giovedì 28 aprile 2022
dream #112
venerdì 22 aprile 2022
dream #111
martedì 19 aprile 2022
Roma #13 (via tiburtina)
Via Tiburtina, direzione Tivoli. Ci arrivo dopo aver attraversato San Basilio (spaccio, droghe, ricordi di un giorno in cui stavano facendo enormi murales sulle facciate di alcuni palazzi), fermandomi poi ad un semaforo e trovandomi davanti alla mastodontica carcassa in cemento di una fabbrica farmaceutica abbandonata, nella quale avevamo girato alcune scene di un film quando eravamo attori e registi e mettevamo in discussione la realtà attraverso l’uso di sostanze allucinogene sperimentali, nuove sintesi di millenarie preparazioni sciamaniche e l’evoluzione, certo, il progresso dovevano andare avanti, fosse anche per quel sublime e momentaneo ritorno all’estasi danzante del caos originario.
Via Tiburtina, direzione Tivoli. File di capannoni industriali e spazi vuoti e palazzine a due piani, sale per le slot machine, tavole calde, supermercati aperti tutta la notte, dove sono le puttane? Chiedeva uno dei produttori che mi ero portato dietro mentre si accendeva il sigaro e dava una sorsata dalla fiaschetta d’argento che aveva in mano (cosa beveva? Sangue umano?), era ancora presto, io avevo preso una mezza pasticca di ecstasy per colazione, poco prima di mettermi al volante (audace farabutto) e dunque che cosa importava?
Le giornate alla festa del cinema di Roma erano state abbastanza mediocri con frotte di studenti intorno, attempati giornalisti che borbottavano e si addormentavano in sala, vecchie battone imbellettate su tacchi spuntati e giovani puttanelle che si mettevano in mostra in cerca di qualche fesso arrapato che le facesse entrare nel giro (quale? Quello delle troie dello spettacolo) e a volte guardavo questa gente negli occhi fino al punto che non abbassassero lo sguardo o che, per lo schifo, non lo facessi io.
Poi le proiezioni, alle quali andavo sobrio, avevo stranamente deciso di non bere, il tappeto rosso e qualche povero stronzo che ogni mattina doveva pulirlo (con la lingua, suggeriva un sadico organizzatore con la faccia da sorcio) in attesa che le celebrità del giorno e poi quelle della notte arrivassero. I tipi (i topi?) della security mi guardavano storto quando mi mettevo a ridere da solo nel mezzo dei corridoi dell’Auditorium pensando che fossi pazzo. E invece c’avevo una tristezza dentro e mi chiedevo chi cazzo me l’avesse fatto fare a rimettermi dentro una situazione del genere, manco per i soldi lo facevo, giusto per provare quel vecchio disgusto (mancava la paura suggeriva il Dottor Gonzo), quel vecchio disagio (masochista del cazzo che non sei altro). Non avevo parlato con nessuno per tutta la durata della festa (dimmerda) e il produttore che mi ero portato dietro fino a Tivoli per mostrargli mignotte invisibili non era altro che un doppio mentale, un’invenzione dello scrittore, un’aberrazione ottica, una semplice compagnia narrativa.
Qualcuno in sala, durante un’incontro con Quentin Tarantino gli aveva chiesto con quale personaggio dei suoi film gli sarebbe piaciuto uscire insieme (io gli avrei voluto chiedere la top five dei piedi delle attrici con le quali aveva lavorato), lui si era messo a ridere, poi aveva risposto Cliff Booth. Alle conferenze stampa speravo sempre ci fossero attrici con i tacchi alti così avrei potuto sbizzarrirmi a fotografare le loro estremità, avevo un anello di metallo sul cazzo e la mattina prima di mettermi in macchina mi facevo un giro per i cassonetti, vicino a dovere vivevo, in cerca di scarpe da donna lasciate in qualche busta aperta (benedetti siano gli zingari), quelle che mi eccitavano le prendevo per poi masturbarmici sopra e sborrarci dentro quando ne avevo voglia.
