Seduti ad un tavolino, davanti ad un canale, illuminati da un sole invernale e splendente, lei aveva preso un tè al limone, lui una pinta di amstel. Erano un paio di anni che non si vedevano, lei era andata prima a londra e poi a berlino dove era restata per quasi otto mesi. Si era interessata alle gallerie d’arte, alla danza, al balletto, aveva conosciuto un coreografo frocio e eroinomane, che nella New York dei primi anni ottanta era un’accoppiata perfetta, poi il movimento punk e una nuova idea: danza classica e anarchia insieme, creazione e improvvisazione. era rimasta folgorata dalla vitalità del coreografo, dal suo modo di vivere e concepire l’arte. era stata molto da sola in quel periodo e tutto quel tempo trascorso camminando per le strade, visitando musei, immergendosi nel suo mondo personale le aveva aperto gli occhi su quello che aveva dentro, su cosa le interessasse veramente, su quanto fosse indispensabile innamorarsi di se stessi prima di poterlo fare di un’altra persona. Lui rimaneva spesso in silenzio ed ascoltava. Ogni tanto le diceva qualcosa di serio. Qualcosa di profondo. Ogni tanto lanciava una risata, per alleggerire la loro discesa. The fall si chiamava uno degli spettacoli del coreografo. E parlava, con musiche e movimenti, della sua caduta nell’abisso dell’eroina. Poi era risalito dall’abisso. Danzando su un palco e non più sull’ago di una siringa. Lui pensava al suo personale abisso. Alla maestosità di quelle scogliere dalle quali lo poteva vedere agitarsi, oscuro e immenso. Non che gli dispiacesse l’oppio e l’aria del mare del nord gliene faceva venire in mente una lunga pipa carica e anche un materassino lurido nel retro di un negozio di massaggi cinesi. scivolava lento e senza dolore verso le acque calme dell’inconscio e prati ricolmi di papaveri oscillavano piano nel vento caldo dell’estate.
Lui
aveva finito la sua pinta e ne aveva ordinata un’altra.
Gli anni passati avevano lasciato le loro ferite,
tutto il tempo sprecato, guardato adesso, da questo tavolino, con una pinta
brillante in mano, non era stato altro che un furto. Di energie, di speranze,
di sogni. Nel momento presente le cose fluivano, non c’erano desideri nel suo
cuore, le cose apparivano e svanivano, luce e buio e noi nel mezzo, a ripetere,
ogni volta, tutto da capo.
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