martedì 17 gennaio 2023

Roma #33

 Alcune volte arrivavano delle risposte alle mail che mandavo in giro con il mio curriculum, una pantomima di ricerca di lavoro che mi lasciava con la coscienza a posto, non che me ne fregasse un cazzo, era giusto per fare qualcosa, così quando mi contattavano, spinto dalla curiosità, andavo a vedere di cosa si trattava. 

Un paio di persone mi avevano chiamato per un posto da insegnante di italiano. Il primo era in una scuola per il recupero degli anni scolastici. Il giorno del colloquio ero arrivato un pò in anticipo e così come da copione mi era toccato aspettare, già dopo cinque minuti me ne sarei voluto andare via di là, la sala era buia, senza finestre, c’era un’enorme stampa di una faccia da cazzo che immagino fosse il fondatore della scuola, mi tornavano in circolo tutte le brutte sensazioni di quando avevo insegnato per una cooperativa, il mio corpo ancora non l’aveva smaltita tutta quella merda, ancora se la ricordava, poi c'è stato il colloquio con un tipo che non avevo ben capito chi fosse, mi ero pure vestito decentemente per l’occasione, abbiamo parlato con un divisore di plastica che ci separava, precauzioni da pandemia, abbiamo chiacchierato per una quarantina di minuti, ero più io a fargli delle domande che lui a me, mi incuriosiva tutta questa baraonda di lezioni on line che si erano dovute tenere durante il covid, c’era stata un’evoluzione o una involuzione dell’insegnamento che mi faceva riflettere e anche capire che non ne volevo fare parte in nessuna maniera, soprattutto non volevo essere un professore per adolescenti rincoglioniti, i cui genitori erano disposti a sborsare ingenti somme di denaro pur di fargli prendere il diploma, recuperando così gli anni perduti, bella merda, avrebbero potuto studiare e impegnarsi e farcela da soli. Ringraziando le divinità delle discipline umanistiche il tipo della scuola non mi ha più richiamato, così la storia si è conclusa ancora prima di iniziare. 

Un secondo colloquio l’ho avuto in una azienda che si occupava di energie rinnovabili e cercava un insegnante di italiano per alcuni dei loro dipendenti spagnoli. Anche qui dopo la chiacchierata conoscitiva nulla da fare. Meglio così un’altra volta, fanculo alle aziende. Per questa occasione mi ero comprato un paio di scarpe nuove, 10 euro da Decathlon, giusto per la solita messinscena, più camicia nera da tre euro presa a un banco di bengalesi al mercato sotto casa. Faceva un caldo della madonna il giorno del colloquio, era agosto e i piedi mi stavano andando a fuoco. Solita attesa causata dal il mio inevitabile arrivare in anticipo. C’erano due tipe alla reception, giovani, curate e vestite bene, che mi hanno fatto accomodare su un divanetto nella sala d’aspetto. Una di loro poi mi ha pure dato un pass per farmi entrare nell’edifico. Troppa formalità, merda. Il colloquio l’ho fatto con una donna spagnola che parlava un buon italiano, eravamo nella lounge room dell’edificio, me cojoni, ho pensato, ricordandomi il lurido divano arancione di Guidonia, dove mi sedevo nell’attesa dei miei studenti o nelle lunghe pause fra una lezione e l’altra, era di  qualche materiale sintetico arancione, sudicio, sfondato, la pelle ti ci si appiccicava sopra durante l’estate, quando mi toccava andare lì, con la puzza di scorreggia del cibo che portavano per quelli del centro di accoglienza, visto che la sala mensa e l’aula erano purtroppo lo stesso luogo.

L’unica vera novità che mi era piaciuta da quando ero tornato a Roma, in termini di guadagnare soldi, era stata quella di modello per una classe di disegno. Era fantastico, avrei dovuto scoprire prima questa mia vocazione. Mi spogliavo, rimanevo nudo e immobile in una posa per un paio di ore (con pause di cinque minuti ogni venti) e alla fine, Tim, il pittore che gestiva la scuola di disegno, mi allungava 40 euro. Meraviglioso. Peccato che mi avesse chiamato solo due volte.

Questa mattina invece ho fatto un test che mi hanno mandato quelli delle poste italiane per un lavoro di portalettere (le stavo tentando un pò tutte, lo so), esperienza quasi psichedelica, con il test pieno di sequenze di figure e figurine geometriche  che andavano combinate fra loro o delle quali bisognava capire la mancante in una serie la cui logica apparteneva probabilmente più agli alieni o a un branco di imbecilli, cosa c’entrava questo test con il lavoro di portalettere rimaneva però un  bizzarro mistero. Così a pranzo me ne sono andato al Pigneto, a bermi una birra e a vedere la gente passare. Ancora libero e senza nulla da fare.

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