L’ascensore è bloccato al piano terra e ha
le porte chiuse, le funi di acciaio che lo fanno funzionare, invece, continuano
a muoversi, così ne arriva un altro che si ferma proprio sopra il primo - sono
nel cortile del palazzo dove abita mia madre e ci sono alcune persone che
stanno parlando, guardo in alto verso il nostro appartamento e c’è un incendio
con le fiamme che escono dalla finestra della mia vecchia camera, dico a
qualcuno di chiamare i vigili del fuoco, poi sono per le strade intorno al
palazzo, camminando, le vie sono stranamente deserte, è quasi sera, c’è un
vicolo buio in cui non voglio passare, torno dentro al cortile e la facciata
interna del palazzo comincia a sgretolarsi, tutto questo è reale? Mi domando e
intanto inizio a sollevarmi dal suolo – è successo qualcosa di tremendo nel mondo
e ci sono dei superstiti, io sono uno di loro, ci sono degli strani esseri che
ci inseguono e che vogliono catturarci, c’è paura e smarrimento, io e gli altri
camminiamo per dei boschi e ci rifugiamo in una specie di albergo abbandonato,
ci sono parecchie stanze vuote, io mi sistemo in una molta grande al secondo
piano, le pareti sono ricoperte di damasco rosso, entrano due ragazze, si
sdraiano vicino a me, una inizia a sussurrarmi qualcosa nell’orecchio, l’altra
mi slaccia i pantaloni – cammino per un sentiero in una vallata, ho caldo, mi
rendo conto di non avere più niente con me oltre ai vestiti che indosso, trovo
un’amanita muscaria accanto a una albero ma non la raccolgo – sono di nuovo
nell’albergo, nella hall ci sono molte persone che stanno discutendo fra di
loro, cercano di organizzarsi, salgo verso la mia stanza ma qualcuno ha preso
il mio letto e non trovo più la mia roba, cerco uno spazio libero nelle altre
camere ma sono tutte occupate – le valli hanno colori meravigliosi che pulsano
lentamente e sfumano in tonalità calde e brillanti, le osservo con una grande
pace nel cuore, paesaggi di quiete e bellezza, volarci sopra mi sembra la cosa
migliore da fare.
giovedì 31 agosto 2017
venerdì 25 agosto 2017
fotografia numero undici
La strada rifletteva le luci rossastre delle insegne
verticali dei cinema, le persone camminavano lungo i marciapiedi e attendevano
sguardi di intesa, c’erano miriadi di sostanze proibite da comprare, decine di
stanze in cui rinchiudersi per trasformare l’oscurità in estasi. Le automobili
scivolavano lente sull’asfalto e qualcuno mi aveva chiesto di scrivere un
articolo su questa città, avevo preso la mia borsa e la custodia della macchina
da scrivere e una stanza in affitto per una settimana. Dalla finestra al
secondo piano osservavo un mondo di misteriose figure appoggiate agli angoli
dei palazzi, di denti d’oro e fumo di sigarette, di posaceneri pieni e locali
in cui sedersi su alti sgabelli e bere bicchieri di liquori e scambiare
occhiate con donne dalle voci roche e le gambe accavallate.
Avevo ucciso uno scarafaggio sul pavimento di legno e
preparato la siringa per una dose, poi tutto era diventato più lento e
confortevole, avevo atteso e galleggiato, poi ero sceso per strada e avevo
osservato il mondo dei riflessi sulle superfici, sempre più convinto che quella
fosse la realtà e il resto solo un’illusione.
L’uomo alla porta chiede dei soldi, una mano glieli
allunga, un sipario che si apre, un nero che suona la chitarra e l’armonica,
gli occhiali scuri, il sussurro di una pistola nascosta sotto la giacca,
ordiniamo da bere, io e la mia ombra, qualcuno mi sfiora con il suo gomito, un
segnale, seguo la donna dietro una porta, una luce fioca, un tavolo, qualcuno
che mi chiede cosa voglio, il fruscio delle calze, una mano che mi perquisisce,
l’odore del desiderio, quello della paura.