Scrivevo anche articoli e recensioni che probabilmente nessuno avrebbe letto e mi dilettavo nelle mie personali fughe mentali cinematografiche, bevevo un paio di bicchieri di vino alla sera, in terrazza, ancora si stava bene fuori, avevo piantato alcuni semi di marijuana, mi piaceva vedere crescere quella pianta, era meravigliosa.
Avrei anche dovuto cercarmi un lavoro ma non ne avevo voglia, non volevo tornare dentro a una gabbia, una fogna, un ufficio, non avevo voglia di avere persone intorno, di dover parlare con loro, di vederle tutti i giorni, sempre le stesse facce, che incubo era stato, mi piaceva girare a caso con la mia macchina, a volte ripercorrendo le strade del passato, in cerca di ricordi o per vedere se qualcosa era cambiato, quella che portava a Guidonia ancora mi dava il voltastomaco al solo pensiero di tuto il tempo che avevo perso in un hotel di quelle parti nel tentativo di insegnare italiano ai quei pochi stranieri interessati, fra l’indifferenza generale, mi toccava fare lezione nella sala mensa, ancora posso sentire nelle narici l’odore nauseabondo del cibo che portavano lì e che i poveracci ospitati nell’albergo si dovevano mangiare tutti i giorni, che merda, poi mi sono fatto una passeggiata per la parte vecchia di Tivoli, dopo aver parcheggiato vicino al castello, non c’era quasi nessuno in giro, la luce era quella buona per scattare foto, mi sentivo tranquillo, sono entrato in un bar, ho preso un cappuccino, un cornetto, mi sono seduto ad un tavolino, davanti ad una grande vetrata e mi sono messo a scrivere. I sogni della notte svanivano, la loro inquietudine anche, me ne sarei andato in un bosco dopo colazione, potevo fare quello che volevo, non c’erano più rompicoglioni intorno, l’autunno stava arrivando insieme alla sua dolce e malinconica e dorata magia., la vita era adesso e poi non lo sarebbe più stata.
domenica 17 aprile 2022
It's evolution, baby (2004)
Esame di teoria e tecnica del linguaggio cinematografico. Mi dirigo verso il dipartimento di spettacolo, questa volta sono venuto con il tram, che non mi andava di perdere tempo a cercare il parcheggio. Dopo essere sceso alla fermata di piazzale del Verano, sono risalito per via De Lollis, ho girato per piazzale Aldo Moro e poco dopo sono arrivato. Ci sono già un po’ di studenti che gironzolano intorno alle scale antincendio che portano al primo piano del dipartimento, immagino stiano aspettando anche loro che arrivi il professore per l’appello. O che si manifesti sui gradini, ipotesi più plausibile. Attendo l’apparizione, non succede nulla, quindi mi allontano una ventina di minuti per andare a mettermi d’accordo con un amico per una mezzapiotta di fumo, che almeno a qualcosa l’Università serve. Siamo rimasti un pò a parlare, io e il mio amico, lui si è pure rollato uno spino (che mi ha offerto) ma io visto che dovevo sostenere un esame ho rifiutato. Lui era dell’idea che era meglio farsi una canna prima, ti rendeva più sciolto e tranquillo. A me faceva solo venire le paranoie, con la mente che iniziava a vorticare su tutte le cose che non avevo studiato e che sicuramente mi sarebbero state chieste. Comunque mentre lui fuma gli racconto di questo corso di montaggio con Final Cut che sto seguendo, in cui galvanizzato da un sogno su Ejzenstein ho editato una piccola sequenza di uno spettacolo di Grotowski (Il principe costante) usando come ritmo per gli stacchi fra un’inquadratura e l’altra i colpi della batteria di Smack my bitch up dei Prodigy, (uno in sincrono con una frustata) ma la cosa non sembrava toccarlo minimamente (forse perché lui studiava odontoiatria) e così non ho continuato con quelle che ritenevo le mie geniali intuizioni. Dopo averlo salutato, sono tornato al dipartimento e non c’era più nessuno vicino alle scale antincendio, segno che qualcosa era successo durante la mia assenza, bel coglione, mi son detto, ti sei perso l’appello o l’apparizione del professore. Così vado direttamente nella sua stanza, la porta è aperta, mi affaccio, lui è seduto dietro la scrivania, lo saluto, gli dico come mi chiamo e se, gentilmente, può segnarmi presente. Il professore dà un’occhiata al suo foglio, poi mi guarda un pò accigliato e mi dice che non sono sulla lista. Merda.
