non lo so più dove finiscano i sogni, i desideri, la
realtà, la follia, la mia caduta, sempre più in basso, che a volte ho paura di
sapere dove potrei arrivare, il fondo che si avvicina, l’attesa dello schianto,
giù dritto da una finestra, pochi secondi prima di un buio confortevole e privo
di dolore - l’ho visto il mio corpo penzolare dal ramo di un albero, mentre
l’alba arrivava e vergini raggi di luce accarezzavano quello che rimaneva di
questa maledetta illusione, di questo stupido pupazzo di fango e mentre lei mi
parla, con una birra in mano, non sa neanche quanto sia arrivata vicina alla
verità e scherziamo su qualcosa, poi mi stringe i capezzoli, non mi ricordo
perché, dovrei diminuire l’alcol, ma è tutto così magico quando si beve e si
fuma e lei mi stringe i capezzoli e le dico di fare più forte, di non
preoccuparsi, ma lei dice che non può e se solo sapesse le volte che me li
hanno stritolati e strizzati fino a che non implorassi di smettere e invece
volevo solo continuare e andare avanti e capire fino a che punto potessi
sopportare quel dolore e riuscivo sempre ad andare oltre e a raggiungere un
limite che mi portava dritto nella purezza più assoluta, il limite dell’abisso
è la vetta della montagna più alta, dove scaturiscono visioni di quiete e luce,
dove si è leggeri e vicino a qualcosa di immateriale ed eterno, brevi attimi,
brevi secondi di illuminazione - continuiamo questo gioco e io cerco di
provocarla e lei neanche si rende conto di quanto sia andata vicino alla verità,
mentre fa finta di darmi un calcio sulle palle e se solo sapesse quanto ho
resistito nudo e disteso, mentre i calci arrivavano e il dolore si disperdeva
per il corpo e la mente si annullava e scoprivi un nuovo luogo che iniziavi ad
esplorare, perdendoti, ad occhi chiusi, in sensazioni indescrivibili, pregando
dentro di te che altri calci arrivassero e continuiamo questo gioco e lei dice
che non devo provocarla, che devo stare attento e se solo sapesse quanto la
verità è vicina mentre fa finta di spegnermi una sigaretta sulla mano, ma non ne
ha il coraggio e se solo sapesse quello che ho trovato dentro di me, quando ho
sentito la punta rossa di una cicca che mi bruciava il petto e ho gridato e
non ero stato mai così puro mentre ridevo e guardavo con aria di sfida la
ragazza che mi stava facendo questo e più mi picchiava, mi dava schiaffi, più
mi sputava in faccia, in bocca, più il mio sorriso era reale e mi sentivo
vivo e incontaminato e capace di arrivare dove in pochi si erano spinti - poi cerco di sedurla, sfiorandole la schiena, le mani e lei mi sussurra di
smetterla e io me ne sto buono e la sua sola presenza è una gioia così grande,
infinita, che la sento crescere nella bocca dello stomaco, ogni volta che si
avvicina e la vorrei abbracciare e sfiorare e baciare, ma non posso e non
esiste tortura più grande, mentre cerco di controllarmi, di amarla secondo le
sue regole e il giorno dopo la aspetto e la vedo nel pomeriggio, poi scompare e
la aspetto ancora e quando è davanti a me è come se io non ci fossi e l’abisso
si apre di nuovo e arriva il dolore, quello vero, un dolore che si espande
dentro, perché lei non mi fa sentire speciale ed è come se fossi un estraneo e
questo dolore è più grande di tutti i colpi di frusta, dei calci, delle botte,
delle umiliazioni, delle torture che ho subito e capisco, capisco il mio cuore,
che è buio e luce e che non può amare senza il dolore, capisco il mio cuore,
quanto sia terribile e meraviglioso, quanto la mia sia una ricerca disperata
perché gli altri non riescono a vedere dentro di me come io faccio con loro,
perché per me nulla ha più importanza dell’amore e dei sentimenti e allora
torno a casa sperando che mi venga a salutare, ma non la vedo e mi metto sulla
terrazza e la musica è quella degli interpol e il tramonto mi rapisce lo
sguardo mentre sono in caduta libera e le lacrime arrivano calde e familiari ed
è tutto qui il mio esistere, è tutto in questi momenti di intensa solitudine,
di perdita, di confusione.
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