giovedì 13 aprile 2023

Roma #37

 Alcuni luoghi sarebbero dovuti rimanere liberi, quelli dei sogni, delle pulsioni primordiali, dell’ozio, delle fantasie erotiche, degli incontri proibiti. Stanze con moquette sul pavimento e poltrone imbottite e bassi tavolini di legno con sopra posaceneri di vetro, bicchieri e bottiglie di liquori. Pomeriggi urbani, finestre con le veneziane abbassate, in modo che la luce possa entrare obliqua, le lente ore dell’estate e il calore e la stanchezza, la voglia di non muoversi, di aspettare l’uomo delle sostanze, pensieri vaporosi di sceneggiature, soggetti, racconti e romanzi, il ronzio elettrico del frigorifero, le sagome geometriche di quadri alle pareti, i miraggi di esposizioni in città lontane e la vita di un vagabondo lungo le sue strade e le panchine nei parchi dove stendersi a risposarsi. Stappo una birra, strappo l’ennesima pagina non ancora scritta. Erezioni architettoniche, elevazioni verticali di vetro e cemento e ancora stanze, uffici, incontri, segretarie con i tacchi alti e poi giù, cadendo, sprofondando sottoterra, nei cunicoli misteriosi della metro, negli spazi suburbani degli uominitopo, disertori della società dei consumi o forse solo gli ultimi superstiti, mentre divorano i resti di cartelloni pubblicitari, ancora convinti che quella illusione sia lo specchio della loro vita e non solo un miraggio in una cieca oasi del deserto metropolitano. Luci, esplosioni di luci, intermittenze elettriche e coreografie luminose perché tutto sembrasse come una festa quando non era altro che l’ennesima maniera di incularci. Non capivo più le persone che avevo intorno, cosa dicessero, dove andassero, speravo solo che non mi rompessero i coglioni più del necessario, che non trovassero altri subdoli modi per essere più stupidi e fastidiosi. Qualcuno per strada voleva ancora vendermi le sue cianfrusaglie e io volevo solo starmene per i cazzi miei, seguendo le intuizioni visive del subconscio, scattando fotografie mentali, trovandomi a mio agio fra i vagabondi, i poveri, i miserabili, i pazzi. Mi rifugiavo in stanze psichiche per i miei desideri, la mia solitudine, le mie creazioni. La differenza fra i mondi diveniva sempre più sottile, bussavo sulla parete, sperando che tu fossi ancora nella camera accanto alla mia, anche se non mi rispondevi accarezzavo la tua immagine nascosta fra le ombre di un giorno di tarda primavera, eravamo di nuovo giovani solo perché non lo saremo stati mai più e l’amore che abbiamo tradito e gli insulti che ci siamo scambiati e la pelle e il sesso e le notti e i risvegli e la prossima volta in cui ci incontreremo, in un sogno o in quel che resta di noi al di fuori di esso.

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