Aperta parentesi. Da quest’anno, il 2004, è cambiato il modo di segnarsi agli esami. Si è passati dalla carta e dalla penna alla ipertecnologica e futuristica iscrizione online. Ebbene si anche La Sapienza si evolve. Ora che internet sta colonizzando tutte le case degli italiani anche gli studenti potranno usufruire dei suoi magici servigi, oltre naturalmente alle gioie quasi ultraterrene della pornografia. It’s evolution, baby, come cantava Eddie Vedder alla fine degli anni novanta. Chiusa parentesi.
Io mi sono segnato online una settima fa, seguendo le istruzioni del sito ma, a quanto pare, non sono sulla lista. Cazzo succede?
Quanto scopro è il seguente. Il professore aveva preso i nomi solo di quelli della triennale, perché quelli della specialistica, per un errore del sito, non erano stati registrati. Io naturalmente sto facendo la specialistica. Allora con un gesto di magnanimità il professore mi segna a penna sul suo foglio. Sono l’ultimo.
Che cazzo lo usano a fare internet se poi sempre le cose a mano si finiscono per fare?
Non lo so, ma qui è meglio non farsi troppe domande.
Passa la mattina, passa l’ora di pranzo, passa il pomeriggio.
Arriva l’ansia, arrivano i rodimenti di culo, arriva la tristezza.
Poi è il mio turno. Entro, mi siedo e il professore mi chiede quale è il programma che porto. Glielo dico e lui si mette a ridere.
Cazzo te ridi, gli vorrei dire.
Mi dice che il programma non va bene, perché è quello della triennale mentre io sono della specialistica, ecco i casini che arrivano, penso, mentre la solita vibrazione di rabbia sta iniziando a farsi strada nello stomaco.
Gli dico che nella sua bacheca c’era un solo programma, quindi ho immaginato che fosse uguale per triennale e specialistica.
E naturalmente ho immaginato male.
La vibrazione allo stomaco da rabbia diventa un ronzio di frustrazione.
Allora gli chiedo se può darmi il programma che devo studiare.
Lui mi dice che adesso non ce l’ha lì con lui e che me lo devo andare a vedere sulla guida dello studente. Ecco che torna alla grande la rabbia nello stomaco, come un esercito al galoppo. Gli dico che sulla guida dello studente c’è scritto di andare a vedere i libri dell’esame della specialistica nella bacheca in dipartimento. E’ un maledetto cane che si morde la coda. Un incubo kafkiano. Allora il professore cerca un pò fra i suoi fogli e niente, non trova quello con il programma e così mi dice di andare in segreteria didattica, che lì sicuramente ce l’avranno. Amen.
Vado in segreteria didattica, che fortunatamente è ancora aperta vista l’ora, con lo stomaco tutto in subbuglio. Arrivo davanti alla porta e busso. Niente. Ho cominciato anche a sudare per il nervosismo e si è insinuata nella testa la sensazione di trovarmi di nuovo in un trip senza via d’uscita. Busso un’altra volta. Nessuna risposta. Poi vedo la mia mano che apre la porta, anche se il braccio rimane fermo. Sto iniziando a sdoppiarmi, penso. Sono dentro, il mio corpo si è mosso senza che me ne accorgessi. Dietro una scrivania c’è una tizia seduta. Parla al telefono e allo stesso tempo comincia a parlare con me. Anche lei si sta sdoppiando. Ecco che ci siamo, penso. Sto impazzendo.
