a un pezzo di carta e lo avevano buttato sul cofano di una macchina, vicino al parabrezza e la guaina di plastica che ci stava sotto aveva iniziato a bruciare e allora gli ho urlato, venite qua e loro sono scappati e io mi sono buttato all’inseguimento, ma giusto per scherzare, perché se c’è qualcuno che fa il teppista, un altro deve fare quello che lo insegue, sennò non c’è azione, non c’è drammaticità e allora uno si è nascosto dentro un portone e l’altro l’ho perso di vista, povero stronzo, me l’avevano fatta, però ci avevano creduto che li volessi prendere, era solo una bugia come un’altra, come le ragazzette che gli giravano intorno, in cerca dei primi baci, delle prime strette di culo, ridevano nella luce e nelle ombre, rincorrendosi, mica lo sapevano quello che li aspettava, tutti quanti, le bocche in cui sarebbero finiti, per essere masticati e sputati, sognatele pure le vostre storie d’amore, le vostre donne, le mogli e i figli, i vostri mariti e i vostri sposi, sognatevela la vostra casa, la vostra prigione, come arrivare a fine mese, troppo lontano, come arrivare alla fine della giornata senza essere impazziti, i vostri gruppi, le vostre parole, continuavo a camminare da solo, come sempre, qualcosa diventava sempre più concreta, reale, nitida, l’asfalto e gli stronzi per strada, quelli che ti passavano accanto, quelli che dovevi essere tu ad evitare per non sporcarti le scarpe di merda.
venerdì 18 marzo 2016
freewheelin' #28
ZetaElle #28
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