martedì 22 agosto 2017
dream #71
Una casa per le vacanze dalle pareti
bianche, alcune persone mi invitano a un party e mi propongono di andare con la
loro macchina, gli dico che preferisco arrivarci in bicicletta, nella casa c’è
anche Lynn, in una delle stanze, non la vedo ma so che è lì – sto pedalando e
mi ritrovo su una strana strada di asfalto grezzo, poi sono in mezzo a un
gruppo di case e mi accorgo di essermi perso, poggio la bicicletta accanto a un
albero e cerco qualcuno a cui chiedere delle informazioni, su un muro è
attaccata una mappa, la osservo cercando di capire dove è il party ma non
riesco a trovarlo, torno indietro e la bicicletta è scomparsa, un ragazzo mi
raggiunge e mi dice di andare a casa – sono in una stanza, suonano alla porta,
la apro ed entrano due ragazzi, ci sediamo a un tavolo, rimaniamo in silenzio a
guardarci, poi uno di loro mi dà una scatola, la apro e arriva Marta, si mette
a parlare con i ragazzi, guardo dentro la scatola, c’è il mondo con tutte le
sue illusioni.
domenica 20 agosto 2017
Llanidloes #4
C’erano
dialoghi che andavano trascritti e forse rielaborati oppure lo scrittore
avrebbe potuto crearne di nuovi e cambiare le bocche che li pronunciavano e
inventare bizzarri personaggi per i palcoscenici psichici che prendevano vita
durante la notte. Le quattro mura di una cucina, i biscotti di burro e skunk e
le confezioni di birra appoggiate sul pavimento, la doppia descrizione di uno
stesso evento fatta da due persone distinte mentre le loro voci si
sovrapponevano creando una duplice visione nella mente.
Warren
era seduto su uno sgabello, davanti al bancone dell’Old Mill e Charlie Pepper
gli parlava del suo ultimo lavoro, lo scrittore ordinava una pinta di porter e
guardava le strane fotografie che riempivano le pareti del locale. C’erano
poesie e monologhi e appunti scritti nelle pagine di un libro nero e lui teneva
quel libro nascosto da qualche parte e la sua immaginazione lavorava su
possibili performance e rappresentazioni sceniche e sarebbero bastate poche
sedie e un tavolo e la luce dei riflettori puntata sul volto degli attori,
qualche bottiglia e le loro improvvisazioni, per renderle reali.
Il
fumo di una sigaretta invisibile stretta fra le dita nervose di una mano in
crisi di astinenza, le ricette mediche, la morfina liquida e le pasticche di Tramadol
e ancora delle ombre, sedute poco distanti, che tessevano oscure trame alle
spalle dello scrittore. C’erano delle persone dentro una stanza, bevevano vino
e parlavano e i loro discorsi alcolici divenivano sempre più disordinati. Le
lettere di mio padre, poche parole, il suo ultimo disco che ascoltavo nelle
mattine invernali. Le ore sospese e gli incontri con la memoria, come tornare
indietro, il modo in cui rivedere la propria esistenza, solo un semplice
testimone degli errori e delle esperienze vissute, ogni cosa sembrava sul punto
di ripetersi per poi cambiare impercettibilmente e in quelle minime differenze,
quelle continue variazioni, c’era la possibilità costante di scrivere qualcosa
di nuovo. Afferravamo ogni minuto e lo espandevamo negli anni passati,
camminavamo su quel crinale di tempo, albe e tramonti, echi di giovinezza,
promesse tradite, le rughe intorno agli occhi, lo sguardo dell’adolescenza e
tu, nuda in una vasca, che attendi i brividi della pelle e le carezze di una
mano che ti ami per quello che sei.
venerdì 18 agosto 2017
dream #70
Sono davanti alle scale di un palazzo, le
salgo e c’è un portone, lo apro e cammino per un corridoio fino a una porta.
