La tempesta aveva fatto cadere decine di alberi e pali del telefono e ci aveva tagliato fuori dal mondo e dalle comunicazioni per parecchi giorni. Avevamo cibo a sufficienza e alcol e droghe e quindi nulla ci metteva fretta, passavamo le giornate distesi sui tappeti, a osservare gli intarsi floreali del soffitto muoversi e danzare, i colori acquisire grottesche profondità e lo spazio tridimensionale convergere in nuovi piani liquidi e densi di suoni, quando qualcuno iniziava a improvvisare sul pianoforte e le note gocciolavano e si intrecciavano ai fili armonici di luce nati dalle corde di una chitarra e alle dense e oscure pulsazioni cardiache di un basso elettrico e ai ritmi tribali e ipnotici scanditi dalle percussioni, per poi rallentare e amplificarsi in visioni metropolitane notturne e i quadri e gli oggetti che raccontavano storie per immagini e un uomo con un occhio solo che filmava dalla sua personale macchina da presa mentale e decostruiva il flusso della vita in sequenze che qualcuno avrebbe poi rimontato in incastri onirici, deliri schizofrenici, intuizioni dadaiste, era come tornare indietro ai tempi delle avanguardie storiche e sperimentare tutto quanto da capo, lasciarsi andare alla pura esperienza artistica e distruggerla un attimo dopo, nessuno sarebbe venuto a cercarci, nessuno avrebbe disturbato questa fittizia ibernazione poliedrica, c’erano schemi esagonali in strutture architettoniche futuristiche, esempi di follia creativa usati per riorganizzare la vita sulla terra in ecosistemi utopistici dove le idee, i pensieri e le logiche astratte finivano per confluire in un unico progetto di inaudita potenza rivoluzionaria e poi canzoni, danze, poesie e romanzi, sinfonie, film e atti unici, drammi e improvvisazioni, comunità che si formavano seguendo gli impulsi del desiderio e dell’amore, questa parola che generazioni precedenti avevano affisso sui muri di società simili a prigioni, nella speranza che qualcosa sbocciasse e fiorisse, che ci fossero ancora carezze e abbracci e una nuova possibilità di incontrarsi sulle linee della pelle e del destino per rimodellare così la nostra stessa umanità e spedirla poi nelle galassie dell’inconscio, nelle dimensioni ultraterrene degli universi interiori, dove perdere definitivamente ogni divisione senza più sapere cosa fosse maschile e cosa femminile, in una unità di origine e crescita, divinità blu e sguardi miti, fluidi sessuali rosa e violacei e incontri oltre la porta delle percezioni, ormai aperta e dischiusa, come la gambe di una giovane fanciulla rapita dai propri sensi, la neve continuava a cadere e i giorni a trasformarsi e ognuno parlava in silenzio e ascoltava gli altri ad occhi chiusi, nell’infinita e fluida meraviglia di vederli reali per la prima volta.
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