giovedì 3 dicembre 2015

fotografia numero tre

Lei era seduta su un divano, obliqua, le gambe incrociate, i piedi nudi, le scarpe da ginnastica bianche sotto un tavolinetto, candele e un cesto di frutta, aveva un modo tutto suo di liberarsi dalle scarpe e lasciarle per terra, era mattina e lei sembrava tranquilla, aveva dormito tutta la notte e si sentiva riposata, avevamo buttato i cuscini in un angolo della stanza, mi ci ero sdraiato sopra, nudo, lei mi aveva fatto delle fotografie, le sorridevo, con il cazzo duro.
Le colazioni su una terrazza, d’estate, guardando il mare, le lenzuola bianche e fresche, su un mobile c’erano i suoi libri, una custodia nera per gli occhiali, un accendino, dei giornali e un paio di orecchini d’argento, ti ricordi i giorni della tua giovinezza? – mi chiese, no, risposi.

L’immensa libreria del suo studio, le notti passate a scrivere davanti al computer, le portavo una tazza di caffè, ogni tanto, la piccola sveglia rotonda posata sulla stampante, le ore giravano, il sole e la luna, mi chiedeva se alcuni passaggi del suo ultimo libro mi piacessero, le dicevo cosa pensavo andasse bene e cosa no, sembrava fidarsi di me, della mia sensibilità, le sue dita si muovevano veloci sulla tastiera, alcune volte mi addormentavo sul divano mentre lei finiva di rileggere quello che aveva scritto, mi accarezzava i capelli, un gesto materno, nuda dentro la vasca, le imperfezioni del corpo, i riflessi d’argento, sto invecchiando, disse sottovoce, sei meravigliosa, le dissi, accarezzandole le braccia.


Un ultimo sguardo, su un balcone di pietra, le luci sfuocate della città, lontane, volevo abbracciarla, rimasi immobile, ricordami così, disse, quando tutto sarà scomparso.

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