Finisce la telefonata e torno alla realtà. Quale? Mi chiedo in un attimo di frenesia percettiva. Spiego alla tizia il mio problema e anche lei si mette a cercare il programma della specialistica fra fogli, foglietti e fogliacci vari sulla sua scrivania e non lo trova. Sto quasi per cadere in ginocchio in preda a una crisi mistica. Poi il miracolo! Il foglio appare nelle sue mani. Me lo passa. Ho le dita che mi tremano. Scorro velocemente la lista dei libri per l’esame ed è esattamente uguale a quella con i testi che io ho portato.
Cazzo sta succedendo? Sono in pieno trip un’altra volta.
Torno quasi correndo dal professore. Il cuore palpita e non lo riesco a calmare. So che devo uscire da questo maledetto labirinto psichico. Entro nella sua stanza. Lui se ne sta bello tranquillo a fare le sue cose, mi guarda e mi dice che ha trovato il programma. Doppio miracolo! Già sto accendendo ceri e sento gli angeli cantare in coro. Sul foglio che mi dà lui però ci sono libri diversi da quelli che ho visto in segreteria poco prima. Sto per sgretolarmi. Dal paradiso all’inferno. Di colpo. Il respiro è affannoso. Mi siedo. Sconfitto. Sia quel che sia. Fate di me quello che volete. Il professore mi guarda e poi mi spiega l'arcano, la rincoglionita della segreteria didattica mi aveva dato un’altra volta il programma della triennale e nella fretta di leggerlo non me ne ero accorto.
Chiudo gli occhi un momento, cercando di ricompormi.
Tutto bene, Bertozzi? - fa lui.
Si, si - dico io - Ci mancava solo che mi storpiasse il cognome come ciliegina sulla torta di questa giornata di merda.
Poi mi alzo, raccatto le mie cose, il foglio con i libri da studiare, saluto il professore a mezza bocca e me ne vado. E’ già sera e mentre mi incammino fuori dal dipartimento mentalmente mando a fare in culo lui, la segreteria, la segretaria, l’università, la guida dello studente, internet e me stesso per non sapere come gestire tutte queste piccole e insignificanti stronzate. Me ne vado verso San Lorenzo, che ho bisogno di una bella birra (o forse più di una) e di distrarmi un pò. E il trip ancora continua.
mercoledì 13 aprile 2022
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martedì 12 aprile 2022
dream #110
sabato 9 aprile 2022
dream #109
giovedì 7 aprile 2022
Roma #12
mercoledì 6 aprile 2022
dream #108
lunedì 4 aprile 2022
Roma #11
Guardavo con attenzione quelli che avevo intorno, i volti, i gesti, i comportamenti delle persone che mi circondavano erano di una prevedibilità deprimente, avrei adottato tecniche teatrali sovversive per immedesimarmi in qualche personaggio borderline, per poi rompere gli schemi sociali metropolitani (e i coglioni di qualche lurido perbenista), pensavo, stappando un’altra birra. Mi sentivo a metà tra il Gerry de l’Imperatore di Roma e il Cesare di Amore Tossico, anche se non facevo uso di eroina, blateravo fra me e me in romanesco, in pubblico o da solo, provando battute e frasi ad effetto, non ero niente male, la gente era ancora indifferente, però, alle mie performance - Non sapevo bene che cazzo facessero quelli della mia età, probabilmente lavoravano e avevano figli e portavano avanti la Grande Farsa, non so se recitassero bene o male, non che mi importasse, sorridevo quando li incontravo, anche se non li conoscevo e poi li mandavo a fare in culo mentalmente quando mi allontanavo - C’erano un sacco di fiche in giro, giovani puttanelle e vacche più mature, non me ne fregava un cazzo, erano una perdita di tempo, voltavo lo sguardo quando passavano e tiravo dritto, i giorni erano ancora caldi e Roma meravigliosa nel suo abbrutimento, amavo la mia città, forse più di quanto avessi mai creduto. Era una puttana dal cuore grande e la fregna che le puzzava di baccalà, c’erano froci che che mi sorridevano non so bene per quale motivo, che ambiente fantastico per iniziare a farsi di morfina, pensavo, magari in un’appartamento pieno di polvere dalle parti di Piazza Vittorio, aspetta ancora qualche anno, suggeriva con pazienza lo scrittore, poi tutto sarà meravigliosamente possibile.
