Avevo
incontrato Jafar sotto archi di luce, camminando piano, lungo il mio sentiero
dorato - in alcune stanze possiamo cercare il dolore e i suoi insegnamenti, i
limiti della pelle e superarli, chiudere il cerchio, soffiare sulla candela,
inginocchiarmi davanti alle tue gambe di giada e poi uscire fuori, nelle
strade, nei parchi e vagare per le vie del quartiere - ci siamo abbracciati io
e Jafar, lui portava una giacca bianca, coperta da filamenti luminosi, li
vedevo muoversi nell’aria, come alghe di tungsteno iridescenti nell’acqua, ci
siamo guardati negli occhi, i suoi erano calmi, tranquilli, ho capito subito
che stava bene, non abbiamo parlato molto, gli ho sorriso, poi mi ha detto che
i miei capelli stavano diventando bianchi, è vero, sto invecchiando, l’avevo
detto anche a Lynn, in un altro tempo e in altri spazi mentali, poi ci siamo
seduti su una panchina a mangiare un gelato e riposare, poi ho salutato Jafar,
non sapendo se l’avrei rivisto, c’erano così tante porte, mondi da esplorare,
livelli di coscienza e percezione da scoprire - a casa, sdraiato sul letto, ho
tirato una striscia di polvere azzurra, poi mi sono seduto davanti ad uno
specchio, sembrava di essere sul fondo dell’oceano, sfumature di cristallo e
lapislazzuli, guardavo i miei capelli, splendevano, filamenti di bianco titanio
e riflessi di corallo, si muovevano lentamente, squame sulla pelle fredda – poi
raggiunsi l’abisso, gli archi marini e le sue brillanti cattedrali di roccia.
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