domenica 3 novembre 2024

ZetaElle #9

 Le serate sulla terrazza a guardare il mare, a sentirne gli odori e con essi i ricordi e una certa tristezza, una sua eco, a volte leggera, altre sinuosa come le onde, che si impossessava del cuore di Zito Luvumbo, mentre ripercorreva segmenti della sua vita, quelli che pensava suoi o quelli inventati da un altro o forse quelli che lo scrittore infilava nelle pieghe sbiadite delle pagine e dei fogli lasciati su scrivanie polverose. 

La tristezza per il tempo inafferrabile, per le immagini che sfuocavano, per le parole pronunciate e mai più ripetute, per la stanchezza che sentiva crescergli dentro e che poi sarebbe diventata la vecchiaia e una stanza nella quale attendere, in solitudine, il ripetersi infinito delle proprie malinconie. 

Ancora scenari onirici dove Zito Luvumbo o il suo doppio avevano fatto strani incontri, compresa una sequenza ricca di dettagli di un rapporto sessuale con un cadavere e la presenza minacciosa di un paio di uomini per strada, che lo stavano cercando e dai quali, quasi sicuramente, doveva scappare. 

Le incomprensioni di una vita sarebbero potute bastare anche per la successiva, così come le ossessioni non risolte e il loro incessante susseguirsi fino a quando ci si vedeva dal di fuori a compiere sempre gli stessi gesti, una voce nella testa a dire, che cazzo combini? Che cazzo stai facendo? E poi il silenzio, quando la notte si avvolgeva su sé stessa e il mare rollava placidamente e piccole luci sulla spiaggia, alcuni falò e ragazzi e ragazze intenti a conoscersi e scoprirsi, perché quella è l’età della magia e della speranza.

Gruppi di uomini armati irrompevano in case e compivano atti di violenza e malvagità e il Mediterraneo non era altro che un vasto manto per ricoprire la morte di migranti e profughi e il centro dell’Europa riscopriva le fascinazioni delle destre e del fascismo mentre le guerre mediatiche si succedevano e la fatalità di ogni conflitto divorava ogni coscienza superstite. 

Ci voleva una lucidità mentale costante per non lasciarsi stravolgere dalle maree dei media, tossiche e compulsive e per difendersi da esse ZIto Luvumbo si prendeva lunghi momenti nei quali non fare nulla, se non respirare e meditare e tenere la mente sgombra da attacchi psichici improvvisi. 

I personaggi andavano e venivano, si presentavano e scomparivano, mentre la mano dello scrittore si muoveva veloce, fra la bottiglia di gin e quella di Campari e un numero imprecisato di cubetti di ghiaccio che lo attendevano nel frigo.


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