Scivolo su un pavimento nero, sulle
ginocchia, evitando le persone che ho intorno. Ci sono luci ai lati e voci e
finestre, oltre le quali la notte sembra svanire. Una visione desertica, colori
caldi, tra il giallo, l’arancione e il marrone. Una duna che cerco di fotografare
mentre osservo la riproduzione digitale di una scala cromatica onirica. Un uomo
è alla guida di un bulldozer, alla mia destra, si ferma e tira con il naso una
sostanza bianca, poi scende e mi dice qualcosa. Marco è in una stanza, stiamo
parlando e mi chiede se posso prestargli dei soldi, gli dico che non ci sono
problemi, sembra preoccupato e i suoi occhi sono tristi. Una donna mi conduce in
una camera buia, perché oscure sono le sue azioni e i suoi desideri, le corde
intorno ai miei polsi e i movimenti invisibili delle sue dita. Ci sono nuove
città e architetture appena scoperte, i personaggi che appaiono per la prima
volta nelle immagini proiettate in questo cinema misterioso e sotterraneo, i
discorsi che vengono dimenticati perché la memoria non possa essere alterata,
le ossessioni che il corpo ricorda e che trasforma in rituali feticistici, le
stanze segrete e le domande che diventano risposte, gli ultimi respiri e gli
arti pesanti come pietra, le pareti che invocano gli stadi finali dell’oblio,
una luce che respira, un prisma brillante senza lati, un passo in avanti e un
altro nel vuoto che tutto avvolge.
lunedì 31 luglio 2017
giovedì 27 luglio 2017
Cymru #15
Altri
schemi e ragnatele mentali e percorsi in cui avevo costretto il tempo a
scorrere, i gesti ripetuti che ancora possedevano una loro impronta nel corpo,
gli echi dei corridoi di un ufficio, i volti che ignoravo, i discorsi da cui
fuggivo impaurito, l’improvvisa apparizione di un meraviglioso e gigantesco
albero di limoni, in un cortile onirico, la luce che arrivava obliqua e tenue e
quella strana sensazione di solitudine, il ricordo di un bisogno, amici da
chiamare al telefono e una stanza silenziosa, le tende viola tirate e la neve
fuori e le strade di una città lontana, le architetture trasformate all’interno
dello spazio fotografico, quelle linee erano un linguaggio d’immaginazione che
attendeva di essere trascritto da qualche parte, mancavano personaggi e
dialoghi, c’erano possibili sequenze che andavano girate, attori invisibili che
si muovevano in attesa di una direzione, il regista rimaneva in disparte,
chiuso nei propri pensieri, la proiezione di un film privato, mai visto, creato
e distrutto nell’attimo stesso in cui fasci luminosi si perdevano nel buio, uno
specchio vuoto, senza riflessi, i giochi che con gli anni abbiamo dimenticato,
le ossessioni ricostruite attraverso bizzarri rituali erotici, forme di
adorazione primitiva, potevo attraversare il tempo, vedere il tuo volto di
ragazza, quegli stessi occhi azzurri che mi guardavano, lo splendore di un’anima
che mi aveva accolto dentro se stessa, le
minacce del passato, il tunnel della psiche, la moquette sui pavimenti
dove camminare a piedi nudi, i libri sul tavolo della cucina, le sigarette
spente, le strisce bianche su una superficie di puri riflessi, i cristalli di ghiaccio
impressi sulle dita, vagare tra gli edifici appena costruiti, nascondersi tra
le rovine delle vecchie fabbriche, ogni vita che è fuggita oltre la realtà,
ogni attimo che hai visto disintegrarsi oltre la vista, hai cercato di
rimettere insieme i frammenti, non avevi nessuna idea di come fare, qualcuno ti
ha portata in una stanza bianca, ti ha dato un quaderno e una penna, scrivi, ti
ha sussurrato, scrivi tutto, ora hai un modo per trasformare il dolore e la
paura, per rendere il disordine comprensibile al tuo cuore.
