sabato 7 aprile 2012

Sotto la cenere



Non poteva più dirsi che il tempo non fosse passato, che le cose non fossero cambiate. Nella sua memoria le vetrine del quartiere a luci rosse di Amsterdam conservavano impossibili prospettive, l’eco della voce di una donna, che aveva visto allargarsi nell’aria in piccole onde concentriche e quell’eco si era espansa ed era diventata un’immagine mentale, come quella di alcuni ragazzi in una vallata, dove lo sguardo poteva muoversi in ogni direzione e gli effetti della psilocibina che aumentavano le percezioni, le macchie di colore viola arancione rosso che danzavano negli spazi vuoti della realtà ed erano come il movimento di una musica classica, di una dolcezza crepuscolare e piena. Avresti voluto essere una di quelle macchie di colore e allargarti e restringerti e poi più nulla, lo stesso respiro degli alberi, lo stesso scorrere di un fiume, lo stesso odore della terra.

La lontananza e il distacco e le persone che vivevano ancora nella città, che si affollavano il venerdì sera dentro un locale o al di fuori, con le loro birre, i cocktail, le chiacchiere idiote, gli schemi di conoscenza da ripetere a memoria e applicare alla prossima persona alla quale ti saresti avvicinato e le sigarette, centinaia di sigarette, che era quasi impossibile trovare qualcuno che non fumasse o bevesse e pensavi ai paesi del deserto e a un rapido cambio di prospettiva e di significato e alle piantagioni di marijuana dell’Afghanistan, del Marocco e quando camminavi per la tua città c’era una bottiglia di vino o di liquore in qualsiasi negozio, la nostra società trovava la sua sostanza dovunque, era in vendita in ogni strada, era il paradiso di qualsiasi persona avesse trovato nell’alcol la sua cura, il suo spirito guida, il suo demone, la sua condanna.

Lo spirito di Dioniso era fatto di urla e danze e musica ed esaltazione sessuale. I satiri correvano dietro le donne, che scappavano e ridevano e le loro voci erano musica e oro e i capelli che volavano nel vento e adesso sembra che i pagani scolino le loro bottiglie solo per un semplice e stupido contatto fisico, senza gloria e magia e domani saranno i postumi e un letto vuoto o forse qualcuno al tuo fianco di cui non conoscerai neanche il nome. Di cui non saprai il colore degli occhi. Di cui non ricorderai l’odore degli abbracci dell’estate.

-       Ti è piaciuto?
-       Cosa?
-       Quello che abbiamo fatto stanotte.
-       Perché? Cosa abbiamo fatto?

Andava a bere qualcosa verso l’ora di pranzo, un bicchiere di tè alla menta, qualcuno gli offriva una canna di hashish, faceva qualche tiro, il sole era già caldo e lui non ricordava cosa fosse successo, come fosse arrivato in quella città, lo chiamavano … e quel nome gli piaceva, aveva un bel suono e poi c’era il mare e la stanza che gli avevano trovato alcune persone in una casa proprio sulla spiaggia e c’erano i tramonti e la musica che i pescatori suonavano con strumenti artigianali nelle piccole ore che separavano il giorno dalla notte e in quei momenti si sentiva felice, si sentiva felice quando era in silenzio e vuoto e le cose passavano, venivano, andavano e lui era lì, in  silenzio, seduto e le notti cariche di stelle, la pelle scura di una ragazza che gli raccontava i suoi amori, gli occhi chiari di una  fanciulla dai capelli biondi che lo veniva a trovare nei sogni, le bambine che danzavano seminude davanti ai fuochi dei pescatori, le loro madri che parlavano e a volte lo indicavano sorridendo, non capiva nulla della loro lingua ma anche lui sorrideva a quelle donne, che poi gli portavano cibo e vestiti e a volte pulivano la sua stanza.

E c’era stata Amsterdam, un periodo, un tempo remoto, le droghe erano state un rifugio e una scoperta. Le ragnatele della mente e i bisogni di un insetto. Pensare come un ragno. Fili d’argento esplosi in una stanza.

Il fuoco crepitava. La sabbia sotto i piedi.

Possano i tuoi occhi amarmi ancora.

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