Avevo incontrato Paul davanti alla gelateria italiana, era sdraiato per terra, apparentemente senza sensi. Mi ero chinato per vedere se ancora respirava, lui aveva aperto gli occhi, senza riconoscermi. Poi si era messo seduto, l’accendersi di una scheggia di luce all’ombra delle sue pupille dilatate, una frazione di tempo in cui la mia immagine sfuocata aveva fatto scattare qualcosa nelle sinapsi instabili del suo cervello. Mi aveva riconosciuto.
L’ho aiutato ad alzarsi, gli ho chiesto come stava, parlava confusamente, ci siamo incamminati verso la chiesa e un posto dove potesse pisciare in tranquillità. Si voleva svuotare la vescica proprio davanti all’entrata della casa di Dio, gli ho suggerito che non era la migliore delle idee, lui ha sbattuto le palpebre, l’ho preso sottobraccio e l’ho portato in un angolo meno visibile accanto ad un muro, alla destra della Sacra Dimora. L’ho lasciato da solo per un paio di minuti a sbrigare le sue faccende urinarie, mi sono seduto su una panchina e ho atteso. Paul è tornato verso di me, con uno sguardo enigmatico. Voleva bersi una birra ma era domenica e tutti i bar di Orgiva erano chiusi, poi mi ha chiesto che ora fosse, quasi le otto di sera, gli ho detto, mi ha guardato in maniera interdetta, a quanto pare pensava che fosse ancora mattina. E il giorno? mi ha domandato dubbioso, domenica, gli ho risposto. Come non è martedì? Ha detto lui, no Paul, è ancora domenica, gli ho sussurrato con un sorriso sulle labbra.
Abbiamo passeggiato un altro pò, vagando in bilico su emozioni smarrite. Ogni tanto si accasciava al suolo, si accendeva una sigaretta e mi raccontava di lui e di Martha, poi si metteva a piangere o rimaneva in silenzio. Abbiamo trovato un piccolo negozio aperto, lui ha comprato un litro di Cruzcampo, ci siamo seduti su delle scale , quelle che portavano alla piazza e ci siamo passati la birra.
Abbiamo parlato un altro pò, non che ci fosse molto da dire, per lo più lo ascoltavo o cercavo di dirgli qualcosa di divertente per tirargli su il morale, ogni tanto lo abbracciavo o gli massaggiavo il collo, quando iniziava a sentirsi di nuovo triste e a singhiozzare.
L’ho salutato quando la luce ha cominciato a diminuire e questo sogno a trasformarsi in un altro. Susana mi aspettava a casa, fra lenzuola viola e oli profumati, una bottiglia di vodka mezza piena nel frigo, ho accelerato il passo perché non ci fossero più distanze a dirmi cosa fare.
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