domenica 3 aprile 2022
Se fossi in te (2004)
Oggi mi tocca andare al secondo incontro del seminario sul nuovo cinema italiano (siamo sempre nel 2004) organizzato dall’esimio Ofrìo Calderòn, figura aleatoria che si aggira per l'università come una sorta di entità soprannaturale. Esiste, ma è quasi impossibile vederlo. Ogni tanto appare, un pò come la madonna o i santi. C'è qualcosa di mistico nella sua presenza. Un’aurea dorata e multicolore. E al tempo ancora non avevo iniziato con gli acidi, per intenderci. Giusto qualche canna, di tanto in tanto. I suoi ricevimenti sono come pellegrinaggi. Ore ed ore ad aspettare di poterlo vedere. E che cazzo. Tra un pò pure la cassetta delle offerte ci mettono fuori della porta del suo studio. Lasciamo perdere, va. Perché lo so bene che tipo è, ce ne sono tanti di docenti come lui, che usano l'università per farsi i cazzi loro, per prendere lo stipendio, per farti comprare i libri di testo che hanno scritto, per fare la figura del professore, del barone come li chiamavano una volta, di quello che sa, che c’ha il culo seduto dietro la cattedra e che lì ci rimarrà fino alla fine dei tempi (quanta indignazione, ragasso mio, ndr). Poi del rapporto con gli studenti, dei corsi, dei seminari, degli esami non gliene può fregare di meno. Ci sono le cosiddette ragazze di Calderòn (ragasse, come le chiama lui) che si occupano di questo. Quattro poveracce che prendono il suo posto negli aspetti più noiosi del suo mestiere. Bella la vita nell'università italiana. Se diventate professori di ruolo avete capito tutto. Semplice, semplice. Ma andiamo avanti.
L'incontro è con il regista di un piccolo film simpatico e divertente, Se fossi in te, del 2001, che già suona di più nuovo cinema italiano de La bruttina stagionata, del 1996. Non un capolavoro, ma neanche una vaccata. Poi il regista è un tipo simpatico che per lo meno riconosce i limiti di quanto ha fatto e non ha la spocchia di presentarsi come chissà quale fenomeno. Lo ascolto sempre dall’ultima fila nella quale mi siedo. Per nascondermi, perché sono timido e non mi piace avere gli altri intorno e soprattutto perché ci sia una distanza di sicurezza fra me e la cattedra, casomai dovessi incazzarmi ancora. Dopo la proiezione ci sono alcune domande e mi piace la modestia con cui risponde il regista, che è una cosa rara e difficile da trovare nelle persone. Sopratutto in chi fa cinema e lo fa in Italia. Che puta caso guadagni un pò di soldi, poi ti credi di essere chissà chi.
E sono i soldi il problema principale del cinema italiano, almeno credo. Vedete, i produttori sono quelli che hanno la grana e per come funzionano adesso le cose nella maggior parte delle volte sono pure persone che di cinema non ci capiscono un cazzo. Sono imprenditori che investono un pò del loro denaro in "prodotti" chiamati film. Ma che per loro hanno lo stesso valore di un prosciutto, di una linea di vestiti, di concime per terreni. E forse anche meno, a volte. Basta che vendano.
L'altro problema è la televisione, almeno credo. Perché ormai con l'avvento di quelle troiate che si chiamano fiction (fixion, come le pronuncia il buon vecchio Calderòn) la gente non va più al cinema a vedere film. Le persone sono talmente assuefatte alla merda che la televisione le serve, che se vanno in sala la vogliono vedere anche lì. E allora cercano sul grande schermo i volti, le storie e le stronzate che vedono in TV. Solitamente si prende qualche comico dell’ultima stagione televisiva o più attempato (o qualche attore di fixion), gli si mettono un pò di parolacce in bocca, gli si fa girare intorno un pò di fica, si scrive una sceneggiatura di tre pagine, si accende il frullatore e la schifezza che ne esce fuori è il film (di Natale, di Pasqua, di Capodanno, di Santo Stefano) che si spera diventi campione di incassi della stagione.
