martedì 24 aprile 2012

industrial #5

L’acqua della pioggia veniva raccolta in alcune cisterne ancora funzionanti, la più grande, in alto, che a volte sembrava chiamarmi, rimaneva ancora irraggiungibile. Con delle taniche di plastica portavo l’acqua nella stanza del divano e del materasso di cartone, quando faceva freddo ne riscaldavo un po’ sulla stufa, dentro un contenitore di metallo. Il sapore dell’acqua era strano, leggermente dolce e alcune volte, se ne bevevo troppa, potevo vedere le cose liquefarsi, perdere la loro solidità, per alcuni minuti sembrava di muoversi in un mondo acquatico, i contorni delle cose diventavano informi, suscettibili a regole che non erano quelle della fisica normale. 
Mi ero lavato e mi ero messo dei vestiti puliti, avevo bevuto una tazza di tè, ce ne era una grande scorta nel magazzino dei viveri ed ero entrato dentro di me, respirando lentamente, cercando di ricordare, di fare una mappa mentale dei mondi che avevo visitato, delle varie entrate e soprattutto delle uscite. 
Camminai per i sentieri e guardai gli edifici sventrati, avevano una loro bellezza, un loro fascino. Ricordavano la futilità della nostra esistenza, di come ogni cosa costruita dall’uomo fosse destinata a crollare e disfarsi, la natura riprendeva di nuovo il sopravvento, le radici degli alberi spaccavano il cemento, le piante rampicanti assalivano i fianchi degli edifici e li conquistavano poco a poco, il cielo cambiava colore, ora dopo ora, salii al quinto piano di un edificio, facendo molta attenzione, a piccoli passi, con la paura che il pavimento potesse crollare da un momento all’altro. Guardai oltre i resti della Fabbrica e intorno non c’era nulla, distese di cenere bianca e un vento freddo. Almeno in questo mondo. Mi chiesi se ero in un sogno o in uno di quei mondi paralleli. Per un momento ebbi la tentazione di provare l’esperienza del volo. Sentii una voce chiamarmi e dalle distese di cenere si eressero colline, la terra divenne ondulata, le colline si mossero come enormi onde. Feci un respiro e mi lanciai nel vuoto, precipitai e attraversai il mare di cenere. Riaprii gli occhi ed ero di nuovo al quinto piano dell’edificio, ora le colline avevano un colore rossastro, scuro, sanguigno, si muovevano ancora. Ridiscesi le scale, con la solita attenzione. 
Andai nella sala elettrica e mi spogliai completamente nudo, tenendo solo le scarpe. Presi una pillola rossa e dopo alcuni minuti alcuni dei cavi elettrici iniziarono a muoversi, quelli ancora coperti di materiale isolante si strinsero intorno alle mie caviglie e ai mei polsi, quelli con i fili visibili girarono più volte intorno al mio cazzo. Altri fili scendevano dall’alto e iniziai a sentire piccole scosse sui capezzoli e sulla schiena, sul petto. Poi intorno al cazzo. L’intensità aumentava e diminuiva. Un misto di piacere e dolore. Il mio corpo era verde. Non potevo liberarmi e una voce suadente cantava nella mia mente. Le scariche continuarono. Intermittenti, rituali, avvolgenti. Venni in filamenti verdi. Come alghe marine fluttuanti nell’acqua. Lo sperma rimase nell’aria, formando figure in movimento. Sembravano i disegni delle macchine. La comprensione avvenne in maniera intuitiva, non razionale. Venni una seconda volta. Poi i fili e i cavi si sciolsero e il mio corpo fu di nuovo libero, mi rivestii e uscii dalla sala elettrica. 

Mi sedetti su una parte di muro crollato, vicino ad uno degli edifici sventrati. L’aria aveva il profumo del mare. 

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