Flussi
ininterrotti di persone, gambe e scarpe in movimento, i pannelli neri con le
scritte arancioni, le destinazioni, le partenze, di stazione in stazione,
sottoterra, lungo binari lucenti, quelli che avevo visto un giorno a Roma,
mentre vagavo senza meta o a Berlino dopo che le pasticche avevano iniziato a
fare effetto. Nelle ore che accompagnavano l’alba riuscivo a scendere in
profondità dentro me stesso e tutto era così calmo e quieto, lo scorrere delle
emozioni e dei pensieri non mi spaventava più, lo lasciavo fluire e lo
osservavo, poi di nuovo le strade e la vita frenetica e Londra che era solo
un’altra gigantesca illusione, le pareti della metro erano piene di enormi
immagini che catturavano gli sguardi e i desideri e le persone scivolavano
verso mete sconosciute e io avevo la libertà di rimanere fermo a guardarle perché
non c’era più nessun posto dove dovessi andare. Seduto contro una ringhiera di
ferro, dietro c’era il Tamigi e il sole spuntava dalle nuvole e io respiravo e
ogni cosa rallentava intorno e dentro di me, sempre di più, quando ho aperto
gli occhi il tempo aveva smesso di esistere e tutto scintillava nella sua
eternità. Mi ero costretto a perdermi di nuovo e a compiere una ricerca, era un
passaggio necessario, lo sciamano diceva che erano i sogni la vera realtà, che
dovevamo vivere in essi e imparare da loro, diceva che bisognava ascoltare il
mondo per comprenderlo, mentre prendeva un fiore e ne staccava i petali e
raccoglieva una radice e la pestava e la mischiava con i petali e poi li faceva
bollire nell’acqua, in una piccola pentola, sopra un antico fuoco e mi ha dato
da bere e ho bevuto e ho vomitato e ho bevuto ancora e poi lui si è avvicinato
e ha soffiato una polvere nelle mie narici e ho chiuso gli occhi e le visioni
sono arrivate, le forme e i colori che si muovevano e pulsavano e poi mi ha
accompagnato in quell’altra realtà e abbiamo parlato e camminato e incontrato
demoni e volti e maschere e luci e ombre e mi ha spiegato che bisognava
perdersi nella foresta, da soli, morire tra gli alberi e sconfiggere la paura,
solo allora sarei potuto tornare indietro e le cose sarebbero state uguali e
diverse perché avrei raggiunto una consapevolezza che la morte era la vita e la
vita era la morte e non c’era nulla che noi potevamo fare per combatterla,
vivere significava abbandonarsi, non opporre resistenza, era quello che stavo
provando a fare, era difficile ma era tutto ciò che avesse veramente
importanza.
martedì 6 settembre 2016
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