Apri
la porta di casa giusto per essere sicuro che il mondo esista ancora dopo la
notte, le pareti della stanza avevano strane proporzioni e non ricordavi dove
eri stato, una volta oltrepassata la barriera del sonno c’erano stati incontri
e camere e corridoi, volti e parole e fughe – il cane guardava un piccolo
bastoncino di legno in attesa che qualcuno lo afferrasse e lo tirasse, una mano
invisibile poteva essere una divinità, gli uomini erano nudi e mangiavano
piccoli funghi, i corpi si muovevano simili a scimmie e c’erano enormi disegni
fallici sulle pareti della caverna, illuminati dalle lingue del fuoco, discorsi
che oscillavano nell’aria trasformandosi in spirali di fumo, altra legna e
altri canti, i membri eretti e le loro immagini speculari, nuove forme ibride
di sessualità primitive, i volti nascosti nelle pietre che ti guardavano
incuriositi – dentro gli armadi e nei cassetti potevi trovare antichi e
misteriosi oggetti, strumenti meccanici di precisione, camere oscure,
cannocchiali che misuravano la distanza dello sguardo dalla luna, i vestiti
nascosti dentro i bauli, perché il tempo della gioia e della felicità era finito
e rimanevano solo le tue dita, ormai invecchiate, che accarezzavano quei
tessuti, i corpi stretti durante i balli e i desideri della giovinezza,
l’avevamo anche trovato il modo di amarci ma non potevo negare a me stesso il
sogno di lasciare ogni cosa per non ritrovarla mai più, c’era il dolore ad
attenderci, sotto il lampione e la pioggia, lo sguardo impenetrabile e le
sostanze dentro la tasca segreta del cappotto, arrivavi sempre tremando, sperando
che lui ci fosse e se non fosse stato lui sarebbe stato un altro, la ruota
continuava a girare e gli schiavi a spingerla, avevi vissuto questa vita e
quella precedente e ancora non riuscivi a liberartene, gli errori si
attardavano sui gradini luridi di una chiesa, prima pregare e poi masturbarsi,
in modo che il peccato sia colpa e redenzione, una serie interminabile di
piccoli rituali, gesti, giochi mentali, ogni volta da capo, ogni nuova
stazione, ogni nuova partenza, i tuoi occhi erano stanchi e il volto segnato,
avevi scritto e dimenticato, i battiti del cuore, i risvegli nel buio senza il
tuo corpo da abbracciare, le lacrime le guardavi ancora, rigare il volto nello
specchio, sarebbe mai finita questa tristezza? I giorni e le bottiglie vuote,
prendimi per mano, ancora una volta, che non lo possiamo mai sapere quando
arriverà quell’ultima donna a chiuderci gli occhi con un bacio.
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