martedì 31 gennaio 2023
dream #132
martedì 24 gennaio 2023
dream #131
venerdì 20 gennaio 2023
dream #130
martedì 17 gennaio 2023
Roma #33
Un paio di persone mi avevano chiamato per un posto da insegnante di italiano. Il primo era in una scuola per il recupero degli anni scolastici. Il giorno del colloquio ero arrivato un pò in anticipo e così come da copione mi era toccato aspettare, già dopo cinque minuti me ne sarei voluto andare via di là, la sala era buia, senza finestre, c’era un’enorme stampa di una faccia da cazzo che immagino fosse il fondatore della scuola, mi tornavano in circolo tutte le brutte sensazioni di quando avevo insegnato per una cooperativa, il mio corpo ancora non l’aveva smaltita tutta quella merda, ancora se la ricordava, poi c'è stato il colloquio con un tipo che non avevo ben capito chi fosse, mi ero pure vestito decentemente per l’occasione, abbiamo parlato con un divisore di plastica che ci separava, precauzioni da pandemia, abbiamo chiacchierato per una quarantina di minuti, ero più io a fargli delle domande che lui a me, mi incuriosiva tutta questa baraonda di lezioni on line che si erano dovute tenere durante il covid, c’era stata un’evoluzione o una involuzione dell’insegnamento che mi faceva riflettere e anche capire che non ne volevo fare parte in nessuna maniera, soprattutto non volevo essere un professore per adolescenti rincoglioniti, i cui genitori erano disposti a sborsare ingenti somme di denaro pur di fargli prendere il diploma, recuperando così gli anni perduti, bella merda, avrebbero potuto studiare e impegnarsi e farcela da soli. Ringraziando le divinità delle discipline umanistiche il tipo della scuola non mi ha più richiamato, così la storia si è conclusa ancora prima di iniziare.
Un secondo colloquio l’ho avuto in una azienda che si occupava di energie rinnovabili e cercava un insegnante di italiano per alcuni dei loro dipendenti spagnoli. Anche qui dopo la chiacchierata conoscitiva nulla da fare. Meglio così un’altra volta, fanculo alle aziende. Per questa occasione mi ero comprato un paio di scarpe nuove, 10 euro da Decathlon, giusto per la solita messinscena, più camicia nera da tre euro presa a un banco di bengalesi al mercato sotto casa. Faceva un caldo della madonna il giorno del colloquio, era agosto e i piedi mi stavano andando a fuoco. Solita attesa causata dal il mio inevitabile arrivare in anticipo. C’erano due tipe alla reception, giovani, curate e vestite bene, che mi hanno fatto accomodare su un divanetto nella sala d’aspetto. Una di loro poi mi ha pure dato un pass per farmi entrare nell’edifico. Troppa formalità, merda. Il colloquio l’ho fatto con una donna spagnola che parlava un buon italiano, eravamo nella lounge room dell’edificio, me cojoni, ho pensato, ricordandomi il lurido divano arancione di Guidonia, dove mi sedevo nell’attesa dei miei studenti o nelle lunghe pause fra una lezione e l’altra, era di qualche materiale sintetico arancione, sudicio, sfondato, la pelle ti ci si appiccicava sopra durante l’estate, quando mi toccava andare lì, con la puzza di scorreggia del cibo che portavano per quelli del centro di accoglienza, visto che la sala mensa e l’aula erano purtroppo lo stesso luogo.
L’unica vera novità che mi era piaciuta da quando ero tornato a Roma, in termini di guadagnare soldi, era stata quella di modello per una classe di disegno. Era fantastico, avrei dovuto scoprire prima questa mia vocazione. Mi spogliavo, rimanevo nudo e immobile in una posa per un paio di ore (con pause di cinque minuti ogni venti) e alla fine, Tim, il pittore che gestiva la scuola di disegno, mi allungava 40 euro. Meraviglioso. Peccato che mi avesse chiamato solo due volte.
Questa mattina invece ho fatto un test che mi hanno mandato quelli delle poste italiane per un lavoro di portalettere (le stavo tentando un pò tutte, lo so), esperienza quasi psichedelica, con il test pieno di sequenze di figure e figurine geometriche che andavano combinate fra loro o delle quali bisognava capire la mancante in una serie la cui logica apparteneva probabilmente più agli alieni o a un branco di imbecilli, cosa c’entrava questo test con il lavoro di portalettere rimaneva però un bizzarro mistero. Così a pranzo me ne sono andato al Pigneto, a bermi una birra e a vedere la gente passare. Ancora libero e senza nulla da fare.
sabato 14 gennaio 2023
(fuori)Roma #32
Ero arrivato al lago e mi ero sistemato vicino a degli oleandri, avevo piantato l’ombrellone, steso il pareo sulla sabbia (ferrosa e per questo rovente quando il sole iniziava a picchiare) e mi ci ero sdraiato sopra. Poi avevo tirato fuori dallo zaino Morte a Credito di Celine (che avevo intenzione di finire) e mi ero messo a leggere. Ero tranquillo, il cuore leggero e quasi nessuna preoccupazione in testa. Dopo un pò sono arrivate due signore anziane, si sono messe alla mia sinistra e hanno iniziato a parlare. La loro conversazione si è protratta per le seguenti sette ore senza interruzioni, se non per una breve pausa pranzo a un bar poco distante. Stranamente non mi sono sentito infastidito dai loro discorsi, la solita inarrestabile sfilza di luoghi comuni su altrettanti luoghi comuni come figli, famiglia, nipoti e stronzate similari. Ogni tanto mi andavo a fare un bagno nel lago per rinfrescarmi e con mia somma gioia l’acqua che mi rimaneva nelle orecchie formava una sorta di membrana naturale che mi faceva sentire di meno, così quando tornavo sotto l’ombrellone le chiacchiere delle due donne diventavano attutite, smorzate e innocue.