Dietro di essa rimbomba una musica ad alto volume, la porta è socchiusa, la
spingo leggermente ed entro. So che c’è qualcuno dentro la casa ma non so chi
è, so che questa è la casa di Mike ma lui non è qui, ho paura e me ne vado via
velocemente, la musica continua a essere altissima – sono dentro Babylon, la
sala per ballare assomiglia a una grande caverna, ci sono alcune persone, cerco
il mio macbook air su un tavolo ma non lo trovo, penso che qualcuno me lo abbia
rubato, vedo Carl e gli dico che il mio portatile è sparito, lui mi guarda e mi
dice qualcosa, sembra minaccioso e arrabbiato con me – sono davanti a un
divano, in ginocchio, una padrona è al mio fianco, indossa delle calze velate e
una minigonna di pelle nera, dei colpi di una scarpa mi arrivano tra le palle,
mi sento eccitato, penso che sia lei a farmi questo, poi mi giro, dietro di me c’è
un nano con abiti femminili, truccato, guardo la padrona, lei sorride e mi
osserva – sono nella casa di mia madre, il nano mi confessa di essere mio
fratello, è vestito normalmente, stento a credere alle sue parole, vado sul
balcone e ci sono mia sorella e mio padre, cerco il telefono per chiamare
qualcuno, come sono arrivato qui? Quanto tempo sono stato lontano?
lunedì 14 agosto 2017
Birmingham #3
Le
telefonate da Birmingham, i produttori della BlackBombay che tentavano di
contattarmi, il mio cellulare spento, muto, ucciso in un angolo del tavolino di
legno nero, le ultime immagini che cercavo di cancellare dalla mente, le
inquadrature psichiche che i sogni riproponevano in scenari impossibili, lavori
lasciati senza una fine, tagli su sequenze che avevo smesso di immaginare, loro
mi volevano ancora, contratti che nessuno aveva firmato, le lunghe limousine
che attraversavano luci metropolitane e spazi di ombra e buio, gli occhiali da
sole a proteggere sguardi tossici, le ragazze con le gonne corte, l’odore delle
loro fiche era ovunque, ti risvegliavi in letti sconosciuti, le strisce già
pronte sulle superfici lucide, la pioggia che rigava la città, i graffi sulla
pelle, i lividi come ricordi d’amore, gli occhi pesti e la memoria che
riscriveva le sue sceneggiature, personaggi in volti deformati dalle droghe,
dialoghi notturni che l’alba faceva svanire dalle pagine e dalle bocche, le
assi colorate di un appartamento, viola e rosse, il corpo nudo di una ragazza
seduta su uno sgabello, i dischi poggiati per terra, gli enormi amplificatori,
gli strumenti elettrici, alcune fotografie attaccate ad una parete, c’era
sempre la sensazione di essere da un’altra parte, i pensieri che oscillavano
sui limiti di percezioni alterate, gli sguardi in macchina e le labbra intorno
ad un enorme cazzo, c’era da chiedersi chi avesse creato quell’estetica, come
si fosse arrivati a quella maniacale ossessione per i dettagli, ci avevano
pensato il denaro, i guadagni e l’illusione della ricchezza, c’erano uomini che
avevano indossato maschere per rendere più reali le loro menzogne, c’era anche
il silenzio, in alcuni momenti, quando potevi per un attimo guardare oltre gli
obiettivi e le lenti, le luci e i riflettori, gli occhi persi nel nulla e la
quiete e il vuoto in quell’assenza di rumore e prospettive, poi tutto tornava a
girare, a complicarsi, te ne andavi per le strade ancora avvolte dalla notte,
una sigaretta incollata al labbro, c’erano puttane che ti salutavano,
spacciatori da cui non volevi più farti vedere, amici che il tempo aveva
trasformato in manichini di un teatro abbandonato, le sale vuote, le poltrone
piene di polvere, su quel palco avevi recitato molti ruoli, poco più di
elementari improvvisazioni, ti stancavi presto delle parti e ripeterle
settimana dopo settimana era stupido quanto inutile, eppure ti avevano pagato e
avevi accettato quei soldi e ti eri dimenticato cosa fosse quel respiro che
nascondevi nel petto, parole e frasi e gesti eclatanti per sconfiggere la
paura, intere nottate davanti ad uno schermo, a modellare, rifinire, rendere
fluide tutte quelle sequenze, la musica nelle orecchie, melodie scritte per
portarti altrove, scosti le tende, guardi oltre il vetro, le luci rosse e
intermittenti sulle cime dei grattacieli, il mare, oltre il cemento e il
metallo, una mano che ti accarezza la schiena, dove sei stato in tutti questi
anni? Non posso dirtelo, ho solo aperto una porta, poi ne ho chiusa un’altra e non
sapevo che fra di esse ci fosse questa
infinita confusione senza ritorno.
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