Intervalli di ore notturne, intermittenze nel sonno, un’alba grigia che attendeva fuori dalla finestra, nascosta tra i palazzi dai mattoni rossi e le scritte che ricoprivano le facciate dei negozi di pegni ed elettrodomestici ormai in disuso. Una mappa disegnata sul muro di un’enorme stanza, le tubature che componevano direzioni misteriose appese al soffitto, i locali sotterranei in cui la gente ascoltava musica, beveva e assumeva sostanze, i laboratori clandestini celati dietro le porte di anonime lavanderie, le scale antincendio di edifici in rovina, vie di fuga immaginarie da tossicodipendenze urbane e risvegli elettronici davanti a pagine bianche. C’erano nuove associazioni metropolitane che la mente trasformava in architetture del pensiero, pesavano minacciose le forme dei materiali edilizi, quelle da realizzare, quelle ancora limitate alla piatta dimensione di un progetto incompiuto, uomini manovravano macchinari futuristici e rendevano tridimensionali i deliri degli ingegneri del subconscio, poliziotti schierati ai bordi delle strade e blocchi di metallo ad impedire l’insurrezione del terrorismo dei gruppi armati del cemento, armi plastiche che si scioglievano fra le mani degli attentatori, i proiettili sparati dal trentaduesimo piano di un albergo abbandonato, scritte al neon ronzanti e appartenenti a un lessico di violenza e astinenza, qualcuno cambiava la posizione delle lettere e trascriveva le proprie ossessioni in messaggi subliminali, tremori epilettici nelle mani tese di spettatori insonni, camere illuminate fra le ultime difese del buio, lo scrittore si era seduto su un divano sfondato, aveva chiuso gli occhi e aveva lasciato che la città vagasse dentro di lui, fra periferie di memorie e recinti di illusioni.
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ZetaElle #32
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