Distorsioni
visive sul fianco erboso di una collina, Bea mi tiene la mano, le chiedo se qualcuno
mi ha dato dell’acido, lei dice che forse ne hanno sciolto un po’ nel mio
bicchiere, non mi sembra corretto, penso dentro di me mentre continuiamo a
camminare e i colori e le forme cambiano e respirano e i miei passi sembrano
quelli di un gigante. Le architetture futuristiche di un’altra città onirica,
le fotografie scattate da una strada sopraelevata senza macchine, curve
d’asfalto e torri di vetro e le nuvole come una punteggiatura di un folle
discorso, chiudo gli occhi, li riapro, il cielo di nuovo azzurro e brillante e
il caldo sulla pelle e i sogni in cui ho camminato per le strade di Roma, ora
così lontana eppure presente nelle immagini del subconscio e i percorsi che
avevo compiuto ennesime volte al suo interno, tragitti che la memoria non
voleva abbandonare e riproponeva alterati e improvvisi, trappole mnemoniche che
si aprivano sul presente, le cadute erano il ripetersi davanti agli occhi di
quei giorni, in bilico sulla ruota dell’eterno ritorno e poi le parole di Maria
e tutta la vita che aveva trascorso accanto a me, una vita che solo ora potevo
osservare con i suoi stessi occhi, trovandomi dall’altra parte, era così
presente, ancora, nei miei pensieri e nel mio cuore e le pareti bianche e
ovattate del cervello, le droghe che trasformavano il tempo in un elastico di
ore, la notte che svaniva veloce tra le prime luci dell’alba e gli alberi e le
montagne che tremolavano nell’aria, le mie mani sdoppiate, seduto ad un tavolo,
le osservavo come in una proiezione astratta, le improbabili profondità dello
sguardo come se qualcuno avesse spinto il punto di fuga di questa nuova prospettiva
oltre il proprio limite, tutto si rimpiccioliva in questa dimensione rinchiusa
e lontana, lenti di microscopio trattate con della mescalina sulla superficie,
un sorso dal bicchiere di gin e tonic e una panoramica nella cucina dove ero
seduto, non ero proprio sicuro delle reali dimensioni di questo spazio, non che
avesse importanza, qualsiasi cosa era rinchiusa nella mente e allo stesso tempo
libera di infrangere le sue normali regole, luci che tagliavano il buio in
sezioni geometriche, colorate e pulsanti, i dischi di vinile che giravano, le
onde sonore che colavano dalle enormi casse, qualcuno era seduto per terra,
strisce di sostanze bianche su un piatto, il rumore delle narici, pupille dilatate,
gli sguardi erano diversi, a volte misteriosi, altre irriconoscibili, un senso
di solitudine e freddo, i giorni che abbiamo contato solo per sapere quanto
sarebbe durata questa voglia di abbracciarsi e giocare con la pelle, dentro il
letto ogni cosa era più facile e morbida, calda e delicata, un luogo sicuro, un
rifugio, un’isola lontana da tutto, il dondolio della fiamma di una candela,
quello del tuo corpo, ombre su un muro, i riflessi del mare nei bagliori di uno
sguardo.
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
ZetaElle #28
Tornato in città Zito Luvumbo si era ritrovato pieno di cose da fare e organizzare. Simulazioni di guerriglia urbane per le strade dei qua...
-
I dolori iniziano lunedì mattina, al lavoro. Durante la lezione mi tocco il lato destro della bocca e sento crescere una...
-
Ce l’hai una sigaretta? - chiede il tossico. Non fumo, mi dispiace – rispondo. Allora che me la vai a cercare? No, non ho quest...
-
Per capire il significato di quella perdita dovresti passare almeno cinque o sei anni con una stessa persona e vederla tutti i giorn...
Nessun commento:
Posta un commento