martedì 1 settembre 2020

Orgiva #13

 Nel pomeriggio ero uscito di casa e faceva ancora caldo, mi ero incamminato verso il fiume, il Guadalfeo, con l’idea di attraversarne il letto ormai secco e poi tagliare per i campi aridi e arrivare al women’s field, dove mi avevano invitato per una cena spagnola. Prima del ponte, la maglietta già fradicia di sudore, appiccicata alla schiena, Vittorio mi ha superato con il suo furgone (library service) e ha accostato al bordo della strada, aspettando che lo raggiungessi. Mi ha fatto salire dalla sua parte perché l’altra porta non funzionava, mi sono seduto sul sedile anteriore sinistro accanto a Charlie, il suo cane, che ne occupava più della metà - Una musica punk infernale usciva a tutto volume dalle casse, Vittorio si è messo al volante, un drink con un liquore ambrato e ghiaccio fra le gambe, mi ha sorriso e ha messo in moto. Non abbiamo parlato durante il breve tragitto fino a Tablones, ogni tanto lo guardavo, poi voltavo lo sguardo verso il finestrino e quello che scorreva fuori di esso, non molto, a dire il vero, colori desertici, una luce ancora forte, i profili delle montagne. Dopo cinque minuti siamo arrivati davanti al bar de El gordo, ci siamo fermati, ho chiesto a Vittorio se volesse una birra, lui ha sorriso, siamo scesi e siamo entrati nel locale. Faceva fresco dentro, l’aria condizionata era in funzione, ci siamo seduti al bancone, lui ha preso una Amstel, io una Alhambra. Altri due uomini erano seduti vicino a noi, sugli sgabelli, uno di loro era Andy, viveva in un bus rosso a due piani in un pezzo di terra lunare non lontano da lì, recintato da una rete metallica, che lo faceva sembrare una specie di campo per i lavori forzati di qualche landa primitiva dimenticata dalle divinità. Andy aveva avuto (e ancora aveva) dei problemi con alcol e coca (e chissà quali altre sostanze), si innervosiva subito, parlava troppo e non si fermava mai. Me ne sono accorto quando ci siamo seduti fuori, Vittorio voleva fumare un pò di erba e lui ci ha seguiti, sedendosi alla mia destra e iniziando un monologo interminabile su non so bene cosa, in un misto di rabbia, delirio personale, teorie cospirative, ricordi di usi e abusi di droghe varie, festival, ricette a base di speed e centinaia di lattine di birra (special brew). Non sapevo come staccarmi da questo torrente di chiacchiere soffocanti, Vittorio guardava da un’altra parte, fumava la sua pipa, sorrideva e giustamente non gliene fregava un cazzo di quello che Andy stava dicendo, ogni tanto annuiva, più a sé stesso che al logorroico inglese. Amavo Vittorio, era veramente uno spirito anarchico. Ho continuato a sorseggiare la mia birra cercando una via d’uscita da tutte queste stronzate che non mi andava assolutamente di ascoltare, erano buone per qualche minuto perché stimolavano la fantasia dello scrittore ma poi finivano solo per rincoglionirlo. Mi sono alzato di scatto, in un colpo di scena da psicodramma etilico, dopotutto c’era una cena a cui ero stato inviato e non volevo arrivarci troppo sbronzo, ho salutato Vittorio (dopo aver comprato una bustina d’erba), sono rientrato nel bar per pagare, mi sono bevuto uno shot di Soberano giusto per affrontare l’ultimo pezzo di deserto, poi sono uscito e me ne sono andato. Andy continuava a parlare. Solo Charlie, il cane, sembrava interessato alle sue frasi sconnesse e inutili.

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