Questa è la situazione italiana, almeno credo. E con la speranza di riuscire a fare qualcosa (giovane studente idealista e sognatore, ndr), continuo a vedermi film e ad andare all’università, che ormai il fatto di laurearmi è divenuta una lotta personale contro le teste di cazzo che se la comandano all’ateneo (e quando ce vò, ce vò, ndr). E il trip continua. Almeno credo.
venerdì 1 aprile 2022
Roma #10
Avevo rivisto la Grande Bellezza di Sorrentino e il personaggio di Jep Gambardella mi faceva girare una frase nel cervello per descriverlo, come fosse un mantra romanesco, un pò flaneur, un pò fijo de ‘na mignotta - Ero andato alla usl per farmi ridare la tessera sanitaria, la mia l’avevo perduta quasi sei anni fa in un distributore automatico di sigarette a San Lorenzo e poi me ne ero dimenticato. Mi serviva adesso per il vaccino, che avevo una mezza intenzione di farmi, fosse solo per non pagare i test di cui si aveva bisogno per prendere un’aereo o un treno (in caso fossi fuggito di nuovo) e anche perché nei musei e nei cinema non si poteva entrare senza il green pass e credo pure sui nei ristoranti, la capacità umana di creare sempre nuove stronzate per incasinarsi l’esistenza era strabiliante.
Era più nitida ora la consapevolezza di quanto fosse stato tossico e nocivo l’ambiente nel quale avevo lavorato come insegnante di italiano e di quanto la montagna di vaccate che ero stato costretto ad ascoltare in quegli anni mi avesse quasi ucciso. Vedevo persone sedute dentro gli uffici, dalle finestre che tenevano aperte, con la mascherina sul volto, davanti a un computer a fare non so bene cosa, mi sembrava orribile, c’erano prigioni ovunque e tanti di noi non aspettavano altro che entrarci per poi ringraziare i propri secondini e tormentatori.
Ero passato anche per la stazione Tuscolana, era lurida come non mai, però possedeva ancora un’anima e una memoria che sentivo appartenermi. Mio nonno mi portava spesso lì, a guardare i treni, serbavo dentro di me quelle sensazioni e anche la luce che vedevo fra le rotaie mi sembrava simile a quella della mia infanzia. In questo stato d’animo scattavo fotografie, poi proseguivo, poi rimanevo fermo. In alcuni momenti parlavo da solo e chissà quanto ci avrebbero messo gli altri a iniziare di nuovo a rompermi i coglioni. Adesso non me ne preoccupavo, le stanze segrete c’erano ancora e anche gli sguardi e le mani gentili di dolci ragazze asiatiche, era sufficiente una comunicazione basica ed essenziale con loro o solo rimanere in silenzio ad occhi chiusi su un lettino, in uno stato di passività totale. Avevo libri di Houellebecq e Burroughs sul tavolino della mia stanza, bevevo insieme a mia madre a pranzo, chiacchieravamo un pò, poi ognuno si ritirava nel suo spazio personale. Mi alzavo presto la mattina, mi seduceva l’alba con la sua tranquillità, il giorno non prometteva nulla e io non avevo assolutamente niente da chiedergli. L’eterno ritorno è questo invisibile presente fatto di attimi e respiri e ombre sedute in attesa di un nostro ultimo e splendente addio.
ZetaElle #28
Tornato in città Zito Luvumbo si era ritrovato pieno di cose da fare e organizzare. Simulazioni di guerriglia urbane per le strade dei qua...
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I dolori iniziano lunedì mattina, al lavoro. Durante la lezione mi tocco il lato destro della bocca e sento crescere una...
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Ce l’hai una sigaretta? - chiede il tossico. Non fumo, mi dispiace – rispondo. Allora che me la vai a cercare? No, non ho quest...
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Per capire il significato di quella perdita dovresti passare almeno cinque o sei anni con una stessa persona e vederla tutti i giorn...