Camminavo nel vento, attraversando il ponte sulla Tiburtina, con la stazione che mi osservava minacciosa a sinistra, le ombre dei piloni della Tangenziale, la sua oscura presenza, proseguivo, un passo dopo l’altro, sul bordo bianco di un marciapiede. La pioggia stava per cominciare a cadere nel vuoto della mente e della città, questo era l’esercizio psichico di un funambolo lungo strade che oltrepassavano le proprie mappe mentali, questi luoghi erano liberi di essere trasformati dalla sua fantasia. Davanti ad una serranda di un negozio bengalese ho scattato una foto a Matteo e potevamo essere in una delle strade secondarie di New York in attesa dell’uomo che ci avrebbe portato del crack da fumare, le pipette annerite in una stanza di un albergo fatiscente, giusto quattro mura per farsi senza che nessuno ti venisse a rompere i coglioni, abbiamo comprato delle birre e ce le siamo bevute davanti al Closer, accompagnandole con un paio di canne, poi abbiamo deciso di entrare ed è stata una vera rottura di palle aspettare per fare la tessera e pagare cinque euro al metallaro che stava alla cassa, un altro ragazzo, accanto a noi, ripeteva con una bottiglia di birra in mano che era più di un’ora che cercava di entrare senza riuscirci, poi una tipa grassa con delle schifezze in faccia e un lungo giubbotto di pelle nera mi è passata davanti saltando la fila e io ho sorriso pensando, anvedi ‘sta stronza, ma non me ne fregava più di tanto e allora ho fatto finta di passare senza pagare anche io, giusto per creare un contatto visivo con il metallaro che alla fine si è accorto di noi e ci ha fatto le tessere, Gabriele gli ha allungato venti euro, visto che eravamo in quattro e finalmente ci siamo mossi, diretti al bar, poi su uno schermo abbiamo visto che nella sala di sotto già suonavano e allora siamo scesi e abbiamo ascoltato un po’ di musica e non è che vada pazzo per il metal e il gruppo sul palco mi sembrava che suonasse sempre lo stesso pezzo, neanche troppo bene e alloro sono risalito, ho comprato una birra e ho trovato un posto a sedere su un divano di finta pelle e la gente intorno non mi pareva un granché interessante e la cosa strana, quando ci ho fatto caso è che tutti erano vestiti di nero e io avevo un maglioncino bianco e tutti avevano i capelli lunghi e io ce li avevo corti e sorridevo e mi rilassavo sul divano di finta pelle perché ci si stava bene, ci siamo fatti due ghignate io e Matteo, quando mi ha raggiunto e qualche ragazza ci è passata davanti ma non mi piaceva il modo in cui si vestivano o si presentavano e tutta quell’apparenza maledetta era solo un’altra stupida maschera che indossavano, poi siamo scesi di nuovo di sotto e suonava il gruppo di Phil, questo mi sembrava migliore del primo anche se la musica continuava a rimbombarmi in testa tutta uguale ma Phil e i suoi amici avevano energia e ci sapevano fare con gli strumenti e con le facce e con i gesti di scena e anche il loro look non era male e in fondo non me ne fregava un cazzo, allora sono risalito e mi sono preso un’altra birra. Rimanendo in piedi, accanto al bancone.
venerdì 31 gennaio 2014
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