venerdì 18 aprile 2025

ZetaElle #30

 In qualche modo le visioni delle coste dell’Andalusia stavano arrivando, insieme a quelle del Marocco e di giovani ragazzi che fumavano oppio sdraiati su luridi tappeti tra sporcizia e macerie nella periferia di città fatiscenti, sognando l’Europa e i documenti e la possibilità di una vita diversa che intanto sempre la stessa merda sarebbe stata. Loro, però, non potevano saperlo e continuavano a sognare e Zito Luvumbo avrebbe voluto parlargli e dirgli che la miseria rimaneva tale ovunque, soprattutto quella dei cuori e delle anime e che sarebbe stato meglio rimanere puri nella propria terra che ingabbiati all’interno delle stupide illusioni di un’altra.

Problemi di connessione con il mondo onirico, sequenze interrotte, icone metropolitane che si ripetevano in inquadrature diverse, una piccola terrazza protetta da cui si poteva osservare il doppio allucinato della città, nelle notti di pioggia e fuga interiore - Al tramonto i tetti dei palazzi venivano avvolti da colori acidi, lo scrittore non sapeva come scendere da quel luogo, come tornare fra le strade, come ritrovare la sua macchina (quando ne aveva mai avuta una?), come andarsene da lì. Poi apparivano una stanza, un bagno, le pareti dai colori scuri, blu, cobalto, verde marino, silenzio oceanico, poi arrivavano gli odori, in un’altra camera mentale, mentre lo scrittore camminava e squarci dell’infanzia si aprivano nella mente e poi le anfetamine cominciavano a fare effetto e così la giornata diveniva lucida nella sua percezione, nitida e lucente e lunghe camminate nel sole e nell’ombra, con l’estate che volgeva al termine, con improvvisi temporali e tempeste elettriche nel buio, oltre le vibrazioni catodiche di schermi fumanti. Lo scrittore si sdraiava sul letto, in una posizione sospesa, vaghi ricordi di una tenda in un campo, il sentore della pioggia, il tuo corpo distante, il naufragio dei sensi, quello della ragione.


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