Le visioni cambiavano al ritmo della musica, la
comunicazione avveniva attraverso ritmi e melodie, gli occhi dello sciamano
erano uguali a quelli di un’enorme ape ronzante, in un sogno da bambino, quella
stessa ape era immobile in un angolo di una stanza.
Avevi preso un acido e pensavi che ti avessero amputato
un braccio, un tuo amico ti spingeva ancora di più nelle tue paranoie, ti
saresti vendicato, durante il carnevale, mentre lui tornava terrorizzato,
piangendo, a casa di tua madre, completamente perduto nel delirio interiore, ti
saresti fatto una risata, dall’altra parte del telefono, mentre tua madre ti
chiedeva cosa era successo al tuo amico giapponese, piccolo pezzo di merda
asiatico.
Le inquadrature erano il mio personale modo di sezionare
la realtà, il mio occhio era come un obiettivo fotografico, i primi piani, i
campi lunghi, i dettagli, le forme geometriche, il loro scorrere, mutare e ripetersi,
bisognava trovare le corrispondenze, le associazioni, i rami spogli di un
albero, visti appiattiti contro il cielo bianco e grigio di gennaio, erano
identici alle terminazioni nervose presenti all’interno del nostro corpo.
Lo scorrere delle forme, la luce interiore, lo splendore
degli oggetti.
I cactus nel deserto di Atacama.
Il suono ipnotico di un tamburo.
Occhi di ape che ancora ti scrutano.
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