lunedì 17 febbraio 2025

ZetaElle #23

La città era ancora calda e vuota e potevo camminare per i parchi senza che ci fosse nessuno intorno e riconoscevo gli alberi, la loro presenza, la voce delle foglie che si muovevano nell’aria - Camminavo, la testa senza pensieri, poi mi sedevo su una panchina a guardare la luce, il cielo, le ombre, la quiete dorata del mondo in un solitario pomeriggio estivo - Le pause, i momenti in cui il lavoro era scomparso di nuovo e potevo rimanere libero di sognare, leggere, ricordare, il tempo che si sdraiava insieme a me sul divano, curvandosi fino a diventare liquido e amniotico, quasi inesistente - Cambiavano i colori, le emozioni della memoria, il lento approssimarsi della sera e c’era da chiedersi perché fossi tornato qui e quanto sarebbe durata questa ennesima farsa, perché non avessi scelto di interpretare un nuovo personaggio e mi fossi calato in una vecchia parte, migliorata di certo, ma sempre ripetuta e poi gli avessi dato spazio e vita, forse solo per sentirmi sicuro al suo interno, forse per non dover cedere ai rischi e alle incognite di una costante improvvisazione alcolica, anche se sentivo di intensificare le sfumature interiori di ogni performance che mettevo in scena e così questa decisione era risultata la migliore fra quelle a disposizione, senza trasformazioni lisergiche e fughe cognitive, continuavo, comunque, a cercare piccole parentesi di anarchia, grottesche e bizzarre situazioni in cui ciò che mi era richiesto di fare e per cui venivo pagato finiva e così tornavo a vagare, ad essere l’altro, l’ombra sui muri e sulle strade, quello che con un sorriso avrebbe rapidamente abbandonato tutto, solo per rimanersene in silenzio, a passeggiare in un bosco.

Tra una settimana o poco più la gente sarebbe tornata dalle ferie e lo scrittore avrebbe cominciato a riprendere le sue oscene attività solipsistiche e avrebbe cercato tabacco e hashish e invocato spacciatori invisibili, per aprire poi gli occhi di notte, la luna alta e tonda nel cielo scuro, senza idee per le sue storie, senza personaggi, al culmine della sua follia, nell’attesa di un equilibrio, di una illusoria panacea che durava quanto un ciclo lunare, quando le forze di creazione e distruzione si fossero annullate a vicenda e lui sarebbe tornato a distendersi sul letto, a respirare con gli occhi chiusi.

Nei sogni assumevo volti diversi e sostanze psichedeliche misteriose e vedevo le mie sembianze attraversare lo specchio e sciogliersi oltre di esso, per poi uscire e smarrirmi fra queste strade che il sole inchioda a destini di sporcizia e catrame.


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ZetaElle #24

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