Durante la mattinata sono arrivate poi altre due donne, queste più giovani, straniere, con prole al seguito. Una di esse sembrava incapace di esprimersi se non attraverso l’uso di urla animalesche per richiamare i propri figli o quelli della sua amica. Quando invece si confidavano fra loro le due donne parlavano più piano, in rumeno e per lo meno questa differenza linguistica mi lasciava un pò di spazio libero per immaginarmi cosa stessero dicendo o per osservare le somiglianze fonetiche fra la loro lingua e la mia. Anche il loro strazio verbale è comunque durato per svariate ore.
Leggevo concentrato le parole di Celine e quelle delle donne mi attraversavano il cervello quasi senza peso. L’aiuto dell’acqua nelle orecchie era poi un dono improvviso delle divinità della lettura e della solitudine. Verso l’una mi sono andato a bere una birra al bar lì vicino (dove anche le due vecchie erano sedute a un tavolino continuando la loro maratona logorroica). Ho sorseggiato tranquillamente una Ceres, sgranocchiando delle patatine al lime e pepe rosa. Poi sono tornato a stendermi sul pareo, il chiacchiericcio circostante e il cicalare di alcuni insetti (non c’era poi molta differenza) insieme al calore e all’abbraccio dell’alcol mi hanno fato addormentare immediatamente. Quando mi sono risvegliato, più di due ore dopo, la situazione non era cambiata, tutte e quattro le donne continuavano nelle loro attività: parlare e gridare. Ho deciso di andarmene, ho raccolto le mie cose, sono tornato alla macchina, ho messo in moto e ho iniziato a circumnavigare il lago di Bracciano.
Ho fatto una sosta a Trevignano, fermandomi un’oretta su un pezzo di spiaggia che pensavo fosse libera. Poi sono arrivate un paio di donne con i loro cani al seguito. Ci siamo di nuovo, ho pensato. Avevo questa teoria che le donne che non avevano figli per compensare questa assenza riversano la loro maternità sui cani. Mi sembrava orribile. Ho fatto anche un bagno, l’acqua era una merda. Così me ne sono riandato verso la macchina, scoprendo un cartello che non avevo visto quando ero arrivato, che diceva Bau Beach, cioè un pezzo di spiaggia (proprio quello in cui mi ero fermato) in cui i cani e i loro proprietari erano liberi di divertirsi e stare insieme. Pazienza, non sarei ritornato in quel luogo.
Era quasi sera e la luce stava diventando quella dei sogni e delle visioni. Ho guidato in questo stato leggermente trascendentale fino a casa. Mi sono fatto una doccia, ho stappato una birra e mi sono seduto in terrazza. Il cielo stava diventando rosa, poi viola, poi blu cobalto. Ho pensato a Sara e a quanto mi sarebbe piaciuto averla accanto in questo istante.
venerdì 13 gennaio 2023
dream #129
Era uno scenario boschivo, con alberi e terra e zone d’ombra e strane premonizioni archeologiche - Ho trovato una specie di feticcio mummificato, in una piccola grotta e ho chiamato Sara perché volevo farglielo vedere, era di legno o forse di pelle essiccata e aveva delle piccole strisce di stoffa intorno - L’ho preso in mano e un serpente velenoso è apparso e mi ha morso - Stavo tentando di tornare in un luogo abitato, alla ricerca di un ospedale dove potessero darmi un siero contro il veleno, erano luoghi che non conoscevo e in cui cercavo disperatamente di orientarmi - Sono arrivato davanti a uno sportello medico e ho chiesto il siero a una donna, lei mi ha passato un modulo che dovevo riempire, ho scritto i miei dati e glielo ho restituito, così la donna mi ha consegnato una chiave con il numero 12 - Camminavo, cercando in maniera frenetica la stanza giusta, sempre con la paura che potessi morire per il morso del serpente - Sapevo che il tempo stringeva - Poi ero dentro una stanza, la chiave ancora in mano, era oscura e credo di aver incontrato un uomo, abbiamo parlato, poi lui mi ha fatto una iniezione - C’era il copione di un film di fantascienza su un tavolino e qualcuno mi spiegava alcune scene e poi mi sono ritrovato in una di esse e c’era come il corpo di un alieno che io e altri personaggi stavamo osservando - Poi ero seduto su una sedia di metallo, a scrivere a macchina e il regista era silenzioso in un angolo e mi ha guardato e i suoi occhi erano opali neri e poi c’era il mare ed era notte e le stelle vibravano in uno spazio nero senza fine, sono pronto, ho pensato e mi sono incamminato sulla sabbia seguendo le orme dei tuoi piedi nudi.
ZetaElle #28
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