martedì 25 luglio 2017
dream #67
Sono insieme a Bea nel salone di una
stazione ferroviaria, lei decide di andare a vedere una delle attrazioni della
città ma non vuole comprare il biglietti, così cerca di passare i controlli di
nascosto, io la seguo, un uomo ci ferma e ci fa tornare indietro, proviamo a
passare da un’altra parte e riusciamo ad arrivare davanti a un treno, le porte
si stanno chiudendo e Bea entra velocemente in un vagone mentre io rimango di
fuori, vedo il treno partire e allontanarsi sui binari – una visuale dall’alto,
una panoramica della città, strani palazzi e un cielo grigio, cammino per una
strada, poi mi fermo e scrivo qualcosa sul mio quaderno nero, quando ho finto
lo poggio su delle assi di legno di un’impalcatura e riprendo a camminare –
torno indietro perché ho bisogno ancora del quaderno ma quando arrivo dove
l’avevo lasciato ci sono degli uomini che stanno smantellando l’impalcatura, il
quaderno è per terra, ma non è il mio, è una bibbia e quando cerco di toccarla
inizia a sciogliersi sull’asfalto – apro lo zaino che ho sulle spalle e dentro
c’è il mio quaderno nero, provo una sensazione di sollievo, ci sono persone che
ho incontrato durante la notte e di cui ho dimenticato volti e nomi, c’è una
stanza dove devo tornare ma non mi ricordo dove si trovi.
venerdì 21 luglio 2017
dream #66
Sono a casa di mia madre e stiamo parlando,
le chiedo cosa devo fare per avere una nuova carta d‘identità, lei mi spiega
dove andare – cammino fino a una villa dove c’è l’ufficio per fare i documenti,
passo in uno stretto tunnel e all’uscita mi trovo davanti a degli enormi scavi
per una stazione metropolitana di cui non mi ricordava l’esistenza – osservo
quello che sembra essere il fianco di una collina, da molto in basso, ci sono
tante persone intorno a me che si muovono, cerco di capire come risalire verso
la superficie, percorro dei corridoi ma alla fine mi perdo, arrivo in una zona
buia, c’è una porta, è quella di un gabinetto, la apro e entro, c’è un
lavandino, mi sciacquo le mani, poi esco e trovo una scala mobile, salgo
velocemente verso l’alto, poi sono dentro i corridoi dell’ufficio, ci sono
delle custodie di chitarre aperte, poggiate sul pavimento, piene di terra e
piante, arrivo in una sala, c’è un uomo in piedi che sta chiedendo ai presenti
se abbiano il codice per avare la carta di identità, rimango immobile a
guardarlo, senza rispondere – mia nonna e mia madre stanno parlando nella sala
da pranzo di casa, mi chiedono quanto rimarrò e se voglio andare con loro ad
Aphex, all’inizio sembro accettare, poi mi vengono dei dubbi e gli dico che
preferisco rimanere in città, è caldo, deve essere estate, penso a quello che
devo fare prima di tornare in Galles, mi ricordo che devo avvertire Bea e
mandargli un messaggio – mi alzo dal letto e c’è un ragazzo sdraiato per terra
che mi offre una pipa, faccio un paio di tiri, erba, poi mi vesto e sono di
nuovo in giro per le strade della città, senza sapere assolutamente dove andare
– sto parlando con Lynn e lei mi dice che devo rimanere con lei, siamo fuori da
un cottage, in una vallata, discutiamo a lungo e le nostre parole svaniscono nell’aria,
ci sono i suoi occhi che mi guardano e poi solo il verde senza fine dei prati.
