sabato 16 novembre 2024

ZetaElle #13

 Hector Mosca aveva passato un nuovo contatto a Zito Luvumbo. Il contatto era quello di Ricardo, che lavorava come consulente informatico all’ambasciata americana di Roma. Avevano parlato una volta per telefono, rimanendo sul vago, scambiandosi alcune parole in codice con cui avevano fissato il loro primo incontro. Ricardo aveva accesso ai database dell’ambasciata e al suo sistema di sicurezza. Erano informazioni importanti e Zito Luvumbo sperava che, prima o poi, gli sarebbero tornate utili. Si incontrarono sulla spiaggia di Torvajaniva, dalle parti dello Zion, Zito Luvumbo ci era andato di mattina presto, come piaceva a lui, si era portato dietro un ombrellone e una piccola sedia a sdraio pieghevole, un libro e una bottiglia d’acqua. Si era sistemato alla destra di un pescatore, a qualche metro di distanza, la spiaggia era ancora quasi vuota e così si poteva sentire il rumore del mare e delle onde. 

Ricardo lo raggiunse verso metà mattinata, vestito in maniera semplice, con un paio di pantaloni corti e una maglietta di cotone, doveva avere una sessantina d’anni, i capelli grigi radi, parlarono in inglese e spagnolo, lingue che Zito Luvumbo conosceva bene e che usava quando le sue identità glielo permettevano. Zito Luvumbo offrì a Ricardo di sedersi sulla sua sedia a sdraio pieghevole e lui si mise a gambe incrociate sul nuovo telo da mare che aveva comprato poco prima da un uomo marocchino, Abdullà. Avevano anche parlato qualche minuto e Zito Luvumbo si chiedeva se quell’incontro avesse dei significati nascosti o fosse una pura coincidenza del caso. Se avesse rivisto Abdullà in altre situazioni e lui gli avesse detto le parole che Zito Luvumbo si aspettava che dicesse, il caso sarebbe diventato qualcosa di differente, forse delle linee su una sceneggiatura o righe sul nuovo libro a cui lo scrittore stava lavorando.

Arrivato a un punto morto con la sua immaginazione e stanco di ascoltare la voce che in testa gli diceva cosa scrivere, lo scrittore decise di andare a comprare un pò di fumo a San Lorenzo, non che ne avesse veramente bisogno, ormai fumava solo di rado, era il fatto di compiere una piccola missione, di avere qualche scarica di adrenalina, era solo un motivo per uscire di casa, staccare la testa da quello che stava facendo e immergersi in una situazione reale dai contorni letterari. Una situazione in cui si era ritrovato innumerevoli volte e che era  ormai diventata uno scenario narrativo. La stessa piazzetta di San Lorenzo offriva molti spunti teatrali con i suoi vicoli laterali dove si consumavano gli scambi soldi/sostanze e i ragazzi arabi e magrebini che spacciavano erano attori  febbrili di uno spettacolo notturno a cui lo scrittore aveva assistito un’infinità di sere e di cui aveva fatto parte negli anni della sua giovinezza. Il quartiere non era cambiato molto, solo più sporco, più degradato e lo scrittore provava anche una certa tristezza nel cuore perché sapeva che il tempo della sua vita che aveva trascorso in quella zona era bello che finito e non sarebbe più tornato. Non che gli mancasse, era solo la consapevolezza che come tutti, anche lui, stava invecchiando. Era ritornato a casa con una piccola pallina di hashish, si era fatto un canna e invece di mettersi a scrivere, aveva finito per perdersi, come al solito, nelle sue labirintiche e perverse fantasie erotiche.

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