Spiragli nel tempo, odori della
pelle, nelle stanze, di notte, venivano a sussurrarmi che le cose stavano
cambiando, che ogni giorno mi avvicinavo sempre di più, onde mentali, calme e
delicate, riflesse in linee di luce e ombra, proiettate sul soffitto, negli
inganni dell’estate, nelle illusioni della giovinezza – lasciarsi andare,
perdere, rinunciare – rimanevano impresse le sequenze di violenza, le morti, le
uccisioni, qualcuno aveva deciso di portare la guerra nelle strade d’Europa,
nelle piazze, nei locali, nei luoghi in cui ci sentivamo a nostro agio, la fine
strisciava, famelica e velenosa, qualcuno aveva deciso che anche noi avremmo
dovuto conoscere l’insicurezza, la paura di uscire di casa ed essere uccisi,
scelte radicali, tentativi di rovesciare un ordine mondiale in cui nessuno più
si riconosceva – i controlli si erano fatti più stretti, come se servissero a
qualcosa, le menti erano state rinchiuse in recinti di ragionamenti puerili e
lì rimanevano, la capacità di analisi era una pozza d’acqua stagnante, uno
specchio torbido in cui i contorni delle cose, i profili delle persone
diventavano incerti, ognuno vi poteva vedere quello che voleva e credere che
fosse vero. Mi immergevo in acque diverse, calde, all’ora del tramonto, ero
sempre da solo senza sentirmi mai solo, la sensazione era diversa, familiare e
accogliente, era come essere a casa, dopo anni di vagabondaggi, su quella
spiaggia potevo riscoprire tutto, vedere nascere un’emozione, un pensiero,
c’era un fiore meraviglioso a cui tenevo in modo particolare, il suo profumo
delicato, lo osservavo in silenzio – danzava nell’aria dorata, in riverberi di
quiete, essenza di vita, carezza d’amore.
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ZetaElle #33
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