mercoledì 19 luglio 2017
dream #65
Guido una macchina senza cofano e sul sedile
posteriore ci sono Marco e Rosaria, ci stiamo dirigendo a un matrimonio – mi
fermo sul bordo di una strada e provo a chiamare mia madre al telefono, lei non
risponde, tento una seconda volta e sono più fortunato, le chiedo se ha visto
il cofano a casa, sotto il tavolo o da qualche altra parte, lei mi dice di no –
sono in ascensore e sto salendo verso l’appartamento di Marco e Rosaria, li
vedo per le scale, mi fermo al loro piano, il quinto, poi scendo al quarto e li
faccio entrare nell’ascensore – mi avvicino verso la mia macchina, è rossa, sul
sedile anteriore destro c’è mia nonna, la saluto, poi arrivano Bea e Maria e si
siedono dietro, Maria ha un vestito verde, dobbiamo andare a un matrimonio – il
viale alberato che porta alla casa dei miei nonni ad Aphex, alla rotonda, dove
il muretto curva, ci sono dei letti improvvisati e dei bidoni con delle braci
dentro, arrivo davanti al cancello, Maria mi sta aspettando, sembra triste, la
saluto con un bacio sulle guance – Praga è una città sotto assedio, gli
areoplani nel cielo grigio sganciano le loro bombe, le persone fuggono in ogni
direzione, trovo rifugio in una strada buia, non so dove andare, l’attesa è una
speranza silenziosa.
martedì 18 luglio 2017
Cymru #14
Una
bottiglia di gin vuota, sul tavolo, accanto a dei bicchieri silenziosi, in una
mattina in cui il vento costringe i rami degli alberi a muoversi isterici e
impazziti, il suono roco della tua voce mentre ti giri tra le lenzuola e c’è il
corpo di Lynn e il peso concreto dei suoi respiri mentre ti sta abbracciando. Sono
più chiari, adesso, gli errori del passato, anche se hai sperato che qualcosa
fosse rimasto dentro di lei, qualcosa di quei giorni. Avevi costruito spazi di
emozioni libere, luoghi immaginari da riempire con la propria essenza ed ora
quelle sequenze temporali venivano montate una dietro l’altra e potevi
osservare per intero il corso di una vita che avrebbe potuto essere possibile
ma non lo era stata. Una voce ripeteva calma, dentro la tua testa, di
dimenticare, di scordare ogni cosa e una lettera aperta su un tavolino di
legno, le parole di un lontano amico sconosciuto, qualcuno che si ricordava di
te e ti chiedeva di raggiungerlo, al di là dell’oceano, in una città di luce e
alti palazzi di vetro e metallo, le centinaia di piccole finestre in cui gli
uomini erano rinchiusi, seduti dietro minuscole scrivanie a svolgere i loro
inutili lavori, lo sapevi bene cosa significava, eri stato anche tu uno di
loro, ancora Lynn, ferma accanto alla sua bicicletta, mentre osservate un
paesaggio di rara bellezza, ti dice che non voleva ferirti, che non voleva
farti così male, le sue parole sono come sussurri, ti chiede cosa si prova a
non avere più niente, nulla di tutto quello di cui anche lei aveva fatto parte,
il lavoro, la casa, gli amici, cosa si prova? Le sorridi e le dici dolcemente
che prima o poi sarebbe successo, che l’avresti fatto comunque, sei stata solo
una scintilla, il resto è venuto da solo e non potevo più sottrarmi a questa
scelta, in realtà non ho deciso nulla, ho solo seguito il compiersi degli
eventi, era un altro quello che agiva, parlava e discuteva, soffriva e si arrabbiava,
io rimanevo a guardarlo, seduto sotto un albero, in disparte, lo lasciavo fare,
avrebbe capito, ad un certo punto, che quella non era la sua vera vita e mi
avrebbe raggiunto, in questa quiete dorata, tra i riflessi dei minuti, adesso
familiari, profondi e reali come i respiri del giorno. Ancora seduti a parlare,
da qualche parte, in un sogno, ci incontreremo di nuovo solo in questi luoghi,
lo senti ancora il vuoto dell’amore, proprio nel centro del tuo petto,
allargarsi e restringersi, la sua testa appoggiata sopra, le tue dita fra i
capelli, gli occhi chiusi, le immagini che scorrono e che finalmente lasci
andar via.
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