venerdì 28 settembre 2018

Artist Valley #5

Ero in uno spazio interiore, geometrico e tridimensionale, con griglie colorate di dati  in movimento che qualcuno stava trasmettendo al mio cervello, sembravano appartenere a un’antica e ormai scomparsa civiltà precolombiana, erano informazioni che oltrepassavano il normale piano logico razionale per espandersi in universi di telepatica comunicazione. Mi domandavo se fosse possibile incontrare altre persone in questo luogo privo di apparenti confini fisici, dove si potevano scambiare pensieri senza ricorrere all’uso del linguaggio verbale, quali segreti avevano scoperto ed esplorato i sacerdoti mesoamericani attraverso l’uso della psilocibina? Quali imperi della mente avevano costruito di cui le rovine che si trovavano nelle giungle non erano altro che una copia di pietra e gravità? 
Ero immerso in questa nuova dimensione, cercando di decodificarla e capirla, quando Roland è entrato nella stanza e si è seduto sul letto vicino a me, era impaurito e aveva bisogno di parlare, allora ci siamo presi per mano e lui ha iniziato a tranquillizzarsi e io ho lasciato quel luogo del passatopresentefuturo per ritornare all’esterno di me stesso, le proporzioni della camera erano ondeggianti, con la costante sensazione di vederle respirare, continuavo a controllare l’aria che arrivava e usciva dai miei polmoni e in questo modo c’era sempre qualcosa di familiare a cui potessi ricondurre la mia attenzione, i disegni sul pavimento si muovevano come sotto la superficie dell’acqua e sul soffitto si creavano leggere composizioni di fumo, modellandosi in astratte figure, io e Roland abbiano cominciato a chiacchierare, anche se trovavo difficile esprimermi attraverso le parole, sembravo essermi scollegato dal canale che trasformava i pensieri in lessico, potevo osservare le sinapsi che si occupavano di questo lavoro sdraiate a rilassarsi su una spiaggia cerebrale di sabbia bianca mentre i flussi di immagini sinestetiche costruivano altri codici i cui materiali andavano ad organizzarsi in avanzate architetture di complesse semiotiche aliene. 
Il volto di Roland si trasformava leggermente secondo dopo secondo, era divertente osservarlo, in alcuni momenti mi sembrava come una specie di gallo, poi un neonato, poi ancora una creatura fiabesca, abbiamo iniziato a giocare in questo modo, attraverso maschere e costumi e suoni e musica e guardandoci dentro e aprendo in maniera semplice e naturale gabbie comportamentali e culturali, non c’erano più distinzioni sessuali in lui, quindi la sua parte femminile si esprimeva in maniera libera e creativa, io assecondavo il suo modo di fare, sentendomi fluido e non imbarazzato, ci stavamo conoscendo in una maniera così rapida e meravigliosa che avevo cominciato a sentirmi come alla presenza di un vecchio amico, nel senso di qualcuno che ti conosce da tanto tempo e con cui puoi intenderti alla perfezione con una semplice occhiata. 
Inventavamo personaggi e ci muovevamo leggeri su queste pagine di fantasia, ho steso un tappeto sul pavimento e ho acceso una lanterna, mi sentivo un marinaio, poi una specie di califfo, nella sua tenda, mentre prepara un narghilè, seduto fra i suoi cuscini e il profumo dell’incenso, Roland è arrivato con del tè e una specie di tunica che si era arrotolato addosso e abbiamo continuato a parlare, poi mi sono sdraiato sulla schiena e ho semplicemente respirato e lui ha messo una mano sulla mia pancia e una sul petto, ho sentito il calore dei sui suoi palmi e lui mi ha chiesto perché il mio cuore fosse chiuso e se ci fosse un modo per entrarci, gli ho sussurrato che era un luogo speciale, potevo veramente osservarlo e percepirne la solidità, aveva smesso di sanguinare, aveva smesso di farmi soffrire e fino a quando avrei potuto lo avrei lasciato così, questo non significava che non avrei più amato, solo che lo avrei fatto in maniera diversa. 
Poi siamo rimasti in silenzio ad ascoltare la musica, melodie indiane, piene di grazia e gioia per il dono della vita, continuavo a sentirmi leggero, non c’era nessuna fretta, nessuna paura, nessun desiderio. 
Ho aperto gli occhi e le travi del soffitto ancora ondeggiavano leggermente, colme di grazia e incanto, come morbidi sogni di legno avvolgente. 

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