Le
prime luci della sera o forse le ultime, appiattite contro l’orizzonte mentre
rimodellavano i contorni delle montagne, i piani di fuga che avevo dimenticato
nelle strade di città grigie e piovose, le notti spazzate via da alcool e
pillole e le tende che mani sconosciute tiravano, dentro le stanze, a
nascondere il giorno o gli occhi delle stelle, seduto davanti alle grandi
vetrate, le gambe aperte, la sua testa che si muove su e giù, le osservo i
capelli, le spalle – mi chiedevo se avesse gli occhi chiusi o aperti mentre mi
succhiava il cazzo, ci si stancava presto di tutte le parole e i discorsi, gli
abbracci diventavano più stretti solo quando la solitudine era vicina e il
freddo bruciava il cuore e qualcuno scambiava ancora l’amore con l’effetto chimico
di qualche polvere, ancora appiccicosa sulla punta delle dita, la mattina tutti
erano silenziosi, nella stanza, qualcuno scaldava la sua porzione di gioia in
un angolo e gli altri attendevano, gli occhi bassi, presi la giacca e una mezza
bottiglia di rosso ancora buono, il prossimo passo, quello successivo, aprivi
gli occhi, una camera buia e sconosciuta, provavi a non pensarci al modo in cui
ci eri arrivato, il sapore del sangue in bocca non era un buon segno, come il
tuo polso destro, ancora legato al bordo del letto, ormai insensibile, qualcosa
era successo e non si poteva far finta di niente, l’altro commetteva crimini in
tuo nome, rubava, comprava e vendeva sostanze, si inchinava davanti ai suoi
piedi, l’altro camminava nudo per le stanze e decideva rituali, quando vennero
a chiederti chi avesse compiuto quelle azioni non avevi risposte da dare,
perché non ricordavi, non potevi ricordare, rimanevi in silenzio, confuso, poi
le domande terminavano, poi ce ne erano di nuove, la lampada puntata sul tuo
volto, il sudore, l’odore stantio delle sigarette fumate da bocche deformi,
parole su parole, hai inventato personaggi e possibilità, vicoli ciechi,
improvvise conclusioni, alibi come trappole mentali, azioni che non portavano
da nessuna parte, serie infinite di ripetizioni, poi di nuovo le strade,
qualcuno ti aveva fatto uscire, i travestimenti, le false identità, le rughe
sul volto, le età in cui nascondersi, c’era un uomo con una lunga barba e un
cappello di lana logoro, mormorava lentamente, in una conversazione privata con
sé stesso, troppo articolata questa farsa per darle ancora peso e importanza,
il trucco l’avevo capito in ritardo, la scrittrice si calava il cappuccio della
felpa sugli occhi e si addormentava sul divano. C’erano voci che solo nei sogni
potevano ancora avere un senso.
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