martedì 29 ottobre 2024

ZetaElle #8

 C’era stato un incontro informale tra Zito Luvumbo, Hector Mosca, John Bosco e lo scrittore, in cui i primi tre avevano chiesto all’ultimo, senza troppi giri di parole, che cosa cazzo stesse combinando con la propria vita. C’era bisogno della pianificazione di una nuova fuga, di una infrazione all’apparente stabilità economica e sociale adottata dallo scrittore, che si stava miseramente imborghesendo, intrappolato di nuovo in una serie di problematiche del tutto prive di senso e romanticismo. Il doppio dello scrittore era finito un’altra volta a insegnare italiano agli stranieri in una scuola, un’altra identità che gli aveva permesso di rimanere in un contesto urbano e di connettersi con nuovi personaggi, ma adesso, secondo Zito Luvumbo, era tornato il momento dell’azione, di rimettersi in viaggio, di lasciare il tempo libero di riconfigurarsi in nuovi scenari apocalittici e alcolici (come se lo scrittore non bevesse già abbastanza). C’erano ennesime e molteplici identità da poter assumere: informatore, spacciatore, infiltrato, correttore di comunicati e opuscoli sovversivi, sabotatore, uomofantasma capace di osservare e riportare e trasformare e distruggere. Hector Mosca sembrava d’accordo, mentre ronzava i suoi suggerimenti e lo scrittore scivolava in un limbo psichico in cui rifletteva e immaginava, mentre serie di dati e contatti e parentesi di silenzio e malinconia ondeggiavano nella sua scatola cranica. C’era sempre la tristezza in qualche luogo del suo cuore a cui tornare ed echi di avvenimenti lontani che si stavano affievolendo ma liberarsi dal passato era e rimaneva la cosa più difficile di tutte. Eppure le parole di Zito Luvumbo non erano un rimprovero o una minaccia, erano un’esortazione, un incitamento, un modo non tradizionale, intuitivo e sensuale, di dire allo scrittore di riappropriarsi del proprio corpo, delle sue emozioni, delle sue parole e di scrollarsi di dosso le sembianze professionali che stava assumendo. Una metamorfosi di cui non hai bisogno, diceva Hector Mosca, con un sibilo a ultrasuoni, mentre alcuni cani cominciavano ad abbaiare in lontananza. John Bosco era rimasto in silenzio, sorridendo pacatamente, poi iniziò a mormorare un’antica litania e ci fu una vibrazione nell’aria e il luogo dove erano, nient’altro che una proiezione mentale, cominciò a trasformarsi e lo scrittore sorrise e comprese e il tempo svanì e con esso ogni sua svogliata e  stupida indecisione.

Nessun commento:

Posta un commento

ZetaElle #10

I pensieri dello scrittore e quelli di Zito Luvumbo sembravano essere simili. A volte erano affollati da strane presenze, quelle che la soli...